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Sintesi
Italiano: il progetto linguistico di Alessandro Manzoni

Filosofia: Noam Chomsky (la grammatica)

Fisica
: Karl Heisenberg (il principio di indeterminazione)

Matematica: Kurt Godel (i teoremi di incompletezza)

Francese
: Raymond Queneau (esercizi di stile)

Greco: Plutarco (l'arte di saper ascoltare)
Estratto del documento

A cura di

Giulia Valenti

Liceo Classico Europeo, classe VB

Convitto Nazionale « Vittorio Emanuele II », Roma

Anno scolastico 2010-2011

  1  

Il linguaggio che parla di noi

La cosa più affascinante del linguaggio è la sua varietà.

Il linguaggio dovrebbe essere uno strumento: nient’altro.

E invece il linguaggio parla di noi, e può parlare di tutto,

può inventare e constatare, dire la verità e il falso. Come

la vita umana non può essere tenuto immobile, perché

finisce per stare male, e per trovare il modo di evadere.

In questo lavoro porterò avanti un’indagine su più fronti

che sveli le enormi potenzialità logiche, scientifiche,

artistiche, ludiche, politiche ed etiche del linguaggio.

Il linguaggio, poi, è rappresentativo di colui che ne fa uso.

Ci fornisce un’ immagine del parlante, sia esso un’entità

individuale o collettiva. E allora il linguaggio si fa

portavoce anche dei limiti conoscitivi che l’uomo deve

accettare, e diventa l’indice della situazione geopolitica di

un popolo.

In questo lavoro posso dire di aver messo me stessa.

Come direbbe Nietzsche, « in tutte le mie opere che ho

scritto, io ho messo dentro anima e corpo : non so che

cosa siano problemi puramente intellettuali. »

Per me non è stato così fin dall’inizio. Sono partita in

ritardo, con scarso entusiasmo, la mia preoccupazione era

senso corpo finalità

quella di dare un , un e soprattutto una

a questo lavoro. Dall’approfondimento è nato un profondo

interesse per i soggetti trattati. E alla fine è venuto fuori

un percorso multiforme, di cui non bisogna cercare né un

unico filone tematico, né un preciso scopo.

Per questo mi rispecchia. Vedo in questo breve lavoro lo

specchio dei miei molteplici interessi, ma anche delle

difficoltà che incontro costantemente nel soddisfarli e

comprenderli.

ancora prima nel

  2  

Sommario

Sezione di Italiano

Il progetto linguistico di Manzoni fra letteratura e politica

Pag. 4

Tullio De Mauro: Quando l’Italia iniziò a parlare italiano

Pag. 10

Sezione di Filosofia

Chomsky sulle orme di Kant

Pag. 13

Sezione di Fisica

Il principio di indeterminazione di Heisenberg

Pag. 18

Sezione di Matematica

I teoremi di incompletezza di Gödel

Pag. 24

Sezione di Francese

Forse che sì, forse Queneau: 99 fantastiche variazioni

Pag. 32

Sezione di Lingue Classiche

Plutarco: L’arte di saper ascoltare

Pag. 37

Bibliografia

Pag. 42

  3  

Il progetto linguistico di Manzoni

fra letteratura e politica

Manzoni è forse il primo grande scrittore italiano a

comprendere l’importanza della questione linguistica, e a

spostarne il baricentro da discussione di interesse

esclusivamente letterario, come fu per Dante e Bembo, a

problema di carattere politico e sociale.

Sin da giovane Manzoni si interessò alle problematiche comunicative

degli Italiani, e alle enormi potenzialità espressive di alcuni dialetti. Egli

intese adottare una lingua che fosse valida sia in campo letterario che

civile. Una lingua colta viva, che fosse pienamente comprensibile allo

scrittore prima ancora che al lettore.

“Immaginatevi […] un italiano che scrive, se non è toscano, in una lingua

che non ha quasi mai parlato, e che (anche se è nato nella regione

privilegiata) scrive in una lingua che è parlata da un piccolo numero di

abitanti d’Italia […] Manca completamente a questo povero scrittore quel

sentimento per così dire di comunione con il proprio lettore, quella

certezza di maneggiare uno strumento ugualmente conosciuto da

entrambi.”

A. Manzoni, Lettera a Fauriel del 3 novembre 1821

Una sola lingua protagonista dell’unità politica e culturale italiana.

“…Una gente che libera tutta

O fia serva tra l’Alpe ed il mare;

Una d’arme, di lingua, d’altare,

Di memorie, di sangue e di cor.”

