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Questa tesina descrive la reazione dei poeti di fronte alla Seconda Guerra mondiale. La guerra, nel corso dei secoli, è stata considerata necessaria per la salvaguardia della patria, come “unico mezzo per mantenere allenati corpo e mente” come afferma Giulio Cesare nella sua opera “De Bello Gallico”. Sino alla Prima guerra mondiale, le battaglie venivano viste solo dai combattenti e raccontate dai reduci, oppure da scrittori che raccoglievano testimonianze o inventavano episodi più o meno plausibili. Con la Grande guerra, però, cominciano a essere numerose le testimonianze visive della vita dei soldati e delle battaglie stesse grazie all’intervento di letterati e di poeti come ad esempio i “War Poets” di cui il maggiore esponente, Wilfred Owen, conclude la sua poesia “Dulce et decorum est” riprendendo il celebre motto latino secondo il quale “dulce et decorum est pro patria mori”.
Ma, in realtà, il grande ideale di sacrificarsi e morire per la patria, alla fine della Grande guerra, rimane soltanto un vecchio mito forse privo di sincerità. Con l’avvento della Seconda guerra mondiale, i letterati e, soprattutto, i poeti ebbero un ruolo fondamentale per trasmettere la percezione profonda delle atrocità che stavano avvenendo tra il 1939 e il 1945. Gli scrittori appaiono come coloro che, più degli storici, sanno narrare gli avvenimenti, perché solo loro, grazie alla sensibilità del tutto particolare che possiedono, riescono a coglierne le tensioni profonde. Lo storico vede la superficie, il poeta vede al di là.
“La storia” scrive Claudio Magris “dice gli eventi, la sociologia descrive i processi, la statistica fornisce i numeri, ma è la letteratura che li fa toccare con mano là dove essi prendono corpo e sangue nell’esistenza degli uomini …”. La nota affermazione del filosofo Theodor W. Adorno, secondo la quale dopo Auschwitz non sarebbe più possibile fare poesia, è stata accolta non solo dai poeti ma da tutti gli artisti come un limite da valicare, per ottenere attraverso forme rinnovate un'interpretazione più profonda degli eventi terribili di quegli anni, senza limitarsi a riprodurre quanto i mezzi visivi già mettono in mostra con ricca e cruda immediatezza. L’importanza del ruolo dello scrittore e del poeta, durante la Seconda guerra mondiale, come e più che durante la Prima guerra mondiale, cresce in tutta Europa. In Italia i letterati più rilevanti di questo periodo sono: Salvatore Quasimodo, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Beppe Fenoglio, Primo Levi. In Germania ci furono diversi esponenti importanti: Heinrich Böll, Wolfgang Borchert, Bertolt Brecht, Erich Kästner. In Inghilterra: George Orwell, Ernest Hemingway, Aldous Huxley. In Francia: Antoine de Saint-Exupéry, Louis Aragon, Jacques Prévert. La tesina di maturità permette inoltre di sviluppare vari argomenti connessi a quello principale.
Italiano - Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo.
Inglese - War poets.
Tedesco - Erich Kaestner e Bertold Brecht.
“So che cosa significhi la morte, lo sapevo anche prima; ma allora, quando
che si limita ad osservare:
mi è stata strappata la parte migliore di me, la esperimento in me, da quel momento, la morte. Il
dolore è il libro che più amo, il libro che ho scritto negli anni orribili, stretto alla gola. Se ne parlassi
mi parrebbe d’essere impudico. Quel dolore non finirà più di straziarmi.”
“Non gridate più”
Cessate di uccidere i morti
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire,
se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell’erba,
lieta dove non passa l’uomo.
La poesia, scritta nell’immediato dopoguerra, è indirizzata a coloro che hanno superato “la tragedia di
quest’anni”. Il discorso si apre verso gli altri, sottolineando il passaggio dal registro personale al
registro della storia. La forza degli imperativi non è quella del comando, ma quella di una preghiera,
che invita gli uomini a salvare la loro stessa umanità, riscoprendo i valori della solidarietà e della
pietà.
Il poeta chiede di superare gli odi e le divisioni di parte, che ancora insanguinano la vita politica e
civile italiana. Il sacrificio dei caduti è stato così inutile. Ben diversa è la lezione che possono
trasmettere, e riguarda la possibilità stessa di salvare e continuare la vita. Ma bisogna raccogliersi in
silenzio per poter ascoltare la voce, “l’impercettibile sussurro”.
Il “gridare” è visto come il segno di una barbarie che penetra nella storia, accanendosi oltre lo strazio
della morte, in una follia che sembra non avere fine. Ad esso si contrappone la muta presenza dei
morti, come un ultimo messaggio di chi può ancora testimoniare in favore della dignità dell’uomo.
