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Sintesi

Dalla scienza antica alla nuova scienza, il suo evolversi, la sua efficacia e i suoi limiti.

Materie coinvolte: Fisica, chimica, geografia astronomica, biologia, italiano, filosofia, storia, latino.

Estratto del documento

DALLA SCIENZA ANTICA ALLA NUOVA

SCIENZA

L’epoca greca e romana. Il pensiero filosofico, nelle varie epoche

storiche, ha elaborato principi ispiratori della vita umana e del comportamento

degli uomini; al tempo stesso si è proteso alla ricerca della verità nelle sue

molteplici espressioni, sotto qualunque forma essa si nascondesse alla conoscenza

degli uomini.

Alle radici della nostra civiltà, la Grecia fu la culla del pensiero razionale,

filosofico e matematico, tanto che a Pitagora, Talete, Archimede si deve la

scoperta di molte leggi scientifiche, in campo della geometria e della fisica, che

ancora oggi dettano, con immutata freschezza, le loro regole. Poiché la

matematica è la madre di tutte le scienze, possiamo affermare che i primi filosofi,

i quali spesso erano anche matematici, sono stati perciò anche i primi scienziati

nella più stretta osservanza del termine. Proprio Talete e Pitagora espressero in

termini filosofici il loro pensiero sull’origine del mondo e sull’armonia che lo

governa, e con i loro celebri teoremi geometrici hanno dato ai futuri scienziati la

chiave della risoluzione di importanti calcoli matematici.

La ricerca della verità, come insieme di regole che governano il mondo

naturale, fa assomigliare il filosofo al mitico Ulisse, uomo tormentato dalla sete

del sapere. Ma nell’unità d’intenti, fra il filosofo ed Ulisse c’era diversità

d’attuazione: la forza del pensiero nel primo, l’azione esploratrice nel secondo.

Però, agli albori del pensiero filosofico, la matematica e la forza del pensiero non

potevano, come non possono oggi, trovare una risposta esauriente a tutti i perché

dell’esistenza. 5

La Grecia, come ho detto, fu la culla del pensiero filosofico. Sulle varie e

numerose correnti di pensiero si distinse la scuola di Atene, che con Socrate,

Platone ed Aristotele raggiunse le sue più alte espressioni.

Aristotele, che è stato tra i più grandi pensatori di tutti i tempi e,

certamente, il più grande del mondo antico, con la sua autorevolezza e razionalità

ha dettato le regole nei vari campi dello scibile umano, dalla politica alla fisica,

dall’anatomia alla metafisica, ed a lui si sono poi riferiti i pensatori dell’epoca

medievale, che hanno preso per verità scientifica indiscutibile tutto ciò che lui ha

detto. Egli però, quasi a sostegno del futuro pensiero dell’oligarchia romana,

affermò che la verità di scienza è privilegio di un’elite, e che l’ordine sociale deve

basarsi sull’accettazione della superstizione e dei pregiudizi popolari.

Aristotele

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Per quali motivi, dopo i greci, tutto il pensiero razionale, così ben avviato,

si è improvvisamente arrestato?

Graecia capta romanos victores cepit: in quest’affermazione sta la

risposta alla domanda, perché se Roma fu affascinata dal mondo greco per la

bellezza delle sue opere artistiche e letterarie, non lo fu altrettanto per

l’importazione culturale e razionale del suo pensiero. I romani non mostrarono

particolare interesse per le scienze, e nelle loro scuole superiori si privilegiava la

grammatica e la retorica, la letteratura e la filosofia fine a se stessa, ma non le

scienze. Le ricerche di medicina, astronomia, matematica e fisica, che alcuni

sporadici imperatori incoraggiarono, restarono solo un patrimonio astratto

confinato nei libri. Le applicazioni pratiche di queste discipline venivano

comunemente affidate a specialisti stranieri, come i greci Galeno e Tolomeo, e la

medicina, che con Ippocrate aveva avuto in Grecia il suo più alto ed autorevole

esponente, a Roma veniva praticata dagli schiavi o dai liberti greci. Roma

privilegiò lo studio dell’architettura e le conoscenze geografiche, l’ingegneria

idraulica, l’arte della costruzione dei ponti e delle strade, ma solo al fine pratico e

speculativo di migliorare il lusso delle classi sociali più elevate e realizzare

l’espansione dell’impero.