A. Manzoni, Marzo 1821

  4  

Nella seconda metà del ‘700, alcuni letterati illuministi si erano aperti

alla modernità linguistica, sia pur in maniera asistematica. I fratelli Verri,

ad esempio, non rifiutavano forestierismi e neologismi di carattere

tecnico all’interno de “Il Caffè”. Agli inizi dell’800 si assistette a un

ritorno all’ordine tutto italiano, in risposta alla fiammata europea del

Romanticismo e alle mescolanze linguistche del XVIII secolo.

Ai tempi di Manzoni la tradizione letteraria oscillava fra classicismo e

purismo. Quest’ultimo imponeva l’uso del fiorentino dei grandi autori del

Trecento. Se per la poesia l’uso di una lingua letteraria cristallizzata non

aveva creato grandi problemi, la stesura di un romanzo, genere poco

praticato in Italia, richiedeva una profonda revisione della lingua.

Manzoni scrisse la prima redazione dei Promessi Sposi mescolando

tradizione e lingua viva, salvo poi rifiutare tale eclettismo linguistico.

“Un composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ anche toscane,

un po’ francesi, un po’ anche latine; di frasi che non appartengono a

nessuna di queste categorie, ma sono cavate per analogia o per

estensione dall’una o dall’altra di esse.”

A.Manzoni, Introduzione al Fermo e Lucia

Con la revisione del Fermo e Lucia, che portò, nel ’27, alla prima

edizione dei Promessi Sposi, Manzoni intese uniformare l’opera ai propri

intenti di divulgazione popolare, utilizzando quasi esclusivamente il

toscano, considerata la lingua “incomparabilmente più bella, più ricca

[…] di tutte le altre.” Gli strumenti che permisero allo scrittore di rivedere

l’opera furono numerosi vocabolari e i testi dei grandi maestri toscani del

‘300 e del ‘500.

L’uso di dizionari contribuiva però a rendere la lingua artificiosa,

libresca, lontana dall’effettivo uso che ne facevano le persone. Manzoni

se ne rese conto, e prese la drastica decisione, com’è noto, di trasferirsi

a Firenze per “risciacquare i panni in Arno”. Nel 1840 uscì l’edizione

definitiva dei Promessi Sposi, che realizzò il duplice sogno manzoniano di

offrire un modello di lingua nazionale colta, adatta sia ai parlanti che agli

  5  

scrittori, e di fornire una rappresentazione sincera del vero anche

attraverso le forme espressive dei popolani. Fig. Secondo i

ricercatori della

Zanichelli, i

numerosi dialetti

italiani di metà

Ottocento possono

essere raggruppati

in sette macroaree.

Il glottologo Graziadio Isaia Ascoli, pur non condividendo la soluzione

proposta da Manzoni per l’unità linguistica italiana (di cui parlerò

successivamente), lodò lo scrittore per aver rivoluzionato la concezione e

la forma della letteratura italiana. L’obiettivo ultimo di Manzoni era di

rendere la sua opera appetibile per mezzo di una lingua ricca, viva e

semplice, libera dal macigno della retorica che per secoli aveva fatto

della letteratura italiana l’oggetto di una ristretta élite.

  6  

«Quel Grande, che è riuscito, con l’infinita potenza di una mano che non

pare aver nervi, a estirpar dalle lettere italiane, o dal cervello d’Italia,

l’antichissimo cancro della retorica».

G. I. Ascoli, Proemio all’ Archivio glottologico italiano

La stesura dell’edizione definitiva dei Promessi Sposi è segnata dalla

scomparsa di molte persone care a Manzoni, tra cui la moglie Enrichetta

Blondel. L’esaurimento della vene creativa dovuta ai lutti portò lo

scrittore ad occuparsi quasi esclusivamente di problemi linguistici e

politici.

Manzoni ha da sempre inserito la questione linguistica italiana in un

più ampio contesto sociale e politico. La maturità di Manzoni

nell’affrontare la tematica si comprende dalle parole, velate di ironia, con

cui descrive la situazione dell’Italia e la negligenza di letterati e politici

suoi contemporanei.

«Vi domando se il cercare un mezzo d’intenderci italiani con italiani,

uguale a quello che abbiamo d’intenderci milanesi con milanesi,

napoletani con napoletani, bolognesi con bolognesi, piemontesi con

piemontesi, e via discorrendo; un mezzo di dir tutti nella stessa maniera

ciò che diciamo tutti, ma in non so quante maniere, sia cercare una

cosa, o inutile, o che abbiamo di già.

