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stessa longitudine. Il valore che ne ricavò fu 250'000 stadi equivalenti a quasi 40'000 chilometri, molto vicino
al valore reale. (1 stadio = da 179 a 213 mt)
Il primo vero e proprio astronomo di quel periodo fu però Ipparco di Nicea (194-120 a.C.), scopritore della
precessione degli equinozi. Confrontando le sue osservazioni con quelle dei suoi predecessori egli scoprì
degli spostamenti di lieve entità che potevano essere rilevati solo con osservazioni fatte a distanza di molto
tempo le une dalle altre e che espose nella sua celebre opera "Spostamenti dei punti dei solstizi e degli
equinozi".
Di notevole importanza anche il suo "Nuovo catalogo stellare" ove erano catalogate oltre 1000 stelle, con le
coordinate corrette per la precessione e suddivise in sei classi (grandezze) a seconda della loro luminosità.
Ipparco fu spinto alla compilazione di questo catalogo dall'apparizione di una "stella nuova" nel 134 a.C. per
meglio valutare eventuali nuove apparizioni.
Le osservazioni astronomiche fatte da Ipparco allo scopo di determinare l'entità della precessione, lo
portarono a determinare anche le lievi differenze fra anno siderale (misurato col transito delle stelle al
meridiano) ed anno tropico (misurato col passaggio del Sole nel punto equinoziale di primavera). Per quel
che riguarda i pianeti, Ipparco, cercò di determinare, con la maggiore precisione possibile, i loro tempi di
rivoluzione, senza peraltro costruire un vero e proprio sistema. Negli anni che seguirono la morte di Ipparco
non vi è da registrare alcun progresso di una certa rilevanza nelle scienze astronomiche, né nomi di una
certa rilevanza.
Per ritrovare persone interessate alla materia bisogna arrivare a Tolomeo (circa 150 d.C.). Claudio Tolomeo,
nato ad Alessandria d'Egitto, fu l'ultimo rappresentante dell'antica astronomia greca. Visse nel II secolo d.C.
e, secondo la tradizione, svolse la sua attività di astronomo nei pressi della sua città natale. Il merito
principale di Tolomeo fu quello di aver raccolto tutto lo scibile astronomico, qual'era ai suoi tempi, dopo i
grandi progressi dovuti ad Ipparco, e, coordinato ed arricchito con le sue esperienze, di averlo esposto nella
sua opera principale, l'Almagesto.
Il titolo originale di quest'opera, che è rimasta come testo fondamentale astronomico fino a tutto il medio evo,
era "Grande composizione" che tradotto in arabo fa "Al Magistri", da cui il titolo a noi conosciuto
"Almagesto". In esso Tolomeo aveva esposto un sistema del mondo, noto come sistema tolemaico anche se
non si trattava completamente di farina del suo sacco, che poneva la Terra al centro dell'universo ed i
pianeti, compresi il Sole e la Luna, ruotanti intorno ad essa col sistema degli epicicli e dei deferenti. In
questo sistema Tolomeo negava anche la rotazione della Terra intorno al proprio asse, essendo il
movimento diurno proprio della sfera celeste. Nell'Almagesto, prima di avere a che fare col suddetto sistema,
a dimostrare la compiutezza dell'opera, il lettore si viene a trovare davanti a dei capitoli che trattano di
coordinate celesti, di trigonometria piana e sferica, di dimensioni della Terra, di eclissi di Sole e di Luna, di
strumenti di osservazione e, a completamento, di un catalogo completo delle posizioni di ben 1022 stelle.
L'Amagesto di Tolomeo, venne definito, per parecchi secoli come "il Libro" dell'astronomia. Questo perché i
metodi matematici e geometrici di cui Tolomeo si serve nella sua opera lo fecero preferire alle opere simili di
quel tempo. Inoltre, per la sua completezza, ebbe una rapida ed ampia diffusione. L'Almagesto fu tradotto
infatti una prima volta in latino da Boetius (traduzione mai giunta a noi). Più importante invece la traduzione
in arabo, per ordine del califfo Al Manum nell'827 d.C., traduzione che si diffuse in Europa e che fu ritradotta
in latino, assai prima che si scoprisse l'originale in greco (1438), a Napoli nel 1230.
