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Sintesi

Nella mia tesina mi sono occupato della problematica della fiducia verso la scienza, vista sia dalla prospettiva delle sue potenzialità  tecniche, sia dai suoi doveri morali nei confronti del genere umano.

Materie trattate: Italiano, Filosofia, Latino, Storia, Inglese, Scienze, Fisica

Estratto del documento

SCIENZA, RAGIONE

E

COSCIENZA

Lorenzo Pasquale Longo

Liceo Classico Socrate

IIIA

A.S.2006/2007

1

SCIENZA, RAGIONE E COSCIENZA

INDICE:

INTRODUZIONE (Pag. 3 - 6)

Latino: Seneca e la Naturales Quaestiones (Pag. 7 – 8)

Filosofia: Comte e Il Positivismo (Pag. 9 – 10)

Italiano: Il pessimismo di Leopardi e Verga

(La Ginestra e I Malavoglia) (Pag. 11 – 13)

Inglese: Frankenstein di Mary Shelley (Pag. 14 – 15)

Scienze e Fisica: Dalle Osservazioni di Galileo, (Pag. 15 – 20)

alle leggi di Keplero

Storia: I Crimini della Scienza (Pag. 21 – 22)

(Hiroshima e Nagasaki)

2

INTRODUZIONE “

molte cose che noi ignoriamo

saranno conosciute

dalle genti dell’evo futuro;

molto è riservato a generazioni

ancor più lontane da noi nel tempo,

quando di noi

anche il ricordo sarà cancellato…”

Seneca, Naturales questiones

Lo sviluppo delle conoscenze nel campo della scienza e della tecnica ha sempre

fornito un contributo fondamentale allo sviluppo delle civiltà, permettendo a popoli

ed individui, con le sue scoperte, di raggiungere condizioni di vita progressivamente

migliori.

Nonostante i grandi progressi a cui essa ha indubbiamente condotto, o più

probabilmente proprio a causa di questi, molti filosofi, letterati e persino alcuni

scienziati si sono sempre più interrogati sulla validità e sui limiti della scienza stessa.

Il pensiero umano ha continuato ad oscillare senza sosta fra una totale accettazione ed

un rifiuto di tutto ciò che essa comporta.

All’incondizionata fiducia che nell’Ottocento correnti filosofiche come il Positivismo

Comte

avevano dato alla ragione scientifica, e si pensi, a riguardo, al pensiero di che

la concepiva come essenzialmente diretta a stabilire il dominio dell’uomo sulla

natura, già si opponeva un forte dubbio sul reale valore di questo progresso. Versi

come Qui mira e qui ti specchia,

Secol superbo e sciocco

Leopardi

che troviamo nella di o i due libri, i e

Ginestra Malavoglia Mastro Don

Verga

che ha lasciato con il suo incompiuto scritti proprio

Gesualdo, Ciclo dei vinti,

quando questa corrente si stava per affermare o lo aveva fatto da poco, mostrano

apertamente quale fosse il forte dissenso da parte di questi due letterati italiani nei

confronti delle “MAGNIFICHE SORTI ET PROGRESSIVE”, ovvero l’illusione

positivistica di un continuo progresso trainato dalla scienza e dalla tecnica. Ma questa

resta comunque una critica rivolta essenzialmente alla reale capacità dello sviluppo

scientifico di condurre ad un effettivo miglioramento globale, nella convinzione che

di esso alla fine non tutti possano beneficiare, ed anzi, alcuni, finiscano dalla sua

vinti

incessabile fiumana, deposti sulla riva, travolti da ciò che avrebbe dovuto esaltarli.

In realtà, tale dissenso nei confronti del mito che si era creato sulle potenzialità

teoriche e pratiche della scienza e della ragione, si ferma solo al suo aspetto esteriore,

alla sua eccessivamente ottimistica fiducia; non propone soluzioni, assume un ironico

e polemico distacco nei versi di Leopardi e mostra soltanto, nei libri verghiani, una

3

situazione ben diversa da quella a cui questo incessante progresso avrebbe dovuto

condurre.