I motivi di disinteresse per le conoscenze scientifiche erano d’ordine

sociologico e politico. L’apertura al volgo della scienza della natura, come fa

notare giustamente Farrington (“Scienza e politica nel mondo antico” -

Feltrinelli, 1976) era mal vista dall’oligarchia dirigente e dalle classi privilegiate,

sia nella Roma repubblicana che imperiale, le quali sapevano bene che per

controllare la società era necessario controllare (cioè blindare o censurare) la

“verità”, che è necessariamente nemica del cieco autoritarismo, il quale fortifica

sempre il suo potere nell’ignoranza e nella irrazionalità del popolo. Quindi,

mentre la democrazia solo vagamente intuiva che il suo progresso e destino era

legato alla scienza, nei vari suoi aspetti, l’autorità oligarchica era consapevole che

la sua arma vincente stesse proprio nell’ignoranza della gente.

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Ma poiché il popolo ha sempre bisogno di “credere” in qualcosa, le classi

dirigenti cercarono altre fonti di “verità false”, con le quali imbonire la sua

credulità, e s’inventarono l’oracolo di Delfi, gli scritti sibillini, si cercavano i

presagi nelle viscere delle vittime sacrificali, nel canto e nel volo degli uccelli, ed

a tali menzogne si dava tanto più credito quanto più queste uscivano dalla bocca

di qualche uomo grande e famoso, la cui “gravitas” fosse tale da accreditare e

rendere “vero” ciò che diceva.

Perciò nell’antica Roma i governi raggiunsero, con il controllo della

società mediante la superstizione, un successo che i greci non avevano raggiunto,

ed il progresso della pubblica ignoranza fu un mezzo sicuro di gestione del potere.

Questa politica trovò, negli scritti di Varrone e di Cicerone, il suo autorevole

avallo. Secondo Cicerone, la ricerca scientifica deve essere condizionata a certe

regole, e soprattutto subordinata all’officium ed all’utilitas sociale:

“Cognitio contemplatioque naturae manca quodam modo atque inchoata

sit, si nulla actio rerum consequatur. Ea autem actio in hominum commodis

tuendis maxime cernitur; pertinet igitur ad societatem generis humani; ergo haec

cognitioni anteponenda est” …

… Quibus rebus intellegitur studiis officiisque scientiae praeponenda esse

officia iustitiae, quae pertinet ad hominum utilitatem, qua nihil homini esse debet

antiquius” …

… Ergo omne officium, quod ad coniunctionem hominum et ad societatem

tuendam valet, anteponendum est illi officio, quod cognitione et scientia

continetur”…

Uno degli aspetti in cui l’oligarchia dominante restaurò e mantenne

l’ordine sociale con maggior successo fu la religione. Roma conservò il culto

politeistico della Grecia, ma dandogli una maggiore valenza sociale e politica e

sostituendolo alla razionalità del pensiero greco. Il politeismo, che della

superstizione fu il nobile padre, rappresentò in Roma, per secoli, il sostituto della

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scienza, e, con esso, si cercava di spiegare tutti gli avvenimenti naturali e di

interpretare anche i moti dello spirito. C’erano gli Dei del mare, dei venti, dei

fiumi, ai quali si attribuivano i vari fenomeni fisici che governano le tempeste

marine, il moto dei corsi d’acqua, il generarsi dei tuoni e dei fulmini. Al tempo

stesso, il pensiero filosofico più alto ed elaborato poneva all’attenzione dell’uomo

i quesiti dell’anima e del mondo metafisico.

I primi naturalisti. Pur in questa generale visione politeistica e

antiscientifica del mondo antico, non sono mancate voci ed opere dissenzienti

d’alcuni scrittori e filosofi, detti naturalisti, che noi potremmo considerare gli

antesignani del pensiero scientifico moderno. Infatti, questi scienziati “moderni

ante litteram”, fra i quali ricordo Plinio il Vecchio, Seneca e Lucrezio,

osservavano attentamente la natura, nei suoi vari aspetti e fenomeni,

considerandola la vera fonte di studio, d’informazione e quindi di progresso

conoscitivo.

