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Sintesi

Introduzione Tango argentino, tesina



Questa tesina di maturità descrive il tango argentino dalle sue origini. La tesina descrive anche questi argomenti: in Economia la Grande depressione di fine Ottocento , in Storia la Belle epoque e cenni della Prima Guerra Mondiale, in Francese il naturalismo, in Italiano il verismo, in Inglese tango e cinema, The Tango Lesson, in Ricevimento l'Argentina.

Collegamenti


Tango argentino, tesina



Economia: La Grande depressione di fine Ottocento .
Storia: Belle epoque e cenni della Prima Guerra Mondiale.
Francese: Naturalismo.
Italiano: Verismo.
Inglese: Tango e cinema, The Tango Lesson.
Ricevimento: Argentina.
Estratto del documento

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Tango Argentino

Un vero e proprio fenomeno di costume che, partito

dal Sudamerica, si è irradiato a livello planetario e,

dopo oltre un secolo di vita non accenna ad

estinguersi. Dire che il tango è un “ballo sensuale”

equivale a liquidarlo senza fare il minimo sforzo per

capire la sua diversità, il suo mistero. Una danza

unica al mondo per l’inventiva, la complessità, la

dovizia delle combinazioni. Una musica multietnica,

un canzoniere ricco di umori popolari, un serbatoio di

citazioni, un patrimonio di cultura latinoamericana

diventato punto di riferimento e banco di prova per

gli intellettuali più esigenti. Una formula

dell’indubbia forza coesiva fra gli emigrati di ieri e gli

esuli di oggi. Donne e uomini, che momenti prima

erano in tutt’altre faccende affeccendati e con

indosso un tutt’altro vestiario, che abbagliati dalle

luci della pista, fuori luogo e inattuali, si illudono di

esprimere la loro vera natura. Un modo di essere, di

sentire, di vivere. Un rito officiato con la musica,

capace di ammaliare moltitudini di iniziati.

Tuttavia, a quanto diffondono i media, il tango resta

ancora un genere artistico fra i più inviliti e

misconosciuti; facile pretesto di discorsi strampalati,

inesauribile catena di equivoci. Sin dalla sua prima

esperienza europea del 1913, lo si ripropone

ciclicamente secondo stereotipi ben collaudati dove

il torbidume ha la meglio, e ogni tentativo della sua

lettura viene vanificato da un pacchetto di aggettivi

obsoleti.

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Meri Lao, ideale maestra di cultura latinoamericana,

il quale lavoro come dice nell’introduzione del suo

libro “T come tango” è dedicato:

“A chi ritiene che per ballare il tango non occorra

atteggiarsi a gigolò in rapporto con una donna latina

“de fuego”, lasciva e disposta ad accettare una

relazione sadomasochista con un temerario e

improvvisato compagno di ballo. A chi nutre almeno

qualche sospetto riguardo alla figura chiamata

“casquet”. A chi si è trovato ad assistere ad alcuni

degli spettacoli d’eccezione che circolano per il

mondo sin dagli anni Ottanta, e si è stupito e

commosso e ha provato quella sorte di fruizione

dolorosa propria del vero tango, anche se i vari

Piazzolla e i vari Copes non si presentavano

travestiti da ghauco con stivali e speroni, né da

guappo col cappello sbilenco, e tantomeno usavano

esibire impettiti una rosa stretta fra i denti. A chi,

infine, si chiede quali insondabili moti dell’anima il

tango riesca a sollecitare, perché mai venga

coltivato da popoli così distinti fra loro come il

finlandese e il giapponese, quali valori universali

possieda.”

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“Asi se baila el tango” 1942 Musica: Elias Randal, Testo: Marvil Elizardo Martinez

Vilas

Le origini

Il tango nasce verso il 1880, nella periferia delle capitali del Plata, Buenos Aires

e Montevideo, durante uno straordinario processo di urbanizzazione. Ai margini

della campagna e del centro cittadino, fuori dal solco della tradizione, non

potrà mai essere definito come folklore argentino o uruguayano che sia.

