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Questo lavoro non pretende di essere un analisi approfondita ed
esaustiva di tutte le motivazioni che portarono allo sviluppo e, infine,
allo sgancio della bomba atomica, ma si presenta come un sintetico
panorama delle esperienze di ricerca scientifica che si legarono allo
scontro ideologico e di potere intorno al secondo conflitto mondiale,
negli anni ’39-’45.
Scienziati si schierano
Gli
Prima dello scoppio della guerra, lo scienziato ungherese Szilard
precorse gli eventi, e comprese che, se era possibile un’emissione
maggiore di neutroni dopo la scissione dell’atomo, allora era possibile
realizzare un’arma ad energia atomica. Cercò quindi di contattare gli
altri scienziati, invitandoli al “silenzio scientifico”, tenendo per se
stessi eventuali scoperte che avrebbero potuto portare alla
costruzione di un ordigno atomico.
Ma la maggior parte degli scienziati, tra i quali Fermi, ritennero una
tale proposta assurda: per secoli la scienza si era battuta per il libero
scambio delle informazioni e la libera ricerca, e ora che finalmente
tale libertà era stata raggiunta, bisognava autonomamente scegliere di
legarsi le mani e cucirsi la bocca, rallentando inevitabilmente il
progresso scientifico? Dopo la pubblicazione di Hahn sulla fissione
dell’atomo, ormai era impossibile attuare il “segreto volontario”: gli
scienziati ormai non erano più spinti dalla ricerca della verità, ma da
ideali nazionalistici e politici, guidati dalla crescente rivalità fra le
nazioni. Il fisico francese Joliot, addirittura, non mandò le proprie
ricerche alla rivista parigina per la quale era solito scrivere, ma alla
inglese “Nature”, più rapida ed internazionale, in modo che potesse
battere, anche se di pochi giorni, i propri rivali internazionali. La
scienza ormai cominciava già a degenerare come mezzo per la
supremazia.
“Anni belli”
Gli
Fino agli anni trenta, le scienze avevano conosciuto un periodo felice.
Le nazionalità, le credenze politiche, la “razza” di appartenenza, non
contavano assolutamente nulla, e continuamente gli scienziati di
tutta Europa girovagavano in continue conferenze internazionali,
corsi speciali, periodo di studio personale. Era il periodo dominato
dalle personalità di uomini aperti come il neozelandese Rutherford,
persone che non esitavano a buttare tutti i propri studi se un collega
sconosciuto ne dimostrava la falsità, e mettevano continuamente in
discussione le proprie teorie. Questo clima andò in crisi e scomparve
per sempre nel periodo dell’accentuarsi dello scontro politico in
Europa all’inizio degli anni ’30. Ne sono esempi la diffidenza che Otto
Hahn aveva nelle ricerche di Curie-Joliot, e il trattenimento in URSS
di Kapitza, collaboratore di Rutherford ai laboratori Cavendish.
della fine
L’inizio
Nel trentanove, l’incredibile sviluppo della scienza atomica fece
credere agli scienziati americani e a quelli fuggiti dall’Europa nazi-
fascista, che il Terzo Reich stesse lavorando intensamente allo studio
dell’Uranio, e ad un suo utilizzo bellico. Nel ’40 infatti partì in
Germania il “Progetto Uranio”, noto come U-Project, che però non
giunse mai vicino alla realizzazione dell’Atomica. Soprattutto gli
scienziati sfuggiti all’odio razzista, comunque, come Einstein e
Szilard, temevano quasi insensatamente che Hitler potesse, con
un’arma del genere, vincere non solo la guerra recentemente
scoppiata in Europa, ma determinare un periodo di incontrastata
egemonia mondiale. Szilard si appoggiò quindi a Sachs, consigliere
personale di Roosevelt, per contattare il Presidente. Entrambi però
necessitavano di una voce in campo scientifico che fosse autorevole
ed affidabile agli occhi della presidenza, non certo come un esule
ungherese o un giovane fisico sconosciuto come Teller, loro collega.