Le esortazioni si richiamano alla tradizione della poesia civile e, in particolare, a quella di Foscolo,
proprio per quanto riguarda l’insegnamento dei “sepolcri” e dei defunti, al quale è affidata
la speranza nell’immortalità. In queste forme esortative, si assiste anche a una più aperta e dispiegata
volontà di canto, che induce Ungaretti a recuperare le misure tradizionali del verso.
SALVATORE QUASIMODO
5
- LA VITA
Nato a Modica, in provincia di Ragusa, nel 1901, trascorre l’infanzia e la giovinezza in Sicilia. Dopo
essersi diplomato, si stabilisce a Roma, dove svolge diversi lavori, iniziando anche a studiare le lingue
classiche. Durante un soggiorno a Firenze, suo cognato lo presenta ad Eugenio Montale e ad
Alessandro Bonsanti, il quale gli pubblica le prime poesie su “Solaria”. Nel 1934, trasferitosi a Milano,
Acque e terre (1930),
ottiene la cattedra di Letteratura italiana al Conservatorio. Le sue raccolte,
Erato e Apollion (1936) le Nuove poesie (1942), fanno di lui uno dei più significativi esponenti
dell’Ermetismo.
La nostalgia della terra siciliana, che nel ricordo diventa un luogo mitico, la casa, la madre e l’infanzia
Acque e terre,
sono temi ricorrenti in che ancora risentono di influssi del linguaggio dannunziano e
pascoliano. Poesie nuove
Con la sezione delle comincia però a verificarsi un graduale mutamento, che si renderà
Con il piede straniero sopra il cuore (1946), Giorno dopo
più evidente nelle raccolte del dopoguerra:
giorno La vita non è un sogno Il falso e vero verde La terra impareggiabile
(1947), (1949), (1955),
Dare e avere
(1958), (1966). Il verso si allunga e diventa più lineare, i temi si ampliano e si
arricchiscono di elementi tratti da una realtà più concreta, aprendosi verso le forme di un messaggio
più accessibile e comunicativo. La poesia può così diventare anche uno strumento di testimonianza
politica e di polemica sociale. A favorire questa conversione sono i tragici avvenimenti della guerra e
dell’immediato dopoguerra, che sollecitano una nuova forma di partecipazione e di impegno,
investendo anche il poeta di precise responsabilità civili.
Nel 1959 Quasimodo riceve il Premio Nobel per la Letteratura a Stoccolma; muore a Napoli nel 1968.
6
“Alle fronde dei salici”
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento. Giorno dopo giorno;
Questa poesia fa parte della raccolta sono evocate le tragiche immagini della
guerra. Il canto del poeta è un “muto” lamento, impotente di fronte all’orrore. Il componimento si apre
con una lunga domanda, accorata e angosciosa, sul significato della poesia in un modo sconvolto e
distrutto dalla guerra, oppresso e soffocato. “Con il piede straniero sopra il cuore” indica
l’occupazione di Milano da parte delle truppe naziste dopo il 25 luglio 1943, quando ebbe inizio la
Resistenza.
Viene ripreso il termine “agnello” simbolo della purezza, anche di Cristo; l’animale è accostato ai
fanciulli per accentuare la crudeltà disumana delle sofferenze che colpiscono chi è innocente e
indifeso. E’ la rappresentazione degli orrori commessi dai nazisti sulla popolazione inerme degli
italiani, massacri che suscitavano panico e paura tra i civili e il silenzio dei poeti. Orribili erano i morti
abbandonati nelle piazze, il lamento dei fanciulli, il grido straziante della madre che vedeva il proprio
figlio appeso sul palo del telegrafo. Scene reali che si verificavano nelle città e nelle campagne
italiane. I nazisti occupavano il Paese e i poeti non trovavano le parole per esprimere lo sconforto e il
dolore che avevano nel cuore, nell’anima. La risposta suona negativamente negli ultimi tre versi, in
cui il silenzio del poeta traduce lo strazio dell’uomo e la protesta contro le atrocità commesse.
Quasimodo utilizza la prima persona plurale, a conferma di una nuova direzione dell’esercizio poetico,
che riscopre i valori della solidarietà collettiva e si apre verso la storia. Il dolore è impotente e la
poesia non può offrire, “per voto”, che il silenzio, nell’immagine delle “cetre” che oscillano appese
“alle fronde dei salici”, l’albero che rappresenta il pianto e il dolore.
7
“Uomo del mio tempo”
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Giorno dopo giorno.