Per tornare al sistema costruito da Tolomeo ed esposto negli ultimi cinque libri, o capitoli, dell'Almagesto,
bisogna riconoscere che si tratta di un sistema piuttosto complesso, che però risponde con una buona
approssimazione alle posizioni dedotte col calcolo matematico. Le irregolarità dei moti dei pianeti, del Sole e
della Luna erano facilmente spiegabili mettendo la Terra non esattamente al centro delle orbite planetarie,
ma leggermente decentrata. Era in tal modo evidente che a questo fatto era possibile anche attribuire la
diversa velocità del Sole nel cielo e soprattutto, l'alternarsi delle stagioni.
Di questo sistema Dante Alighieri fece l'impalcatura de "La divina commedia" Ma non solo. Esso continuò ad
essere insegnato nelle scuole del tempo anche dopo le innovazioni di Copernico, Keplero e Galileo fin quasi
ai primi del settecento. Skuola.net
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Oltre all'Almagesto è doveroso, per completare il curriculum delle opere di Tolomeo dedicate all'astronomia,
citare anzitutto l'"Ottica" (di cui rimane solo una traduzione latina eseguita da tale ammiraglio siciliano
Eugenio), il "Planisfero" e il "Tetrabiblo", opera in cui è esaltato il valore assoluto dell'astronomia, in
confronto a quello dell'astrologia. Celebre è anche la sua "Geografia" che fino all'epoca delle grandi scoperte
geografiche rimase la fonte principale di questa disciplina.
Con Tolomeo finisce la storia dell'astronomia greca fatta di poche osservazioni, ma arricchita dalla
matematica e dalla geometria che assumeranno una sempre maggiore importanza nell'aiutare questa
scienza a progredire ed a perfezionarsi.
Latini e Romani
La maggior parte degli studiosi è concorde nel sostenere che i Romani ebbero un ruolo molto limitato nella
storia dell' astronomia antica: essi non apportarono nulla di nuovo in questo campo e le poche cose che
conoscevano a riguardo erano state tramandate dai Greci. E' emblematico il fatto che soltanto due
costellazioni furono battezzate dai Romani: il Thronus Caesaris, attestato da Plinio il Vecchio, che ne fissa
l’individuazione in età augustea, e la più famosa Antinoo, dal nome del giovinetto amato da Adriano. Inoltre
non si manifestò mai a Roma una cultura astronomica autonoma e non si scorge in ambito latino la figura di
un astronomo professionista o di uno scienziato che si occupi esclusivamente di tematiche celesti.
Se effettivamente i Romani non hanno dimostrato una particolare originalità in questo campo, ciò, tuttavia,
non vuol dire che furono totalmente indifferenti a queste tematiche; numerose, anzi, sono le digressioni
astronomiche presenti nelle opere letterarie e le opere dedicate a questo tema. Sebbene sia esistito un
rapporto tra i Romani ed il cielo prima dell' avvento della civiltà greca, è tuttavia dalla Grecia che derivano le
opere che costituiscono le fonti principali della conoscenza astronomica dei Romani. La più importante, ed
anche la più tradotta ed imitata fu un adattamento versificato di un trattato astronomico di Eudosso di Cnido:
i FAINOMENA di Arato. Questa opera fu tradotta da Cicerone, Ovidio, Germanico, Avieno, venne tenuta
presente da Igino, Vitruvio, Manilio e presa in considerazione da molti altri letterati.