Szilard si recò quindi da Einstein a Long Island, e gli mise davanti
una lettera già stilita e pronta per essere presentata alla Casa Bianca,
che Einstein dovette solo firmare. Sarà questa l’argomentazione
principale che Einstein addurrà per discolparsi dal disastro atomico
che quelle parole provocarono. Sachs infatti, dopo un iniziale
diffidenza del Presidente, riuscì in un secondo incontro a convincerlo
ricorrendo ad un aneddoto. Gli raccontò di come un giovane inventore
di nome Fulton avesse proposto al neo imperatore Napoleone di
costruire una flotta di navi innovative, mosse da pale a vapore. L’idea
di avere navi senza vele parse talmente assurda al dittatore che rifiutò
senza pensarci, e lo storico inglese Acton citava questo esempio per
mostrare come l’Inghilterra fosse stata salvata dalla miopia del
proprio avversario. Roosevelt allora si fece portare una bottiglia di
cognac francese, risalente al periodo napoleonico e da tempo
patrimonio della famiglia Roosevelt. Lo fece mescere, lo versò, e bevve
alla salute di Sachs. Chiamò poi l’attendente, il generale “Pa” Watson,
e disse la fatidica frase : <Pa, questa roba significa: dobbiamo agire!>
Dopo numerosi ostacoli e pareri scettici, gli scienziati riuscirono con
la loro ostinazione a far partire un progetto top-secret finanziato dal
governo degli Stati Uniti, sottoposto però alla sovrintendenza
dell’esercito: il Progetto Manhattan, affidato al generale Groves e al
promettente fisico americano J. Robert Oppenheimer.
paura della bomba Hitleriana
La
L’idea di base che spingeva gli scienziati nelle loro ricerche era quindi
che i tedeschi fossero più avanti di loro, e potessero arrivare a
produrre una bomba entro poco. Esempio è la paura che, nell’estate
del ’43, i tedeschi potessero attaccare Chicago con delle polveri
radioattive, così da contaminare il suolo e l’acqua. La paura era
talmente radicata nell’animo degli scienziati che molti di loro fecero
mandare parenti e amici in campagna piuttosto che in città, e a
Chicago vennero distribuiti contatori Geiger. Fino alla primavera del
’45 a Los Alamos, cuore delle ricerche, gli scienziati continuavano a
sentirsi ripetere che dovevano raggiungere i tedeschi, per evitare che
potessero lanciare una bomba contro l’america.
colloquio con Bohr
il
Nel ’41 Heisenberg si recò a Copenhagen dal suo vecchio maestro, per
chiarire la propria posizione politica. Erano costantemente ascoltati
da spie e soldati tedeschi, e quindi Heisenberg doveva tenersi sul
vago. Chiese a Bohr se riteneva possibile la realizzazione di una
bomba, ma poiché Heisenberg non era a conoscenza degli studi in
Inghilterra e U.S., rispose negativamente. Heisenberg quindi,
volendolo mettere in guardia, gli espose vagamente le questioni
principali e come dai loro studi risultasse possibile creare un ordigno
bellico ad energia atomica. Bohr però comprese le parole di
Heisenberg come la dichiarazione che i tedeschi stavano lavorando
alla bomba e che avevano ottenuto numerosi successi. Quando nel
’43 riuscì a scappare e venne portato in America come consulente al
progetto Manhattan, le sue impressioni non poterono che velocizzare
gli studi e preoccupare ulteriormente tutti coloro che temevano il
prossimo lancio di una bomba hitleriana.
U-Project
Il progetto tedesco non si avvicinò mai a creare una bomba, e non ci
provò nemmeno. Scienziati come Von Weizsacker e Heisenberg
capivano bene gli effetti che un ordigno atomico avrebbe provocato, e
non si mossero mai in quella direzione. Heisenberg riuscì presto ad
ottenere il controllo del progetto, scavalcando molti scienziati molto
più ideologicamente vicini al nazismo ma meno talentuosi del fisico
tedesco. Heisenberg e gli altri fisici tedeschi riuscirono a “paralizzare”
gli studi in Germania, convincendo i dirigenti che produrre una
bomba era teoricamente possibile ma tecnologicamente irrealizzabile.
L’ U-Project infatti studiò l’utilizzo della fissione dell’uranio come fonte
di energia per centrali elettriche, e divenne marginale rispetto ai piani
tedeschi. La Germania infatti non avviò vere ricerche in campo bellico
fino al ’42 (come i V2) poiché riteneva che la guerra sarebbe finita
presto e non ci fosse la necessità di ottenere nuove tecnologie belliche
per risolvere a proprio favore il conflitto.
