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Sintesi
Introduzione Tesina sulla Sindrome di Narciso


Questa tesina di maturità descrive la Sindrome di Narciso, tema che viene ripreso anche in altre discipline di studio e da vari autori. La tesina permette i seguenti collegamenti: in Latino la figura del perfetto stoico di Seneca, le Metamorfosi di Ovidio, in Filosofia Nietzsche e il superuomo, Freud, in Italiano Gabriele D'Annunzio e la figura del narcisista, in Storia l'impresa di Fiume, il fascismo, Mussolini e il narcisismo, in Inglese Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, in Storia dell'arte “Metamorfosi di Narciso” di Salvador Dalì e in Greco il mito di Narciso.


Collegamenti

Tesina sulla Sindrome di Narciso


Latino - Il perfetto stoico di Seneca; Metamorfosi di Ovidio.
Greco - Il mito di Narciso.
Italiano - Gabriele D'Annunzio e la figura del narcisista.
Filosofia - Nietzsche e il superuomo, Freud.
Storia - L'impresa di Fiume, Mussolini e il narcisismo, il fascismo.
Storia dell'arte - “Metamorfosi di Narciso” di Salvador Dalì.
Estratto del documento

La Sindrome di Narciso

Il mito di Narciso, a partire dalla versione latina di Ovidio e da quella greca di

Pausania è, tra i miti classici, uno di quelli in cui è possibile notare la presenza

pressoché ininterrotta nella cultura occidentale, per la sua valenza metaforica e

simbolica nella cultura medievale, come fonte per l’immaginazione nell’età

barocca e per finire come riferimento ad un atteggiamento esistenziale,

psicologico e talvolta perfino patologico, nell’età contemporanea.

Narciso è una figura mitologica greca, figlio di Cefiso, divinità fluviale, e

della ninfa Liriope. Secondo il mito narrato da Ovidio nelle Metamorfosi

Narciso era un bellissimo giovane, di cui tutti, sia donne che uomini, si

innamoravano alla follia. Tuttavia Narciso preferiva passare le sue giornate

cacciando, non curandosi delle sue spasimanti; tra queste era la ninfa Eco,

condannata da Giunone a ripetere le ultime sillabe delle parole che le venivano

rivolte, poiché le sue chiacchiere distraevano la dea, impedendole di scoprire gli

amori furtivi di Giove. Rifiutata da Narciso la ninfa, consumata dall'amore, si

nascose nei boschi fino a scomparire e a restare solo un'eco lontana.Non solo

Eco, ma tutte le giovani ed i giovani disprezzati da Narciso, invocarono la

vendetta degli dei. Narciso venne condannato, da Nemesi, ad innamorarsi della

sua immagine riflessa nell'acqua. Disperato perché non avrebbe potuto

soddisfare la passione che nutriva, si struggeva in inutili lamenti, ripetuti da

Eco. Resosi conto dell'impossibilità del suo amore Narciso si lasciò morire.

Quando le Naiadi e le Driadi cercarono il suo corpo per poterlo collocare sul

rogo funebre, trovarono vicino allo specchio d'acqua il fiore omonimo.

Il mito greco, invece, narra che Narciso aveva molti innamorati che lui

costantemente respingeva fino a farli desistere. Solo un giovane ragazzo,

Aminia, non si dava per vinto, tanto che Narciso gli donò una spada perché si

uccidesse. Aminia, obbedendo al volere di Narciso, si trafisse davanti alla sua

casa, avendo prima invocato gli dei per ottenere una giusta vendetta.

La vendetta si compì quando Narciso, contemplando in una fonte la sua

bellezza, restò incantato dalla sua immagine riflessa, innamorandosi

perdutamente di se stesso. Preso dalla disperazione e sopraffatto dal

pentimento, Narciso prese la spada che aveva donato ad Aminia e si uccise.

Dalla terra sulla quale fu versato il suo sangue si dice, di nuovo, che spuntò per

la prima volta il fiore che da lui prese nome.

“Metamorfosi di Narciso”1936-1937, di Salvador

Dalì, Tate Gallery di Londra.

Il quadro rappresenta il momento in cui narciso si

specchia nel fiume, e, successivamente la sua

trasformazione nel fiore che poi prenderà il suo

nome. Lo stesso autore del dipinto è rinomato per

essere egli stesso un narcisista.

La storia del fiore di Narciso, comunque, presenta delle incoerenze, dal

momento che nel mito di Persefone la protagonista, prima di essere rapita da

Ade, si trovava in un prato a raccogliere narcisi (ovviamente la fonte precede il

racconto di Ovidio).

