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Sintesi
Sintesi Potere dell'immaginazione tesina


Quella dell’immaginazione è una facoltà che molto mi affascina, per il suo potere di proiettare oltre le logiche della realtà. La sua importanza è stata riconosciuta da tanti, nel campo della filosofia, della letteratura e anche della scienza. Per iniziare la mia tesina, prendo in esame Leopardi, grande esponente del Romanticismo Italiano, la considera talmente importante da definirla come unica fonte di felicità per l’uomo. Ma anche un altro grande letterato e filosofo più contemporaneo, Pirandello, ide in essa un’alternativa d’evasione dalla “trappola” della vita. In campo filosofico, diversi sono stati i filosofi che hanno meditato sul ruolo dell’immaginazione, da Aristotele a Platone fino a Kant. Io ho sviluppato l’idea di Freud riguardo i sogni, che possono essere definiti come forme di immaginazioni riprodotte dall’ inconscio che in qualche modo riescono ad appagare i desideri che in esso si nascondono. Anche la scienza, oltre alla logica, ha bisogno dell’ immaginazione, diversi scienziati lo confermano. Il grande Einstein affermava, infatti, che “l’ immaginazione è più importante della conoscenza; John Dewey che affermava , invece, che “ Ogni passo avanti nella scienza è partito da un nuovo spunto dell’ immaginazione”; infine, il matematico Augustus de Morgan riteneva che “ la forza trainante della matematica non è il ragionamento, ma l’immaginazione.
Estratto del documento

immaginare, ignoravano la loro reale infelicità. Secondo il Leopardi il progresso

e la ragione hanno causato nell’uomo a lui contemporaneo la fine delle illusioni

dello stato primitivo e hanno indotto l’ uomo a vedere la sua vera condizione

rendendolo infelice. Pertanto la storia dell’uomo viene vista dal Leopardi non

come progresso ma come decadenza da uno stato di inconscia felicità naturale

ad uno stato di consapevole dolore scoperto dalla ragione.

Inoltre egli sostiene che ciò che è avvenuto nella storia dell’umanità si ripete

immancabilmente nella vita di ciascun individuo allorché si passa dall’età

dell’infanzia e della giovinezza, quando tutto il mondo è pieno di incanto e di

promesse, all’età adulta considerata l’età del dolore consapevole ed

irrimediabile.

La ragione è colpevole della nostra infelicità in contrasto con la natura madre

benigna e pia che cerca di coprire con il velo delle illusioni le tristi verità del

nostro essere. Leopardi critica in modo fortemente negativo la civiltà dei suoi

anni e l’ Italia gli appare miserevolmente decaduta dalla grandezza del

passato. Da questa visione negativa della società del suo tempo ne scaturisce

un atteggiamento da titano, ovvero di colui che si erge al di sopra degli altri

uomini, il poeta come unico che opera per difendere le virtù antiche.

pessimismo psicologico

La fase del si basa sulla teoria del piacere, egli da

materialista qual‘è , identifica la felicità con il piacere sensibile e materiale ma

il piacere,

non un piacere, bensì considerato infinito per estensione e per

durata. Poiché nessuno dei piaceri che sperimenta l’ uomo può soddisfare

questa esigenza, nasce in lui un senso di insoddisfazione perpetua, di infelicità

insieme alla consapevolezza della nullità di tutte le cose. L’ uomo è destinato,

quindi, ad essere necessariamente infelice perché secondo questa teoria “

l’amor proprio” porta l’individuo ad una ricerca di piacere che non viene mai

colmato , questo pessimismo è più radicale del primo perché l’infelicità non è

un dato occasionale ma è una costante della condizione umana.

pessimismo cosmico,

La terza fase è quella del se prima la natura era

concepita ,da Leopardi, come madre benigna, in questa fase la considera come

malvagia, crudele e indifferente alla sorte delle sue creature e governata da

leggi meccaniche ed inesorabili. Il poeta, in questo momento della sua

riflessione, scopre che la natura ha messo nell’uomo quel desiderio di felicità

infinita ma non gli ha dato i mezzi per soddisfarlo. La colpa dell’infelicità,

adesso non è più dell’uomo stesso, ma solo della natura così come dice, il

O natura, natura, perché non rendi poi quel che

poeta, nel canto “ A Silvia” : “

prometti allor ? Perché di tanto inganni i figli tuoi?”.

