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Fisica: l'elettromagnetismo e la luce; i modelli di colore;
Storia dell’arte: Vincent Van Gogh (il colore)
Storia della filosofia: Immanuel Kant
Indice degli argomenti
Scienze
Occhio e sistema visivo
Retina p. 3
Bastoncelli p. 3
Coni p. 4
Fenomeni legati alla percezione visiva
Modello Retinex p. 4
Metamerismo p. 6
Effetto Purkinje p. 16
Studio e classificazione delle stelle
Spettrografia p. 8
Effetto Doppler p. 9
Diagramma Hertzsprung-Russell p. 10
Daltonismo
Protanopia p. 14
Deuteranopia p. 14
Tritanopia p. 14
Fisica
Elettromagnetismo e luce p. 8
Modelli di colore
CYMK p. 11
RGB p. 12
Spazio colore CIE p. 12
HSL e HSV p. 13
Storia dell’arte
Il colore di Vincent Van Gogh p. 18
Storia della filosofia
L’estetica trascendentale di Immanuel Kant p. 19 2
Quanti sono i colori? Nessuno può rispondere a questo interrogativo, eppure molti lo
hanno fatto nel corso della storia. Nel XVII secolo Isaac Newton ne elencò sette,
probabilmente per onorare questo numero fortemente simbolico, ma tra i suoi rosso,
arancione, giallo, verde, blu, indaco e violetto non trova spazio il marrone, un colore che
non si può trascurare. La fisica ha messo a disposizione dei modelli e alcuni sociologi
hanno studiato il colore in molte culture. Oggi se ne possono rappresentare più di sedici
milioni diversi, ma in pochi possono distinguerli tutti e i più li indicano con soltanto una
decina di nomi. Il colore è soggettivo e prende corpo e nome solo grazie alle nostre
parole. Non si vuole dunque tentare di contare i colori, impresa vana quanto inutile, ma
la questione sarà in parte ripresa alla fine della trattazione.
Si intende invece approfondire cosa sia il colore, sia nelle diverse branche della scienza,
sia per l’uomo, che ne è affascinato fin dalla notte dei tempi.
Dipingere al buio: questo è l’emblema delle grandi potenzialità umane in un ambito
inaspettato come il riconoscimento dei colori: la memoria di colore ci permette di vedere
rosso un papavero nell’oscurità anche quando esso appare quasi completamente nero.
Un pittore che conosce i suoi attrezzi saprebbe infatti dipingere al buio, dove i colori non
sono semplicemente “spenti”, come si è portati a credere, ma non esistono proprio. È
dunque straordinario pensare di dipingere senza colori, ma trovare all’alba un quadro
sgargiante e ricco di tonalità ed emozioni.
Ancora oggi il colore permea quasi ogni aspetto della nostra vita, forse a causa della
larga e generosa definizione che se ne dà, ma d’altronde è inevitabile attribuire un colore
a qualunque oggetto materiale si osservi. Tuttavia la presenza del colore nella vita
dell’uomo non è limitata a caratterizzare ogni corpo illuminato, ma acquista notevole
importanza nei più svariati ambiti:
Le copertine di plastica dei quaderni alle elementari servivano a riconoscere la materia
trattata, ma anche a stimolare la connessione di diverse aree semantiche del discorso,
aprendo la mente dei fanciulli a comprendere l’infinita varietà del mondo. “La lingua
italiana non potrebbe essere rossa, ma lo è nella mia fantasia”; inoltre ciò introduce la
capacità di catalogazione quando si nota che tutti i quaderni di materie scientifiche sono
ricoperti con colori freddi, mentre le materie umanistiche vengono avvolte da colori caldi.
I segnali stradali e ancor più i semafori comunicano l’informazione fondamentale
attraverso i colori, poiché essi vengono riconosciuti prima delle forme e soprattutto delle
scritte, due altri mezzi di comunicazione non altrettanto immediati a cui si lascano le
informazioni meno rilevanti.
Le correzioni sui compiti in classe vengono fatte in rosso, un colore diverso dal nero o dal
blu, per risaltare subito, ma viene impiegato sempre il rosso perché connota qualcosa di
negativo, di sbagliato, oppure un divieto, come ancora nel caso del semaforo.
