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Sintesi
Sintesi Seconda Rivoluzione Industriale tesina


L'obiettivo di questa tesina di maturità è quello di volere analizzare i principali eventi che si sono verificati nel corso del 1800. In primo luogo una parte della tesina sarà dedicata alla Seconda Rivoluzione industriale che ha garantito lo sviluppo di importanti innovazioni tecnologiche; in ambito letterario invece viene descritta la corrente del verismo in Giovanni Verga.
Tra i collegamenti che la tesina permette vi sono: in geografia il petrolio, in Diritto l'articolo 41 della Costituzione, in Finanze l'IRPEF e i redditi fondiari, in Inglese invece Levi Strauss; in Francese viene descritta l'Esposizione Universale del 1889 e in Economia aziendale invece la contabilità aziendale.


Collegamenti

Seconda Rivoluzione Industriale tesina


Storia: La Seconda Rivoluzione industriale.
Italiano: Giovanni Verga e il Verismo.
Geografia : Il petrolio.
Diritto: L'articolo 41 della Costituzione.
Finanze: IRPEF e redditi fondiari.
Inglese: Levi Strauss.
Francese: L'esposizione universale del 1889.
Economia aziendale: La contabilità gestionale.
Estratto del documento

Tesina Multidisciplinare:

Seconda Rivoluzione Industriale

Verga e il Positivismo

Art. 41 Cost.

I Redditi Fondiari

Il Petrolio

La Contabilità Gestionale

Levi Strauss

L’Exposition Universelle de Paris de 1889

LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Uno degli aspetti che caratterizza la cultura occidentale della seconda metà dell’Ottocento è una grande fi-

ducia nel progresso tecnico-scientifico.

Auguste Comte nel suo libro, Corso di filosofia positiva, descrive la storia umana come una progressiva

avanzata verso forme sempre più mature di conoscenza. A uno stadio teologico, che tendeva a spiegare fat-

ti e fenomeni ricorrendo a entità sovrannaturali, succede uno stadio metafisico, che sostituisce le entità

spirituali con i princìpi astratti, per giungere infine allo stadio positivo, caratterizzato dal metodo della

scienza sperimentale che consiste nella spiegazione razionale dei fatti d’esperienza. Una volta raggiunto

questo stadio in tutti i campi del sapere, l’umanità potrà intraprendere un cammino inarrestabile verso il

pieno dominio sulla natura, però il sapere intorno all’uomo è ancora gravato da pesanti ipoteche teologiche

e metafisiche. Occorre dunque abbandonare la visione spiritualistica del comportamento umano e decider-

si a studiare l’uomo per quello che è: una specie naturale.

Nasce così, nel progetto di Comte, la sociologia, cioè una

scienza del comportamento umano che dovrebbe indivi-

duare i fattori determinanti dell’equilibrio sociale e favori-

re una continua e pacifica evoluzione della civiltà

all’insegna della ragione scientifica.

In Inghilterra Charles Darwin elaborò una teoria:

l’evoluzionismo. Essa si basava sul fatto che ogni specie na-

turale produce nel tempo un gran numero di piccole varia-

zioni casuali: tra queste solo alcune permangono come pa-

trimonio stabile della specie. La ragione è che gli individui

che ne sono i portatori possono risultare più adatti

all’ambiente in cui vivono: la loro sopravvivenza risulta

quindi facilitata, sinché attraverso molte generazioni un

meccanismo di selezione naturale tende a trasmettere e a esaltare solo le variazioni favorevoli. Si può defi-

nire la specie umana come l’anello più evoluto della catena biologica; la selezione dei caratteri che deter-

mina l’evoluzione della specie è fondata sulla sopravvivenza del più forte. In breve queste teorie di Darwin

portano alla nascita il cosiddetto darwinismo sociale, che eleverà il principio della selezione giustificando la

subalternità e l’esclusione dei più deboli con la lotta alla sopravvivenza.

Sempre in questo periodo, Joseph-Arthur de Gobineau aveva pubblicato un’opera nella quale affermava

l’esistenza di razze diverse, tra le quali la razza ariana presenterebbe evidenti caratteri di superiorità morale

ed intellettuale, rivendicando il ruolo naturale di guida nei confronti delle razze considerate inferiori.

La seconda metà dell’Ottocento fu caratterizzata, da un impressionante incremento della produzione, da

un più stretto rapporto tra ricerca scientifica, innovazioni tecnologiche e industria. Questo avvenne in mo-

do così sistematico ed efficace da condurre in breve a profonde trasformazioni nell’aspetto della società

occidentale: da qui l’espressione seconda rivoluzione industriale.