In quell’ambiente confluivano gli “uomini limitrofi”, provenienti da correnti

interne ed esterne, erano i contadini nomadi, i gauchos decaduti e gli europei

della cosiddetta alluvione migratoria. Gli uni hanno perduto la cultura legata

alla coltivazione della terra, il senso del rastreo, del leggere le tracce e del

cavallo. Gli altri hanno smesso di essere europei e non si sentiranno mai del

tutto americani: li avevano illusi di trovare la terra, ma al loro arrivo questa era

già in mano all’oligarchia. Finiscono nei conventiollos, abitazioni povere coi

servizi igienici in comune, a vivere a stretto contatto con i discendenti degli

schiavi. Non riescono ad andare a tempo con la città che cresce vertiginosa. In

uno spazio instabile, un mondo di tensioni irrisolte, di identità claudicanti e

compenetrabili. Un mondo meticcio. Meticcio come il Tango, nato da una

particolare fusione di generi provenienti da paese diversi, dall’incrocio di

persone emigrate dal loro paese, sempre povere, spesso infelici e per questo

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nostalgiche. Il tango nella sua musica, nelle sue parole e nei suoi movimenti,

riflette questo disagio.

“Alluvione migratoria”

La crisi economica

La Grande depressione di fine Ottocento fu una crisi economica che ebbe inizio

nel 1873 dopo oltre trent'anni di incessante crescita economica determinata

dalla seconda rivoluzione industriale e si protrasse sino alla fine del XIX secolo.

Il mondo sviluppato conobbe una crisi agraria, cui si aggiunse una parallela

crisi industriale, con forti riduzioni della domanda, profitti marginali calanti e

scarsa circolazione di denaro. Una forte e perdurante deflazione, a livelli

strutturali, durante l'intero ventennio innescò massicci licenziamenti e riduzioni

salariali, repressioni ai danni dei sindacati e vasti movimenti migratori dalle

campagne alle città e dalle aree meno sviluppate a quelle economicamente più

forti del mondo.

La crisi di sovrapproduzione si manifestò anche come conseguenza dell'ascesa

degli Stati Uniti e dell'Impero tedesco come nuove potenze mondiali.

Nel settore agricolo con l'emergere di nuove potenze nella produzione agricola,

come Stati Uniti, Australia e Argentina e l'ingresso delle loro merci in Europa

(favorito dai miglioramenti nel settore dei trasporti, col passaggio dalla vela al

vapore), a seguito di annate agricole negative, provocò una caduta dei prezzi

che mandò in rovina moltissimi piccoli produttori (vissuti fino ad allora

all'interno di un mercato regionale caratterizzato da bassi profitti e

tecnologicamente arretrato rispetto a Gran Bretagna e Stati Uniti). La caduta

dei prezzi e la forte concorrenza ridussero in rovina migliaia di contadini e si

accrebbe in maniera preoccupante la dipendenza europea dalla produzione

agricola d'oltreoceano. Tutto ciò innescò vasti movimenti migratori tra paesi

(secondo direttrici che procedevano dall'Europa agli USA o ai paesi dell'America

Meridionale, dall'Europa meridionale al nord Europa), soprattutto in partenza

dalle aree economicamente più deboli (tra cui Italia, Irlanda, Spagna, Europa

orientale), e dalla campagna verso la città, determinando un forte aumento

dell'inurbamento e della disponibilità, in tempi successivi, di manodopera da

impiegare nel settore industriale.

Nel settore industriale le cause che portarono alla crisi sono del tutto simili a

quelle della crisi agricola: le industrie cioè producevano molto più di quanto il

mercato potesse assorbire sotto forma di consumi. L'indice più vistoso della

crisi fu la caduta dei prezzi.

La crisi può essere spiegata per la concomitanza di tre fattori:

- aumento del progresso tecnologico, che favorì un incremento della

produzione di beni;

- aumento del numero di paesi industrializzati, e in particolare ingresso di nuovi

attori economici nel mercato globale (Stati Uniti e Germania);

- imposizione di bassi salari, con conseguente riduzione dei redditi e crisi sul

lato della domanda.

Ad un impetuoso aumento dell'offerta di beni non corrispose un corrispettivo

aumento della richiesta di beni, per la scarsa domanda dovuta all'assenza di

una borghesia sufficientemente in grado, come oggi, di compensare sul lato dei

consumi e della bassa circolazione monetaria. La crisi delle vendite e la caduta

del saggio dei prezzi provocarono effetti immediati sul lavoro, determinando

licenziamenti e disoccupazione crescente.

Emigranti italiani

Ancora non si importavano campioni sudamericani per la gloria del calcio

internazionale. L’Argentina veniva chiamata “il granaio del mondo” e

l’Uruguay, “La Svizzera delle Americhe” per la ricchezza bancaria e il senso

civico, ma nessuno mai avrebbe immaginato che, agli inizi del Novecento, nella

sola Buenos Aires c’erano più telefoni che in Italia, più automobili che in

Francia, e che si stava costruendo la linea A della metropolitana, opera di

altissimo ingegno e lusso senza pari. In Europa i messaggi di fuori arrivavano

distorti, una persistente perturbazione della comunicazione faceva sì che gli

europei considerassero “quei paesi” con estrema disinvoltura: immersi in un

tropico perenne, abitati da rudi pistoleros e creole propense alla ninfomania, tra

cavalli scalpitanti e nacchere spagnole.