Fa parte della raccolta Il tema della poesia è l’immutabilità della natura umana,
rimasta uguale a quella dell’uomo “della pietra e della fionda”, fatta di istinti, di pulsioni, di sentimenti
e di egoismo, è rimasta uguale fino ad oggi, anche se la scienza ha fatto passi da gigante. La scienza
ha perfezionato le armi che portano la morte ai fratelli. Alcuni uomini, presi dalla volontà di potenza,
ancora oggi scatenano guerre che portano lutti e sofferenze alle popolazioni civili. La civiltà ha solo
mutato le condizioni di guerra: dalla fionda si è passati ai carri armati, e agli aerei che seminano la
morte. L’uomo del nostro tempo, afferma il poeta, ha perduto ogni considerazione dei fratelli e ha
dimenticato la solidarietà e la religione che lo trattengono dalla violenza. E’ rimasto uguale all’uomo
che, attratto il fratello in un campo, lo ha ucciso.
Di nuovo l’uomo del nostro tempo tradisce oggi il fratello. E la menzogna di allora è arrivata fino
all’uomo del nostro tempo. Di fronte alla menzogna e all’inganno i giovani di oggi, i figli, farebbero
bene a rinnegare i padri che portano la guerra: le loro tombe giacciono in una terra desolata, gli
avvoltoi rodono il loro cuore e il vento sparge nell’aria l’odore dei loro cadaveri.
8
WAR POETRY
A war poet is a poet writing in time of and on the subject of war. By World War II the role of "war
poet" was so well-established in the public mind that "Where are the war poets?" became a topic of
discussion. The Normandy landings and their aftermath cost us the most brilliant poet of the Second
World War, Keith Douglas. He was killed three days after D.Day, on 9 June 1944. Douglas described his
poetic style as 'extrospective'; that is, he focused on external impressions rather than inner emotions.
The result is a poetry which, according to his detractors, can be callous in the midst of war's
atrocities. For others, Douglas's work is powerful and unsettling because its exact descriptions
.
eschew egotism and shift the burden of emotion from the poet to the reader His best poetry is
generally considered to rank alongside the twentieth-century’s finest soldier-poetry.
In his poem, "Desert Flowers" (1943), Douglas mentions World War I poet Isaac Rosenberg claiming
that he is only repeating what "Isaac" has already written.
“Desert flowers” “Fiori deserti”
Living in a wide landscape are the flowers - Vivere in un ampio paesaggio sono i
fiori -
Rosenberg I only repeat what you were saying - Rosenberg io ripeto solo quello che
dicevi -
the shell and the hawk every hour il guscio e il falco ogni ora
are slaying men and jerboas, slaying stanno uccidendo uomini e topi delle
piramidi, uccidendo
the mind: but the body can fill la mente: ma il corpo può riempire
the hungry flowers and the dogs who cry words i fiori affamati ei cani che gridano
parole
at nights, the most hostile things of all. di notte, le cose più ostili di tutti.
But that is not new. Each time the night discards Ma non è una novità. Ogni volta che
scarta la notte
draperies on the eyes and leaves the mind awake drappeggia sugli occhi e lascia la mente
sveglia
I look each side of the door of sleep Guardo ogni lato della porta del sonno
for the little coin it will take per la monetina prenderà
to buy the secret I shall not keep. per comprare il segreto io non
9
mantenere.
I see men as trees suffering Vedo gli uomini come alberi
sofferenza
or confound the detail and the horizon. o confondere il dettaglio e l'orizzonte.
Lay the coin on my tongue and I will sing Posare la moneta sulla mia lingua e io
canterò
of what the others never set eyes on. di ciò che gli altri mai messo gli occhi su.
Douglas was not the only important poet lost during that month. John Jarmain, like Douglas, had
survived the North African campaign, and like Douglas, was killed in Normandy. He was a novelist ah
a poet, he had already enjoyed several lucky escapes during the desert campaign and in Italy. That
luck ran out on 26 June 1944, when he came under German mortar bombardment in the village of St
Honorine and was fatally wounded by a piece of a shrapnel as he dived for a slit-trench. His
masterpiece is “El Alamein”.
“El Alamein”
There are flowers now, the say, at El Alamein;
Yes, flowers in the minefields now.
So those that come to view that vacant scene,
Where death remains and agony has been
Will find the lilies grow—
Flowers, and nothing that we know.
So they rang the bells for us and Alamein,
Bells which we could not hear.
And to those that heard the bells what could it mean,
The name of loss and pride, El Alamein?
--Not the murk and harm of war,
But their hope, their own warm prayer.
It will become a staid historic name,
That crazy sea of sand!
Like Troy or Agincourt its single fame
Will be the garland for our brow, our claim,
On us a fleck of glory the end;
And there our dead will keep their holy ground.
But this is not the place that we recall,
The crowded desert crossed with foaming tracks, 10
The one blotched building, lacking half a wall,