Lucrezio, nel De rerum natura, esamina i fenomeni naturali sfrondandoli

d’ogni determinismo metafisico e riconducendoli al ruolo di puri eventi fisici e

materiali. Contro ogni visione teologica della storia, egli afferma che il mondo e

gli esseri umani non sono stati creati da un Dio, e che il progresso umano non è

stato fatto né dalla natura né dagli Dei. Sotto le sembianze di un’affascinante

poesia, le descrizioni della “terra fecondata dalla pioggia, degli alberi fiorenti,

delle messi ondeggianti, della prole del gregge ruzzante nella molle erbetta dei

prati”, si alternano ad affermazioni dottrinarie ed enunciati fisici di maggior

valenza scientifica, quali la concezione degli atomi eternamente mobili, diversi fra

loro. Lucrezio considera la materia composta di atomi, rifacendosi al pensiero

filosofico di Democrito. Ma, rompendo il determinismo del filosofo greco,

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Lucrezio ritiene che gli atomi presentino un’infinità di forme ed una tale varietà

di combinazioni da giustificare la molteplicità delle sostanze che compongono la

materia, ed inoltre che subiscano continue deviazioni dal loro movimento di

caduta verticale. Una pagina del De rerum natura

Nella teoria del clinamen l’autore spiega come tali deviazioni degli atomi,

dovute ad un impulsi imprevedibili, provochino scontri con altri atomi dando

origine ai vari corpi: “Illud in his quoque te rebus conoscere avemus

corpora cum deorsum rectum per inane feruntur

ponderibus propriis, incerto tempore ferme

incertisque locis spatio repellere paulum,

tantum quod nomen mutatum dicere possis.

Quod nisi declinare solerent, omnia deorsum,

imbris uti guttae, caderent per inane profundum,

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nec forent offensus natus nec plaga creata

principiis: ita nil umquam natura creasset.

Nel IV libro del De rerum natura Lucrezio precorre gli illuministi,

quando espone la sua teoria della conoscenza, fondata sui sensi e sui simulacra

rerum, tenui immagini formate da sottili corpuscoli che si staccano dagli oggetti

riproducendone la forma e le qualità sensibili, per poi raggiungere l’intelletto

tramite la percezione dei sensi. Lui, contrariamente agli scettici, dà veridicità alle

sensazioni, come basi certe d’ogni possibile conoscenza.

Nella natura non esiste alcunché di spiritualmente eterno, tutte le cose sono

preda della caducità e della morte, anche l’anima, ridotta solo a capacità

vegetativa e principio intellettivo.

Come il corpo, divisibile in parti, è mortale, così l’anima separata dal

corpo deve essere ugualmente mortale:

“Et quondam toto sentimus corpore intesse

vitalem sensum et totum esse animale videmus,

si subito medium celeri praeciderit ictu

vis aliqua ut sursum partem secernat utramque,

et caput abscissum calido viventeque trunco

servat humi vultum vitalem oculosque patentis,

donec reliquias animai reddidit omnis.“

In questa visione materialistica della vita e del mondo non c’è spazio per

gli Dei né per l’eternità dello spirito, e l’investigazione lucreziana mira

semplicemente a conoscere i fenomeni naturali ed il loro divenire, in un contesto

di caducità di tutte le cose. E’ il trionfo dell’epicureismo, cui Lucrezio sembra

particolarmente vicino. 11

Seguendo la scia di Lucrezio nello studio della natura, Seneca, nelle

“Naturales quaestiones”, opera enciclopedica composta intorno al 62 - 63 d.C., ci

dà un ampio saggio sui vari fenomeni naturali, raccolti in sette libri: i fuochi

celesti, i tuoni i fulmini e i lampi, le acque terrestri, la piena del Nilo e le nubi, i

venti, il terremoto, le comete. Nello studio dei terremoti ci sorprende per

l’arditezza di alcune sue interpretazioni e descrizioni:

“Ignem spiritus concitat. Acquae, si ventum detrahas, inertes sunt; tum

demum impetum sumunt, cum illas agit flatis. Et potest dissipare magma terrarum

spatia et novos montes subiectus extollere et insulas non ante visas in medio mari

ponere...

Duo genera sunt, ut Posidonio placet, quibus movetur terra. Utrique

nomen est proprium. Altera succussio est, cum terra quatitur et sursum ac

deorsum movetur; altera inclinatio, qua in latera nutat alternis navigi more…”

Hoc malum altissime patet inevitabile, avidum, publice noxium. Non enin

domos solum aut familias aut urbes singulas haurit, gentes totas regionesque

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