La politica liberale di Domingo Faustino Sarmiento e Juan Bautista Alberdi,

nell’intento di trasformare la capitale argentina in una grande, colta e raffinata

città europea, apre le porte, come sancito dalla costituzione del 1853, “agli

uomini del mondo che volessero abitare sul suolo argentino”. Ecco perchè

Buenos Aires era definita la città dove "far fortuna". Ma il sogno dorato

dell’élite si tramuta in incubo con l’arrivo di una massa anonima di emigrati,

per il 25% costituita da spagnoli e per il 50% da italiani, (l’altro 25% da

francesi, ungheresi, ebrei e slavi) che di lì a poco avrebbero triplicato la

popolazione della capitale. Nonostante la durezza dei lavori disponibili, data la

grande disponibilità di manodopera, i salari erano piuttosto miseri. D’altronde

l’esodo fu stimolato dal governo italiano, come soluzione alle tensioni sociali e

nella speranza di riequilibrare la bilancia dei pagamenti con le rimesse ai

parenti rimasti nella penisola. Se negli USA si è arrivati a contare un emigrante

italiano ogni sei-otto abitanti, nei paese rioplatensi la proporzione è di uno a

due. Non a caso si denomina “alluvione migratoria”. A sud, sulla foce del Plata,

andarono ad insediarsi i liguri: nel quartiere La Boca, fatto di case basse e

lamiere coloratissime. I siciliani

invece si radicarono al Nord di

Buenos Aires, creando il

quartiere Palermo, con

l’ippodromo che costituiva una

delle attrattive principali (Por

una cabeza di Carlos

Gardel*). Il capitalismo

industriale si impossessò della

periferia per impiantarvi le

fabbriche. Presto la periferia

diventerò città. L’espansione

urbana fece sì che si

mescolassero ceti che prima

erano divisi in compartimenti

stagni. Di fronte al nuovo habitat cittadino, gli emigranti si sentivano fuori

posto e fuori tempo. In un continuo sfasamento con la realtà, viveno nel ricordo

del paese lontano e con l’idea ossessiva del ritorno. Nostalgia allo stato puro:

da “nostos”, ritorno al paese, e “algia”, dolore. Forte deiderio di tornare e

malinconia per le cose che forse non rivedranno più. Ecco il verbo tornare, il

verbo chiave del tango, lo stesso verbo degli emigranti (Volver di Carlo

Gardel*). Por una cabeza di Carlos Gardel

Per un colpo di testa

Per un colpo di testa di un nobile puledro

che proprio sulla riga si affloscia nell’arrivo,

e che tornando alla scuderia sembra dire:

“Non dimenticare, fratello, tu lo sai che non devi giocare!”

Per un colpo di testa capriccio di un giorno

di quella donna civetta e burlona,

che sorridendo giura amore sapendo di mentire,

e brucia in un falò tutti i miei desideri.

Per un colpo di testa qualunque follia!

La sua bocca che bacia, cancella la tristezza, calma l’amarezza.

Per un colpo di testa, se lei mi dimenticherà,

che importa (giocare e) perdere mille volte la vita, pur di vivere?

Quanti disinganni, per un colpo di testa!

Ho giocato mille volte, promettendomi di non farlo più.

Se però uno sguardo mi colpisce al passare,

torno ancora a desiderar di baciare le sue labbra di fuoco.

“Basta con le corse! è finito l’azzardo!

non mi volto a rimpiangere un foto-finish!”

Se però un cavallo è favorito la domenica...

io mi gioco tutto. Che ci posso fare...?!

Il tango fu composto dalla premiata ditta Carlos Gardel, parole, e Alfredo Le

Pera, musica, nel 1935 ed è dedicato al mondo delle corse dei cavalli. La

cabeza, è nel gergo ippico una unità di misura e corrisponde alla testa di un

cavallo, piccolo vantaggio che può determinare la vittoria o la sconfitta in una

corsa. E’ noto che Gardel era un gran appassionato di corse di cavalli, ed infatti

nel suo repertorio sono frequenti i tanghi dedicati oltre che ai protagonisti di

queste gare, anche alle vittime consapevoli, ossia i giocatori.

Nel testo la donna viene paragonata al pericoloso azzardo di una corsa di

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