Nominar direttamente una parte soltanto delle cose che occorre di

dire; e una parte di questa parte, con vocaboli noti a chi sente, come a

chi parla; ma un’altra parte, con vocaboli che il contesto o l’analogia gli

fa bensì intendere, ma che gli riescono strani; un’altra con vocaboli che

non conosce né intende; è una cosa che, in un certo senso, si può

chiamare un intendersi, come si chiama vestito anche quello che sia

 

pieno di toppe, di buchi e di sbrani; ma vi domando se è l’intendersi di

quelli che possiedono una lingua in comune».

A. Manzoni, scritti linguistici inediti, 351

  7  

A partire dagli anni ’40 il suo interesse maturò nella proposta di adottare

il fiorentino a livello nazionale, in tutte le istituzioni, in primo luogo nella

scuola. Nel 1968 Manzoni indirizzò al ministro della pubblica istruzione

Emilio Broglio la Relazione sull’unità della lingua e i mezzi per

diffonderla. Firenze era allora capitale d’Italia, e il ministro aveva

ufficialmente richiesto di proporre le strategie più efficaci per diffondere

l’italiano tra il popolo. Il progetto manzoniano circa la scuola è molto

preciso: prevede che gli insegnanti siano toscani o educati in Toscana;

che gli alunni più meritevoli trascorrano un anno di studi a Firenze; che

vengano diffusi dizionari della lingua italiana.

Tale progetto incontrò notevoli favori negli ambienti scolastici fino alla

fine del secolo. Ma si trattava di un progetto utopistico, che non si adattò

alla complessa evoluzione della società e della cultura italiane. L’italiano

parlato si formò anche per la via delle varietà regionali, come aveva in

effetti predetto Ascoli.

  8  

Manzoni comprese che in Italia mancavano le condizioni

per la diffusione del fiorentino. La disomogeneità

linguistica era l’indice di divisioni interne ben più

profonde. Gli sforzi di Manzoni non bastarono a superare

il campanilismo linguistico, sociale e politico dell’Italia,

come non bastò l’unificazione del 1861 a unire gli Italiani

sotto un’unica lingua. Ci volle ben altro: fu soprattutto il

progresso tecnologico a portare a una diffusione estesa

dell’italiano a partire dagli anni ‘50.

  9  

Quando l’Italia iniziò a parlare

italiano

L’unità dell’Italia si ha solo a partire dalla fine degli anni

’50. Questo è quanto sostiene il filologo italiano Tullio De

Mauro. Prima di questo periodo, l’Italia presentava un

crogiolo di lingue che ne sottolineavano le profonde

divisioni interne, tutt’altro che superate con l’unità

politica del 1861. L’Italia unita era ben lontana dal

raggiungimento della coesione interna e dell’unione che

caratterizzavano altri Stati europei, per ragioni

linguistiche prima ancora che politiche e amministrative.

Mai come oggi, dunque, l’Italia ha presentato una tale

omogeneità linguistica, con nove Italiani su dieci che

parlano italiano.

Ai tempi di Garibaldi, secondo le stime più ottimistiche, gli italiofoni della

nostra penisola raggiungevano a malapena il 10% della popolazione. Il

problema strutturale nella diffusione della lingua è da ricercarsi in una

serie di ragioni storiche, geografiche, economiche, politiche e persino

religiose.

Mentre nelle altre macroaree politico-linguistiche europee la

popolazione convergeva verso una lingua comune, in Italia mancarono

per secoli i fattori determinanti per raggiungere l’omegeneità linguistica:

-­‐ Una complesso istituzionale compatto nell’ambito dello Stato, che

comportasse un unico centro politico di riferimento . In Italia i centri

importanti, come già evidenziato da Dante, erano numerosi ed

equivalenti, e ciò ostacolava l’unità;

-­‐ In altri paesi le grandi capitali rappresentavano tale centro politico

unitario, e fungevano da attrattori demografici. Le capitali risultavano

egemoni in campo socioeconomico ed intellettuale sul resto del paese (si

pensi a Parigi in Francia);

  10  

-­‐ In molti paesi nordici, la Riforma luterana, calvinista o anglicana,

comportò l’ alfabetizzazione e la scolarizzazione di intere popolazioni,

abituate alla lettura dei testi sacri nella lingua madre.

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