Ovidio fu una figura di rilievo, che contribuì al protendersi della cultura

classica e quindi del mito di narciso attraverso il medioevo fino ai giorni nostri.

A dimostrazione di ciò, nella Divina Commedia, nel terzo canto del Paradiso

Dante, alla vista delle anime quasi trasparenti, scrive:

Quali per vetri trasparenti e tersi,

o ver per acque nitide e tranquille,

non sì profonde che i fondi sien persi,

tornan d’i nostri visi le postille

debili sì, che perla in bianca fronte

non vien men tosto a le nostre pupille;

tali vid’io più facce a parlar pronte;

per ch’io dentro a l’error contrario corsi

a quel ch’accese amor tra l’omo e il fonte.

la sua attenzione è attratta da deboli parvenze di volti, simili a immagini riflesse

nell’acqua e dice di essere incorso nell’errore opposto a quello di Narciso, citando

così le Metamorfosi di Ovidio: mentre Narciso aveva creduto che il suo riflesso fosse

un’altra persona, Dante, al contrario, crede che le anime che gli si mostrano di fronte,

siano in realtà riflesse in uno specchio d’acqua.

Tuttavia con il passare del tempo la figura mitologica di Narciso è stata presa in

analisi per poi entrare nel gergo comune e fino a divenire un

concetto centrale della psicanalisi, un disturbo mentale, un

problema sociale o culturale, o più semplicemente un tratto

della personalità.

A tal proposito nel 1914 Sigmund Freud pubblicò un

documento esclusivamente dedicato al narcisismo chiamato

“introduzione al narcisismo”, donando quindi fama a questo

termine. Questo documento fu estremamente importante per

l'inserimento del narcisismo nel manuale dei disordini mentali

nel 1987, classificandolo quindi ufficialmente come malattia

mentale. In “introduzione dal narcisismo” Freud definisce il

narcisismo come il "completamento libidico dell'egoismo

della pulsione di autoconservazione dell'uomo", non dunque come una perversione

ma come un carattere appartenente in maniera diversa a tutti gli uomini e mai del

tutto superato. Secondo Freud, quindi, l'interesse per lo stadio narcisistico risiede

nella particolare forma di alcune psicosi in cui l'Io del malato sembra essere di fatto il

centro della corrente libidica: il paziente perde ogni interesse verso l'esterno

rivolgendo a sé stesso la propria corrente libidica oggettuale, dando così forma a

sopra investimenti dell'Io che sfociano ad esempio nelle manie di grandezza.

Oltretutto Freud spiega come i soggetti in cui l'attenzione libidica è concentrata nel

loro stesso io, tendano a crearsi delle illusioni, in cui si perfezionano a seconda dei

loro stessi ideali ( si veda la figura di Seneca, il quale descriveva la sua immagine

come quella di un perfetto stoico ma la quale si scoprì poi essere l'immagine di un

uomo appartenente alla nobiltà romana) e come tendano ad un atteggiamento di non

conciliazione tra di loro.

Volendo quindi analizzare chi per Freud sarebbe potuto essere definito “narcisista”,

prendo in considerazione la figura di Gabriele D'Annunzio, simbolo del

decadentismo italiano.

In D’Annunzio c’è qualcosa del superuomo di Nietzsche, mentre tanto altro viene

stravolto e modificato in maniera originale dal poeta. Innanzitutto il superuomo

dannunziano assume le sembianze di poeta Vate, capace di essere una guida per il

paese, incantare gli altri, sedurre le donne e vivere una vita originalissima. Una vita

fatta di nuovi valori, ma molte volte lontani dalla pura introspezione, valori che

divengono popolari, ricchi di forma e che possiedono una dirompente capacità di dare

scandalo o di incantare gli altri. Il superuomo dannunziano trae dalla forza del

bambino lo stupore, alimenta la propria creatività come un dilettante di emozioni

incuriosito dal mondo e consacra all’arte la propria virtù.

C’è nel culto del pericolo e nel mito dell’ardito, una sorta di rifacimento al

superuomo di Nietzsche, ma anche questo è circondato da un alone di forma artistica

e di auto-celebrazione che rendono quello di D’Annunzio un superuomo del tutto

differente, un superuomo che ha saputo incantare, creando nuovi valori basati sul

culto dell’estasi, sulla forma e sulla ricerca sfrenata di una nuova coscienza estranea

alla morale comune.