Nel 1876 Bell costruì il primo telefono, inventato dall’italiano Meucci. L’anno seguente Edison realizzò il fo-

nografo ed Berliner, il grammofono. Nel 1878, sempre Edison inventò la lampadina a filamento incande-

scente. Nel 1895 Marconi costruì il primo telegrafo senza fili e i fratelli Lumière inventano la cinematogra-

fia. Verso la fine del secolo videro la luce, le prime centrali elettriche pubbliche. Nel 1882 città come Lon-

dra, New York, Milano erano già in parte dotate d’illuminazione stradale elettrica. Il settore dell’industria

chimica conobbe un incremento senza precedenti. Le fabbriche di esplosivi si avvantaggiarono della scoper-

ta della dinamite; l’industria farmaceutica fu profondamente rinnovata dalle nuove scoperte dell’aspirina,

brevettata dalla ditta Bayer, e dall’invenzione del DDT, che rivo-

luzionò il campo degli insetticidi. Nel 1888 venne brevettato il

primo pneumatico. Nel 1859 gli Stati Uniti avevano avviato

l’estrazione di petrolio dal sottosuolo. Nel 1870 nasceva la Stan-

dard Oil Company, la prima grande impresa per l’estrazione del

petrolio. L’ultima grande invenzione di questo nuovo periodo di

straordinario sviluppo produttivo fu il motore a scoppio, ben più

flessibile, leggero e potente della macchina a vapore che aveva

caratterizzato la prima rivoluzione industriale, ben presto im-

piegato nell’industria automobilistica e seguito dal motore Die-

sel, che si rivelò particolarmente adatto per la propulsione delle navi. La seconda rivoluzione industriale in-

cise profondamente anche sulle modalità della produzione. Agli inizi del Novecento, negli Stati Uniti

l’ingegnere Taylor teorizzò un’organizzazione scientifica dell’attività di fabbrica (taylorismo), basata su una

suddivisione del processo produttivo in singoli gesti, per ciascuno dei quali era calcolato un tempo stan-

dard. L’operaio si vedeva assegnata una sola mansione, che era tenuto a svolgere esclusivamente e ripetiti-

vamente per tutta la giornata: una tale modalità produttiva privava definitivamente il lavoratore di ogni au-

tonomia decisionale e creativa, trasformandolo in un’appendice della macchina. Il modello di Taylor otten-

ne un ampio successo: a partire dalle catene di montaggio dell’industria automobilistica Ford, per poi dif-

fondersi anche in Europa. Esso ebbe pesanti conseguenze, sia sul piano psicologico, dato il carattere mono-

tono e spersonalizzato dell’attività, sia su quello sociale, poiché un tale sistema richiedeva abilità semplifi-

cate all’estremo, dunque intercambiabilità della manodopera.

Il clima d’ottimismo subì un arresto dal 1873; da quest’anno fino al

1896 l’Europa fu investita da una grave crisi economica, una fase che fu

definita grande depressione. In Germania si verificò una congiura nega-

tiva, paradossalmente legata alla vittoria sulla Francia. La Prussia, infat-

ti, aveva imposto agli sconfitti il pagamento dei danni di guerra, valutati

in cinque miliardi di franchi. La Francia pagò il suo debito e i tedeschi

non persero tempo ad immettere il nuovo capitale in circolazione, inve-

stendo nella produzione industriale. Il carattere generale della depres-

sione risale soprattutto alla crisi del settore agricolo europeo. Il popolo-

so continente europeo divenne sempre meno autosufficiente dal punto di vista della produzione agricola,

penalizzata dalla forte concorrenza del sistema agricolo americano. Il libero scambio e l’accelerazione delle

comunicazioni sono le cause della crisi del settore agricolo europeo.

La depressione inflisse un duro colpo alle certezze liberiste, che avevano sempre confidato

nell’autoregolamentazione del mercato, rifiutando ogni ipotesi d’intervento politico o comunque esterno al

circuito produttivo. Misure correttive in senso protezionistico vennero adottate negli anni Ottanta in tutti i

Paesi, con la sola eccezione dell’Inghilterra che assunse molto spesso il ruolo di imprenditore, sostenendo

l’economia, orientandola e finanziandola, presentandosi dunque come cliente, azionista e stratega della

produzione.