Di fronte alla natura il poeta assume un duplice atteggiamento ne sente nello

stesso tempo il fascino e la repulsione , ama la natura per la sua bellezza,

potenza ed armonia ma la odia per il concetto filosofico che si forma di essa,

fino a considerarla non più la madre benigna e pia del primo pessimismo ma

una matrigna crudele ed indifferente ai dolori degli uomini. Poeticamente

Leopardi descrive la natura, come una sorta di divinità malvagia che opera per

far soffrire le sue creature. Comunque in una fase intermedia, Leopardi, cerca

di mediare tra le due visioni contraddittorie della natura, attribuendo le

responsabilità del male al fato e proponendo una concezione dualistica : natura

benigna contro fato maligno ma successivamente, questo dualismo viene

superato e alla natura vengono attribuite le caratteristiche di malvagità crudele

che prima erano del fato. In questo momento della sua meditazione egli

rivaluta la ragione che se prima era considerata causa d’infelicità , per avere

distrutto le illusioni con la scoperta del vero ora gli appare come l’unico bene

rimasto agli uomini. Essi, forti della loro ragione, possono porsi eroicamente di

fronte al vero, e conservare nelle sventure la propria dignità , unendosi fra

loro con fraterna solidarietà e vincere o almeno lenire il dolore, così come dice

il poeta nella “ Ginestra”.

L’ infelicità non è più legata ad una condizione storica e relativa all’ uomo, ma

ad una condizione assoluta e immutabile. L’ atteggiamento che ne consegue

non è più quello di titano, poiché se l’ infelicità è un fatto di natura vane sono le

forme di protesta, ma quello contemplativo, di distacco e rassegnazione. Il suo

ideale non è più l’ eroe antico ma lo stoico, la cui caratteristica è l’ atarassia, il

distacco imperturbabile dalla vita.

Se nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, l’uomo può raggiungerlo, in

l’ immaginazione.

una realtà parallela, illusoria mediante L’immaginazione

compensa la realtà , che non è altro che infelicità e noia, dando all’uomo la

possibilità , di trovare un appagamento illusorio al suo bisogno di infinito. A

stimolare le facoltà immaginative nell’uomo è tutto ciò che è“vago e

teoria della visione,

indefinito”. Egli si costruisce una e propria cioè idee vaghe

e indefinite sono suscitate dalla vista impedita da un ostacolo, che può essere

una siepe, un albero, un colle, e come dice Leopardi “allora in luogo della vista

lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra al reale”. Inoltre viene a

teoria del suono,

costruirsi anche una cioè il poeta elenca tutta una serie di

suoni che sono suggestivi perché vaghi e contribuiscono a stimolare

l’immaginazione. È in questo dunque, nel vago e nell’indefinito, che consiste il

bello poetico. Inoltre Leopardi a questa tematica affianca quella della

rimembranza, sostenendo che determinate immagini sono suggestive perché

evocano sensazioni che ci hanno affascinato da fanciulli. La poesia diventa

così il recupero della visione immaginosa tipica del fanciullo attraverso la

memoria.

L’infinito nell’ immaginazione

L’ infinito – G. Leopardi

Il grande potere che Leopardi attribuisce all’ immaginazione è espresso in

modo particolare in una delle sue più celebri

poesie: “L’ infinito”. La lirica fu composta a

Recanati, città natale del poeta, nel 1819 e

pubblicata per la prima volta nel periodico

bolognese “Il Ricoglitore, successivamente fu

Canti.

inserito nella raccolta

Infinito

Nell’ il poeta tramite l’

immaginazione, che gli viene suscitata da

particolari sensazioni visive ed uditive vaghe

e indefinite, si proietta idealmente in un

infinito in senso spaziale e temporale. La

sensazione visiva di partenza è la siepe. Il

poeta seduto davanti la siepe che gli impedisce di guardare oltre, di vedere l’

orizzonte, immagina oltre questa , spazi interminabili che vanno anche oltre la

linea dell’ orizzonte che la siepe nasconde Il poeta, parte dal descrivere un

luogo reale, la siepe , e da questa realtà sensibile, grazie all’immaginazione,

costruisce una realtà parallela di spazio e pace infinita. Egli si immedesima

tanto in quelle immagini interiori di infinito spaziale, da provare come un senso

“ ove per poco in cor non si spaura”.

di sgomento: Dopo essersi abbandonato

alla fantasia è richiamato alla realtà da un rumore, da una sensazione uditiva

“come il vento odo stormir tra queste piante”e da qui estende il suo

“e mi sovvien l’ eterno”.

fantasticare anche nell’immensità del tempo Se prima

il poeta aveva espresso la sensazione di inquietudine che suscitava in lui l’ idea

dell’ infinito, nei versi conclusivi esprime, invece, la sensazione di appagata

il naufragar m’é dolce in

dolcezza che quel meditare l’ infinito suscita in lui: “

questo mare”.