Eppure D’Annunzio, ha dimostrato di conoscere chiaramente le regole terrene

attraverso le quali dominare il mondo anche dopo la propria morte, far si che gli

studiosi di tutte le epoche non si fermino a contemplarne la produzione letteraria

poiché proprio la sua vita è divenuta la sua più grande opera d’arte, ed in questo

D’Annunzio supera se stesso, divenendo Superuomo. Ciò lo rende uno dei personaggi

più vicini al perfetto narcisista freudiano, l'uomo che necessita di attenzioni per essere

continuamente al centro degli interessi e dei discorsi altrui.

Si percepisce quindi la tendenza narcisistica di D'Annunzio non solo dalle sue opere,

come “il Fuoco”, “le Vergini Delle Rocce” o il terzo libro de “le Laudi”, “Alcyone”,

in cui egli si proponeva come vate, cantore della patria e capostipite della stirpe del

superuomo attraverso i suoi protagonisti, ma anche dalla sua stessa vita, infatti, a

sedici anni per colmare il suo desiderio di farsi pubblicità, pubblica la notizia della

sua morte il giorno stesso in cui pubblica Primo Vere, delle poesie ispirate alla

poetica del Carducci.

In questa foto Gabriele D'Annunzio viene

immortalato mentre parla ad alcuni soldati

durante l'occupazione di fiume nel 1919,

insoddisfatto delle terre concesse all'Italia

dopo la fine della prima guerra mondiale.

Subito dopo il diploma si trasferisce a Roma, diviene cronista avvicinandosi sia alle

masse e sia all’elite, partecipa a feste e balli esclusivi, trasformandosi in un vero e

proprio dandy, tanto da dichiarare: “sono un uomo di lusso, ho l'estetica del

superfluo, sono irresistibilmente attratto dall’acquisto di cose belle”. D’annunzio

partecipa alla vita politica italiana, tanto da divenire quasi un simbolo della prima

guerra mondiale , si proclama interventista, penetra con tre unita sommergibili nel

golfo di Fiume, volò su Vienna lanciando dei volantini anti austriaci, occupa Fiume

nel 1919 non soddisfatto delle terre concesse dagli alleati, fino a divenire un modello

per Mussolini. Tuttavia i rapporti del “vate” con il duce non furono mai positivi,

soprattutto dopo l'esilio. Mussolini tuttavia non poteva mettere in ombra una figura

come quella di D'Annunzio, per questo lo ricoprì di onorificenze pur mantenendolo

nel Vittoriale. A tal proposito Gabriele D'Annunzio in occasione di una visita del duce

nel 1925, fece porre sopra lo specchio del camino di una sala d'attesa, oggi

denominata “stanza del mascheraio” un'iscrizione per quest'ultimo, facendolo

aspettare 2 ore in modo che potesse capire che quei versi erano dedicati a lui, e

dicono:

“Al visitatore:

Teco porti lo specchio di Narciso?

Questo è piombato vetro, o mascheraio.

Aggiusta le tue maschere al tuo viso

ma pensa che sei vetro contro acciaio.”

Infatti lo stesso D'Annunzio accusava mussolini di un'eccessiva autostima, forse,

come afferma Freud, per una impossibilità di conciliazione tra figure narcisiste. In

questo caso la figura autoritaria e di spicco di Mussolini minava l'autorità del poeta,

che probabilmente si sentiva minacciato dalla sua persona.

Lo stesso Mussolini può essere inserito tra le figure narcisiste, e ciò si evince

principalmente dalla propaganda effettuata dal suo regime, che non idolatrava

semplicemente il fascismo, ma si incentrava principalmente sulla figura del duce.

Questo aspetto può più comunemente essere definito “culto della personalità” in

quanto egli fu abilissimo a propagandare la propria immagine: era il duce, il capo in

cui le masse dovevano identificarsi al fine di garantire un consenso totale. Mussolini

puntò molto sulla sua arte oratoria che incantava la folla durante i comizi, suscitando

anche sentimenti di fanatismo, ma il duce era il primo a credere in se stesso come

salvatore del popolo italiano. Nel 1912, Mussolini scrisse: “Noi vogliamo credere,

dobbiamo credere, l'umanità ha bisogno di un credo. La fede muove le montagne

perché ci dà l'illusione che le montagne si muovano. Questa illusione è forse l'unica

cosa vera nella vita”. Tutto ciò porta a ritenere che il Duce credesse nella sua stessa

propaganda e scambiò l'illusione per la realtà, difatti, uno degli atteggiamenti

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