Il settore agricolo, il più provato dalla crisi, subì un forte ridimensionamento e si accentuò la tendenza degli

Stati Europei a dipendere dal mercato internazionale. In alcuni Paesi come l’Italia si adottarono provvedi-

menti protezionistici nei confronti della produzione cerealicola. In Francia, in Germania e in Danimarca lo

Stato intervenne per finanziare i settori più colpiti.

Tra le profonde trasformazioni indotte dalla crisi, vanno segnalate le forti concentrazioni capitalistiche e

produttive, tese ad abbattere la concorrenza e capaci di guadagnare posizioni di vero e proprio monopolio.

Nacquero le holding, cioè grandi società che avevano il controllo azionario di molte imprese e sede in diver-

si Paesi. Negli Stati Uniti si formarono imponenti trust, che con-

centravano nelle loro mani interi settori produttivi. A questi fe-

nomeni si aggiunsero spregiudicate strategie di mercato come

quelle rappresentate dai cartelli (accordi fra produttori per uni-

formare costi e tariffe) o dalla pratica del dumping (vendita sotto

costo di certi prodotti allo scopo di eliminare la concorrenza e im-

padronirsi del mercato). La stretta integrazione fra sistema ban-

cario e sistema industriale divenne determinante. Solo le banche,

infatti, potevano disporre dei capitali adeguati per la gestione del-

le nuove, gigantesche concentrazioni imprenditoriali.

Dal 1870 alla Prima guerra mondiale il mondo intero e il continente europeo in particolare furono interes-

sati da una notevole crescita demografica. Le aree maggiormente industrializzate furono caratterizzate da

una crescita più modesta rispetto a quelle agricole, nonostante proprio la civiltà industriale avesse contri-

buito a ridurre il tasso di mortalità con il miglioramento delle condizioni igieniche e le crescenti vittorie del-

la medicina sulle malattie che avevano falcidiato le popolazioni nei secoli precedenti. I Paesi industrializzati

affiancarono anche una riduzione della natalità, dovuta alla maggiore consapevolezza delle tecniche con-

traccettive, crescente impiego delle donne in fabbrica e minore disponibilità alla cura della prole, scolariz-

zazione e rigidi controlli sul lavoro minorile, che rendevano più costoso il mantenimento dei figli, ritardan-

done progressivamente l’ingresso nel mondo del lavoro. Possiamo affermare che il modello della civiltà in-

dustriale si allontanava sempre più dallo stile di vita tradizionale della civiltà contadina, dove il numero dei

figli era spesso garanzia di produttività. Diversa la situazione dell’Europa mediterranea e orientale, ancora

fortemente legata al modello rurale: qui il livello di mortalità si manteneva stazionario, mentre si assisteva

a una forte crescite demografica. Il fatto che in queste aree le condizioni di vita fossero ancora molto disa-

gevoli e l’età media della popolazione fosse decisamente più bassa contribuì in modo determinante

all’ondata migratoria che spinse molti a cercare fortuna nel continente americano.

Questione Sociale

Alla fine del XIX secolo la società europea è interessata da profonde trasformazioni. Conserva ancora un

certo prestigio, la vecchia aristocrazia fondiaria, che in Europa centro-orientale costituisce ancora il vertice

sociale ed economico. In Gran Bretagna e in Francia c’è invece

l’ascesa della borghesia imprenditoriale. Ai vertici troviamo l’alta

borghesia, che rappresenta la guida economica e politica della so-

cietà; al di sotto c’è la media borghesia, composta da alti funziona-

ri, dirigenti, professionisti, ricchi commercianti; infine la piccola

borghesia, rappresentata da bottegai ed artigiani, lavoratori di-

pendenti ed impiegati. In termine di reddito, spesso la piccola bor-

ghesia veniva accostata al proletariato. Anche il proletariato indu-

striale non può definirsi una classe sociale del tutto omogenea, perché al fianco dei lavoratori specializzati,

che rappresentano la classe élite proletaria, veniva accostato il proletariato giornaliero, i disoccupati. La

classe borghese rappresentava il proprietario dei mezzi di produzione mentre il proletario era il lavoratore

salariato, ricco soltanto della forza delle sue braccia.

Con l'avvento della rivoluzione industriale e il mutare delle condizioni di lavoro, nacque la classe operaia, il

cosiddetto proletariato urbano. Questo, privo di protezione ed esposto al rischio permanente della disoc-

cupazione, dal momento che l'abbondante manodopera permetteva agli imprenditori di licenziare quando

volessero, era sottoposto a condizioni di lavoro durissime. Le macchine, che non erano più alimentate da

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