La scelta dei colori è fondamentale nella pubblicità di prodotti di consumo, sia nel
momento stesso della pubblicizzazione, con lo scopo di attirare, intrigare e incuriosire il
pubblico, sia nell’atto dell’acquisto, dove il riconoscimento più immediato e involontario
avviene alla vista dei colori; numerosi marchi investono molte risorse nella scelta
accurata dei colori per i propri prodotti.
Nei sopracitati campi di utilizzo e in diversi altri, il colore acquista significato in quanto se
stesso e non piuttosto come qualità di qualcos’altro: in questo modo si ha che, per
esempio, la lampada del segnale rosso nel semaforo è di un dato materiale o ha un certo
3 rendimento perché deve riprodurre il colore rosso che si è stabilito; viceversa si avrebbe
(ma non è così) che la luce del semaforo è di un tale rosso perché la lampada che si è
scelta per i suoi materiali convenienti o per il suo alto rendimento, produce poi quel
colore.
Vista quindi la sua importanza, risulta interessante approfondire la sensazione del colore,
partendo dalle caratteristiche e dalle anomalie del processo di visione che la genera e la
rende soggettiva, fino al suo uso nell’arte, dove il colore è sempre un simbolo, veicolo di
significati a volte evidenti, spesso sottili o misteriosi.
Il colore è una sensazione visiva provocata dalle diverse lunghezze d’onda
associate alla luce visibile.
L’etimologia della parola colore è controversa, ma un’ipotesi originale viene dal pittore
francese Eugène Delâtre, che fa risalire l’origine del termine al greco χόλος, -ου, ὁ
[cholos], che significa “fiele”, poiché secondo Delâtre essa veniva anticamente usata per
tingere. L’italiano “colore” proverrebbe direttamente dal latino “color, -is” e
precisamente, come quasi sempre accade, dalla forma troncata dell’accusativo singolare
“colorem”. Il tema di questa parola, o meglio le sue consonanti tematiche, si ritrovano in
molte lingue diverse tra loro, dal Francese, in cui il nome è di genere femminile, allo
Slavo.
Spesso il colore viene impropriamente considerato una caratteristica della luce, ad
esempio quando si parla di luce rossa o gialla; più precisamente la caratteristica
corrispondente è la sua lunghezza d’onda o la mescolanza di diverse lunghezze d’onda ,
mentre il nome del colore si limita ad indicare la sensazione che quella luce produce
attraverso il complesso meccanismo della visione umana.
La distinzione tra colore e lunghezza d’onda ci è imposta dalla larga influenza di fattori
fisiologici nel processo di visione e di fattori culturali nell’interpretazione data.
Percezione del colore
La vista è il senso che ci permette di vedere i colori. La percezione dei colori non è uno
strato d’informazione percepito sopra al resto dell’immagine, ma è una componente
integrata nell’informazione visiva. Raramente si osservano sorgenti di luce primarie
come una lampada o il sole, più frequentemente invece, la luce che perviene ai nostri
occhi è stata riflessa dagli oggetti che vediamo e il modo in cui tali oggetti riflettono
alcune componenti della luce è proprio quello che chiamiamo colore. Tralasciando
l’esposizione della morfologia dell’occhio, ci si vuole concentrare sui coni e sui
bastoncelli, i due tipi di recettori che sono presenti sulla retina. Queste cellule ricevono
quasi direttamente la luce collimata dal cristallino e reagiscono grazie alla presenza di
pigmenti, precisamente due proteine, la rodopsina nei bastoncelli e la iodopsina nei coni,
che si decompongono in opsina e in seguito in vitamina A. Il livello di scolorimento
determina l’intensità luminosa della luce osservata e costituisce così gran parte
dell’informazione visiva, ma produce anche lo stimolo di adattamento alle diverse
condizioni di luce. 4
I bastoncelli sono i recettori più numerosi e fitti nella retina, data la loro ridotta
dimensione; sono anche più
“sporgenti” dei coni, che vi sono
immersi come un tee, il piedistallo
per la pallina da golf, in mezzo al
prato. La funzione dei bastoncelli è
quella di raccogliere informazioni
riguardo alla quantità di luce, al