Paradossalmente, mentre gli scienziati sotto il totalitarismo tedesco
evitavano di lavorare per la creazione di un ordigno, i loro liberi
colleghi occidentali si prodigavano in ogni modo per realizzare la
bomba entro la fine della guerra.
Rimangono dubbi sull’effettivo ostacolo di Heisenberg e altri scienziati
agli studi tedeschi, ma è certo che non fecero mai pressione al
governo e furono loro stessi a dire (nei rapporti ufficiali) come fosse
teoricamente fattibile una bomba, ma tecnicamente troppo oneroso, e
quindi irrealizzabile in economia di guerra.
e l’impotenza della comunità scientifica
Alamogordo
Quando il gruppo che seguiva le truppe al fronte incaricato di
catturare gli scienziati atomici e scoprire a che punto fossero le
ricerche tedesche constatò che il livello raggiunto era una pila
all’uranio (realizzata per la prima volta da Fermi nel ’42) fu chiaro che
ormai il motivo per cui la bomba era stata creata non esisteva più. Il
spin
fisico presente nella squadra (Goudsmit, scopritore dello ) si sentì
rincuorato, e pensò che a quel punto la bomba non sarebbe più stata
sganciata. Ormai però era troppo tardi: l’immane meccanismo da 2
miliardi di dollari che si era messo in moto intorno all’energia atomica
era ormai infermabile.
Emblematiche sono le parole che un maggiore rivolse a Goudsmit
dopo le scoperte in Germania :<Una volta che avremo un arma del
genere la useremo comunque. Spero che tu lo capisca, Sam>.
Il giorno in cui il mondo vide la prima bomba atomica fu il 15 luglio
1945, presso Alamogordo, New Mexico. Prima che venisse azionata
non si sapeva se avrebbe funzionato o meno, se le loro previsioni
teoriche fossero giuste o sbagliate. “Dopotutto, era un gran bel
esperimento”, come diceva Fermi. Le coscienze degli scienziati
cominciarono a vacillare in questo periodo, quando videro la bolla di
fuoco alzarsi verso il cielo e illuminare la notte a decine di chilometri
di distanza, e una cieca dalla nascita che stava ad centinaio di
chilometri esclamare “Vedo la luce!”.
Tutti, ricordando quell’esperimento, compresi coloro che rifiutano
qualsiasi credenza religiose, non possono che invocare parole mitiche
e teologiche nel ricordo di quel terrificante momento. Oppenheimer
Bhagavadgita
lega a quel momento un passo del testo sacro indù del
“Se la luce di mille soli
erompesse d’un tratto nel cielo
nello stesso momento,
essa sarebbe pari
allo splendore del Magnifico”
Racconta il generale Farrell:
“…seguì un fragoroso, interminabile, orribile tuono, come presagio del
giudizio universale, che ci fece sentire come se noi miserabili esseri
osassimo in modo blasfemo toccare le forze fino ad allora riservate
all’Onnipotente”.
Molti scienziati a quel punto risvegliarono le loro coscienze dal
“letargo” che le aveva colte. E’ Feynman a sottolineare come, per tutto
il periodo del loro intenso lavoro, avessero semplicemente smesso di
pensare agli esiti delle loro azioni, e si fossero limitati a svolgere
calcoli e risolvere problemi.
La prima, e infine unica, “rivolta” scientifica fu quella rappresentata
dal Frank Report, stilato da 7 scienziati che lavorano al laboratorio
metallurgico di Chicago (altro fulcro del progetto Manhattan), fra i
quali figurava anche Szilard. Nel rapporto si parlava di come un
utilizzo bellico a sorpresa della bomba atomica avrebbe potuto
provocare solo un escalation di riarmo atomico mondiale, con
conseguente guerra totale. Si proponeva quindi una dimostrazione di
fronte ad emissari dei paesi membri dell’ONU nel deserto o in un isola
deserta, per poter poi istituire un sistema di controllo internazionale
degli armamenti nucleari. Per far cedere il Giappone si chiedeva lo
sgancio, se proprio necessario, in una zona vicina e disabitata, come
colpo d’avvertimento per far capire ai giapponesi a cosa sarebbero
andati incontro. Szilard aveva ancora una volta precorso gli eventi.
Tale rapporto trovò molti scienziati concordi, e perciò il governo