Ben più profonde e senza dubbio molto più moderne, sono, invece, le domande che

Mary Shelley

pochi anni prima si era posta l’inglese scrivendo il suo celeberrimo

Frankenstein. Qui non ci si chiede se il progresso tecnico e scientifico sia davvero in

grado di portare ad un generale miglioramento delle condizioni di vita per l’umanità,

ma, al contrario, se esso non possa finire per distruggerla. L’obiettivo è spostato, da

chi si illude e lo subisce, i vinti, a chi si sforza in ogni modo di realizzarlo, uno

scienziato, il Victor di Mary Shelley. Ed in questo personaggio si condensano le

paure di una generazione, quella dei poeti romantici inglesi, affascinata, ma allo

stesso tempo spaventata, dalla scienza e dalle sue scoperte. Così Victor, nella sua

infinita ambizione di cercando di trainare verso un benefico progresso

overreacher, Robert Jungk

l’umanità, finisce per credersi un dio in grado di creare la vita. lo

definirebbe, proprio come fa per i vari “scienziati atomici” di cui narra la storia nel

famosissimo saggio nulla più che un apprendista stregone.

Più lucente di mille soli,

Ed infatti, Victor perde controllo sulla sua creazione e viene punito con la morte per

la sua smisurata sete di conoscenza. L’aver perso di vista la morale lo porta

all’autodistruzione, ma egli è, comunque, l’unica vera vittima dell’errato uso che ha

fatto della scienza e dei suoi mezzi. La sua stessa creazione mostra di essere in un

certo senso più saggia, di avere quella coscienza che Victor ha perso, bruciando il suo

stesso corpo per evitare che altri “apprendisti stregoni” possano da esso trarre

ispirazione per nuove mostruose creazioni. Mary Shelley affronta, così, la

problematica del rapporto tra doveri morali e scienza, ma lo fa ancora con una veduta

piuttosto ristretta, può ancora solo immaginare a quali grandi capacità distruttive

possano giungere le scoperte scientifiche, non può certo sapere a cosa arriveranno gli

apprendisti stregoni di cui parla Jungk nel suo saggio. Ed è, infatti, proprio il secolo

scorso, cresciuto attorno al valore della libertà della ricerca scientifica, diviso fra la

fede nel progresso a cui dalla stessa veniva trascinato ed un sempre più forte orrore

per alcune strade intraprese, quello che più di tutti l’ha messa in dubbio per il

carattere spesso disumanizzante che tale ricerca ha assunto. Esempi come quelli della

bomba atomica, delle armi chimiche, potranno sembrare scontati, ma sono senza

dubbio il risultato maggiore dell’uso distorto delle capacità scientifiche a cui si è

arrivati. Inoltre, in particolar modo negli ultimi anni, la pratica scientifica è stata

continuamente messa in discussione in campi, come quello della ricerca biomedica,

in rapido e continuo sviluppo. Se da un lato, infatti, alla possibilità di modificare la

struttura biologica, si riconoscono indubbi vantaggi, come la cura di malattie

genetiche, la possibilità di migliorare l’agricoltura e di ridurre il problema della fame

nel mondo con spese minime, si intravede anche il rischio di creare forme di vita

anomale, dannose per l’uomo, come batteri resistenti ai moderni antibiotici, oppure di

permettere, proprio come aveva fatto il Frankenstein di Mary Shelley, di manipolare,

in questo caso attraverso i geni, la vita umana.

Cosa si può fare, allora, per evitare che uno scienziato oggi diventi, come si

autodefinì con tristezza Oppenheimer, il fisico a guida del progetto americano per la

costruzione della bomba atomica, “Morte, il distruttore dei mondi”?

4

Diverse sono le risposte che si è provato a dare a questa domanda, così frequente

proprio dopo la deflagrazione della stessa bomba, concepita come lo strumento “di

pace” che avrebbe potuto da sola porre fine alla guerra nei confronti della Germania,

e poi utilizzata con un inutile dimostrazione di forza contro un Giappone già vinto,

Einstein,

seppure non ancora domo. da scienziato, cercava la risposta non nella

scienza stessa, in cui aveva ovviamente una totale fiducia, ma nell’erroneo uso che di

essa si è sempre fatto. Conscio che “entro mura misteriose si

perfezionano con fretta febbrile i mezzi di distruzione

collettiva”, affermava la necessità, in un suo discorso

pronunciato proprio davanti agli scienziati italiani, di

“ammonire ora e sempre”, per evitare che “al termine del

cammino si profili sempre più distinto lo spettro della

distruzione completa”. Ma probabilmente creare strumenti

potenzialmente mortali, consegnarli in mano a chi può

permettersi di usarli e poi ammonire sulla loro portata

distruttiva non è sufficiente, se non ipocrita. O almeno così affermerebbe il Mobius,

Friedrich Durrennmatt,

protagonista della commedia dello svizzero

I Fisici

scopritore della fantomatica “formula universale del sistema per tutte le scoperte”. In

tale opera teatrale, infatti, viene nuovamente portata avanti la problematica della

coscienza degli scienziati, ma con un’ottica diversa, quasi paradossale. Il fisico,

infatti, piuttosto che divulgare e sfruttare la sua scoperta, preferisce nascondersi,

fingersi pazzo, per evitare che la sua creazione finisca nelle mani sbagliate e diventi

un nuovo strumento di distruzione;

Oggi il genio deve restare misconosciuto.