L'opera di Arato ben si addiceva allo spirito pragmatico della cultura latina: il suo scopo preciso, infatti, era
quello di aiutare, attraverso la conoscenza del cielo, i contadini ed i naviganti. Ecco la spiegazione della sua
enorme e sorprendente fortuna presso i Romani. Altra opera che esercitò una durevole influenza sulla
cultura astronomica latina fu la raccolta di catasterismi attribuita ad Eratostene di Cirene. L' opera, che
rientra nell' ambito della letteratura eziologica, è una sorta di enciclopedia che raccoglie tutti i miti che hanno
dato origine al nome delle costellazioni, e si occupa, quindi, del tema del catasterismo, termine connesso
con il verbo greco katasteriazw (colloco tra le stelle). Molti gli autori latini che avevano ben presente l' opera
di Eratostene: Nigidio Figulo, Igino, Ovidio ed anche Germanico ed Avieno, traduttori latini dell' opera di
Arato. La tematica del catasterismo venne utilizzata a Roma soprattutto per scopi politico-ideologici, a partire
dalla metà del I secolo d.C. Tale sviluppo è documentato dalla grande fioritura, in questo periodo, di scritti di
astronomia e dalla presenza, in opere non direttamente connesse allo studio del cielo, di numerosi
riferimenti a questa disciplina.In un' epoca di così rilevante "espansionismo astrologico", si assiste, secondo
una caratteristica tipica dei Romani, ad un' utilizzazione in chiave politica delle "cose del cielo". E' però con l'
instaurazione del principato che le tematiche astronomiche e astrologiche, ed in particolar modo l' uso
politico del catasterismo, assumono particolare importanza. Infatti l' apoteosi del principe tende a
configurarsi anche come divinizzazione astrale. Astronomia e astrologia nelle opere latine Per una rassegna
di autori ed opere latine che si occupano di tematiche celesti, è necessario partire dal III secolo a.C.,
prendendo in considerazione Plauto.
Nel prologo di una delle sue numerose commedie, Rudens 1-5, egli affida l' esposizione dell' antefatto ad
una stella: Arturo. E' chiaro che se Plauto mise in scena una stella, il suo pubblico era in grado di
comprenderne il significato. In un' altra commedia di Plauto, Amphitruo 271-276, sono presenti altri
riferimenti di carattere astronomico, relativi alla descrizione della notte d’amore - che si prolunga nel tempo
con gli astri che interrompono il loro corso - di Giove, trasformato in Anfitrione, con Alcmena. Quasi
contemporaneo di Plauto fu Ennio (239-169 a.C.), autore degli Annales. In Ennio, per la verità, vi sono pochi
riferimenti agli astri, ma ciò è dovuto principalmente allo stato frammentario in cui ci è giunta la sua opera. Il
solo cenno interessante alle tematiche celesti, presente negli Annales, è la descrizione di un' eclisse di sole,
importante soprattutto perchè testimonia il fatto che Ennio seguì molto da vicino, nella composizione della
sua opera, gli Annales Pontificum. Ruolo determinante in questo campo, invece, spetta a Cicerone, che
compone tra l' 89 e l' 86 a.C. gli Aratea, traduzione dei fainovmena di Arato. E' proprio a partire da questo
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trattato del giovane autore di Arpino che numerosi termini astronomici cominceranno a trovare posto nell'
ambito della lingua letteraria latina.
Nel corso della sua lunga e folgorante carriera, Cicerone avrà sempre presente queste tematiche celesti su
cui tornerà anche in opere successive: nel Somnium Scipionis, nella traduzione del Timeo di Platone e nel
De divinatione, dove attaccherà l' astrologia. Attorno alla metà del I secolo a.C. è da collocare il De Rerum
Natura di Lucrezio. Per la tematica che stiamo trattando è interessante l' excursus astronomico presente nel
V libro di questo poema didascalico, in cui Lucrezio espone le ipotesi cosmologiche degli Epicurei. Nello
stesso periodo è da citare Catullo: nel ciclo dei suoi Carmina docta è compreso anche un componimento, il
carme 66, che è un omaggio al poeta principe dell' alessandrinismo, Callimaco. Si tratta della traduzione in
versi latini di un' elegia famosa del poeta greco, che pare occupasse la parte finale del IV libro degli Aitia,
nota come Chioma di Berenice. Questa vicenda rappresenta, in età ellenistica, l' esempio meglio conosciuto
di catasterismo elaborato con finalità ideologiche. Citiamo ancora, tra i vari autori, Nigidio Figulo, che scrisse
una Sphaera Graecanica e una Sphaera Barbarica, relative rispettivamente alla descrizione delle
costellazioni greche e di quelle egiziane e forse babilonesi; quindi Giulio Cesare, cui fu attribuita un' opera
astronomica, il de astris, strettamente connessa alla riforma del calendario. Molti riferimenti alle tematiche
astronomiche sono presenti nelle opere di Varrone: ricordiamo il de re rustica, opera di agricoltura, ma con
immancabile riferimento agli astri per la presenza di un calendario con fasi stellari; i disciplinarum libri in cui