Leopardi tiene a precisare che l’ infinito a cui egli aspira non ha carattere

“l’ infinità dell’ inclinazione dell’

divino, ma egli stesso afferma nello Zibaldone

uomo è un infinità materiale”. Il suo è un infinito soggettivo creato dall’

immaginazione dell’ uomo che è evocato a partire da sensazioni fisiche, in

chiave prettamente sensistica, come di derivazione sensistica è la riflessione

del piacere misto a paura provocato nell’ immaginazione dall’ idea dell’ infinito.

L’ immaginazione in Pirandello

Anche nelle opere di Pirandello, grande esponente del 900 Italiano, si riscontra

il tema dell’ immaginazione. Egli,infatti, partendo ha una visione pessimistica

l’ immaginazione

della realtà che concepisce come una “trappola”, individua

come unica alternativa, assieme alla follia, attraverso cui si può evadere da

questa.

Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica,

ovvero il concepire la vita come eterno divenire, incessante trasformazione da

uno stato all’ altro, come lo scorrere di un magma. Tutto ciò che si distacca da

questo flusso è assume una “ forma” comincia pian piano a morire. Questo è

quello che avviene nell’ identità personale dell’ uomo che tende a fissarsi in

una “forma”, in una personalità che si vorrebbe coerente e unitaria. Non solo

noi stessi, però, ci fissiamo in una forma, ma anche gli altri con cui viviamo ci

attribuiscono una “ maschera” in base alla loro prospettiva, perché ognuno ci

vede in modo diverso. Noi crediamo di essere ”uno” per noi stessi e per gli altri,

mentre siamo tanti individui diversi, “centomila”,a seconda dalla visione di chi

ci guarda. Sotto queste maschere che gli altri ci attribuiscono, non c’è un punto

di riferimento fisso ma “nessuno”poiché vi è un continuo fluire, una continua

trasformazione di personalità di ognuno. Da questo deriva il concetto di “crisi

dell’ identità”. La presa di coscienza di essere nessuno, suscita nei personaggi

pirandelliani un senso di smarrimento e dolore. Egli sente un forte senso di

solitudine e di angoscia perché soffre di essere fissato dagl’ altri in maschere in

cui non si riconosce, e si sente come in “trappola” da cui lotta invano per

liberarsi. In modo particolare, Pirandello, individua le due più grandi trappole

nella famiglia e nell’ economia, costituita dalla condizione sociale e dal lavoro. I

suoi personaggi sono spesso prigionieri di una condizione misera e stentata e

di lavori monotoni e opprimenti. L’ unica via di relativa salvezza che da ai suoi

eroi è la fuga nell’ irrazionale; nell’ immaginazione che trasporta verso un

treno ha fischiato,

altrove fantastico, come nell’ impiegato Belluca nel oppure l’

Enrico IV.

atra alternativa è la follia, come accade nell’

Inoltre, un’ altra figura ricorrente nell’ opera pirandelliana è il “forestiere alla

vita”, colui che “ha capito il giuoco”, che ha capito che la società non è altro

“enorme pupazzata”,

che un’ così come la descrive Pirandello stesso, poiché si

fonda di convenzioni e finzioni. Egli quindi, assume atteggiamento di forestiere,

di colui che si esclude si estranea, guarda vivere gli altri, osserva gli uomini

imprigionati dalla “trappola” con un atteggiamento umoristico, di irrisione e

pietà. Questa è quella che Pirandello chiama filosofia del lontano, ovvero il

contemplare la realtà come da un’ infinita distanza, in modo da cogliere l’

assurdità, la mancanza totale di senso di ciò che l’ abitudine ci fa considerare

“normale”.

L’ immaginazione come consolazione nel ” Treno ha

fischiato”

Il treno ha fischiato è una novella di Luigi Pirandello pubblicata nel 1914 sul

Corriere della sera e successivamente inserita nella raccolta Novelle per un

anno.

Il protagonista è Belluca, un impiegato dell’ ambiente piccolo borghese,

angustiato da insopportabili miserie, frustrazioni e sofferenza. Nel suo lavoro di

computista è generalmente mansueto, paziente e sottomesso al capoufficio

che gli dà da svolgere sempre del lavoro in più,

che non rientra nella sue mansioni e quindi

nella sua retribuzione. In famiglia, invece, vive

in una situazione alquanto drammatica: vive

con tre cieche in casa, tra cui la moglie, più le

due figlie vedevo con sette figli complessivi.

Belluca, dunque, rappresenta l’ uomo

imprigionato nella trappola e nelle maschere

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