movimento e all’edge detecting,
utile nella lettura dei testi, ma
anche nel riconoscimento degli
oggetti; per questo motivo sono
molto veloci a reagire (ma molto
meno ad adattarsi a diverse
condizioni di luce) e sono distribuiti
quasi uniformemente su tutta la
retina, infatti movimenti e
cambiamenti improvvisi di luce si
possono vedere con “la coda dell’occhio”, cioè sfruttando la visione periferica, che si
estende fino a 188° sulla sezione orizzontale e 135° su quella verticale. I bastoncelli
hanno un diametro di circa 0.002mm e sono in media 130 milioni per occhio, ma sono
collegati tra di loro in gruppi, prima di comunicare con le cellule bipolari e le cellule del
ganglio, quelle responsabili della produzione di segnali in modulazione di frequenza, che
saranno poi convertiti in impulsi nervosi; grazie a questo collegamento, i bastoncelli
rispondono con un’alta sensibilità alla luce e dunque una bassa risoluzione, poiché lo
stimolo proveniente da più bastoncelli è interpolato a formare una sola risposta nervosa,
esattamente come quando si aumenta il valore ISO nei dispositivi fotografici; la soglia di
2
sensibilità si aggira intorno alle 0.034 cd/m e la sensibilità al contrasto è bassa. La
caratteristica che più interessa in questo contesto è che i bastoncelli, che potremmo
definire grossolani, non forniscono una risposta diversa in base alla lunghezza d’onda e
sono quindi insensibili al colore; l’immagine fornita è acromatica, cioè grigia, ma è l’unica
disponibile in condizioni di luce scarsa, quando cioè si parla di visione scotopica, in cui i
coni non sono eccitati e i bastoncelli forniscono la sola informazione che si può ottenere.
Ultima caratteristica notevole dei bastoncelli è la loro curva di intensità di sensazione
visiva, da cui si evince una totale insensibilità a lunghezze d’onda superiori a 630nm e un
picco di intensità in corrispondenza dei 507nm, associati al verde.
I coni sono ricordati principalmente per la loro sensibilità alle diverse lunghezze d’onda
che spazia dai 380nm ai 780nm, salvo casi di ipersensibilità, riscontrata raramente, in cui
la gamma di frequenze si estende specialmente verso il rosso, cioè onde più lunghe; i
coni assolvono compiti di più alto livello come appunto la distinzione delle lunghezze
d’onda, la produzione di immagini ad alta risoluzione entro piccoli angoli di visione e la
percezione di spazi, distanze e prospettive, un’elaborazione che però compete
maggiormente alla corteccia cerebrale. I coni sono in media 7 milioni, ma al contrario dei
bastoncelli, essi sono concentrati nella fovea, una cavità nella retina, in prossimità del
nervo ottico, prossima al piede dell’asse focale del cristallino, una zona dove la visione è
molto accurata, data la concentrazione di 150000 coni per millimetro quadrato; la fovea
sottende un angolo solido di circa 0.00096sr, pari a circa lo 0.015% del campo visivo
dell’occhio. Alcuni coni si trovano sporadicamente nella vicina periferia della retina e
5 permettono la discriminazione dei colori entro un angolo di 60° sulla sezione orizzontale
e 90° su quella verticale. I coni hanno una bassa sensibilità alla luce, con una soglia
2
vicina alle 3.4 cd/m , ma hanno buona sensibilità al contrasto e sono connessi alle cellule
gangliari singolarmente, in modo da rispondere con una risoluzione elevata; inoltre il loro
adattamento alle diverse condizioni di luce è rapido rispetto a quello dei bastoncelli. I
coni si dividono in base alla loro maggiore sensibilità rispetto al rosso, al verde o al blu,
secondo la teoria del tristimolo introdotta nel secolo scorso, la quale afferma che la
sensazione di colore è ottenuta dalla mescolanza di questi tre colori primari, come
accade nel modello RGB, di cui parleremo più avanti. In questo modo non è il singolo
recettore a determinare il colore, anche perché la quasi totalità della luce è costituita da
una mescolanza di lunghezze d’onda e intensità diverse e occorrerebbe un’analisi
spettrale che l’occhio non è in grado di fare; al contrario i tre tipi di recettori sono