È questo il motto che egli ripete continuamente.

Ma è davvero questa la soluzione? Può davvero oggi il genio restare misconosciuto?

È davvero possibile e auspicabile che un uomo di scienza si comporti come Mobius,

Sciascia

o come l’Ettore Majorana che romanzescamente ci racconta nel suo La

Il fisico, che anche qui, in stile

scomparsa di Majorana?

pirandelliano, decide di sparire per sottrarsi alla sua scienza,

forse spaventato dallo spettro dell’atomica che aveva intravisto

tra i possibili risultati delle sue ricerche, preferendo vivere

nascosto, rinunciando al suo genio, pur di non dover diventare

strumento di morte, è davvero l’esempio da seguire? O lo sono

forse Fermi, Oppenheimer ed i suoi seguaci, o lo stesso

Frankenstein che, forse ingenuamente, rinunciarono alla loro

coscienza, entusiasti delle scoperte a cui andavano incontro?

La risposta che ci dà Sciascia, è quasi scontata, ed è

rappresentata dalla figura di Heisenberg, il fisico tedesco, che, nella storia, forse

leggenda, avrebbe deciso di non condurre gli scienziati hitleriani alla creazione

dell’atomica: 5

“In un mondo più umano, più attento e più giusto nella scelta dei suoi valori, dei suoi

miti, la figura di Heisenberg più dovrebbe e nobilmente aver spicco di altre che nel

campo della fisica operarono negli stessi suoi anni – più di coloro che la bomba la

fecero, la consegnarono, con esultanza accolsero la notizia degli effetti e soltanto

dopo (ma non tutti) ne ebbero smarrimento e rimorso”

Ma la risposta del letterato Sciascia, non è completa, come non lo era quella dello

scienziato Einstein. Resta legata a dei valori, quelli della letteratura, che la scienza

non sarà mai in grado di possedere. E lo dimostrano proprio questi tre fisici “con una

coscienza”, che Durrenmatt e lo stesso Sciascia ci descrivono, alla fine, come degli

sconfitti. Mobius è costretto a veder vano ogni tentativo di nascondere la sua

scoperta, Majorana a fuggire dalla sua scienza e Heisenberg, proprio lui, schiavo di

un regime, a guardare i suoi colleghi “liberi” realizzare, oltre l’Atlantico, di loro

stessa volontà, quella bomba da cui egli si era tenuto con coraggio lontano.

Pur da sconfitti, essi restano comunque le figure più nobili, gli esempi da seguire. Per

evitare il loro fallimento, però, non bisogna certo cercare di fermare la scienza, come

oggi, soprattutto nel campo delle biotecnologie, in molti considerano necessario, ma

piuttosto, mirare, memori, ma non bloccati dalle loro paure, a fare un uso sapiente

dell’enorme potenziale che la scienza pone nelle nostre mani, senza permettere che

esso possa distruggere ciò che dovrebbe, invece, esaltare, ovvero l’umanità.

6

La Scienza nel passato: Seneca e le Naturales Quaestiones

Parlare di scienza riferendosi ad un passato remoto come quello dell’Impero Romano

è senza dubbio arduo se pensiamo che la scienza moderna, come oggi noi la vediamo,

Seneca

è nata solo tra il XVI ed il XVII secolo. Ugualmente però, un’opera di come

quella delle può, sotto molti aspetti, essere considerata

Naturales Quaestiones,

moderna. Con questo lavoro, composto negli ultimi anni di vita del filosofo, l’autore

intende approfondire la conoscenza di quella che egli definisce la meteorologia,

ovvero la scienza dei fenomeni che si svolgono fra cielo e terra.

In realtà, sebbene ovviamente quella di Seneca sia un’analisi dai risultati tutt’altro

che scientifici, e pensiamo a riguardo alla sua teoria sui terremoti, la cui causa erano

considerati soffi d’aria che, entrati all’interno della crosta terrestre, ne sconvolgevano

l’assetto, ciò che caratterizza l’opera, sono le finalità che l’autore si pone.

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