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Dellisanti Graziana 5D A.S. 2009-2010

INTRODUZIONE

Spinta da profondo interesse per l’uomo e le sue doti razionali, ho tentato di farne un’analisi il più

possibile concreta attraverso lo studio del pensiero di personaggi emblematici del mondo culturale e di

rappresentanti significativi della sfera scientifica; costoro sono riusciti a dare numerose risposte alle mie

domande e ai miei dubbi, anche se per comprendere appieno la complessità del cervello umano rimane

ancora molta strada da percorrere.

Immaginiamo che la facoltà della ragione coincida con la luce della mente e la perdita della ragione con il

buio della stessa mente. In ogni individuo coesistono la luce e il buio e i momenti in cui la ragione

raggiunge le vette più alte (che identifichiamo con il genio) producono la follia. Secondo alcuni studiosi e

ricercatori contemporanei luce e buio, ragione e follia sono in ciascuno di noi in qualche modo

proporzionali: chi possiede più ragione, possiede più follia e questo potrebbe giustificare la compresenza di

genio e follia riscontrata in molti artisti e scienziati di tutte le epoche storiche.

Nel XX secolo, in particolare, importanti studi psicologici hanno dimostrato che un’alta percentuale di

grandi scienziati, poeti, filosofi e artisti in genere ha avuto qualche disturbo psichico, dalla schizofrenia alla

depressione, alla paranoia. L’esame di tre geni come Newton, Goethe e Van Gogh ha mostrato che in

costoro il confine tra genio e follia era una condizione essenziale per estrinsecare il proprio genio.

Lo scienziato, l’artista ed il folle rappresentano due valori, due condizioni umane, che la mentalità, non

solo popolare, tende ad avvicinare e talora confondere. Tale concetto è bene espresso nell’aforisma

breve è l’intervallo tra genio e follia

universalmente conosciuto e, forse abusato, secondo il quale “ ”. Si è

portati a ricercare se esista una qualche analogia tra l’esperienza vissuta dal malato mentale, lo

schizofrenico, e le esigenze che muovono l’artista e nello stesso tempo le ragioni specifiche per le quali il

folle e la follia possano stimolare la sua sensibilità.

La mentalità popolare ravvisa tale analogia in alcuni elementi esteriori: entrambe le personalità, quella del

folle e quella dell’artista o scienziato, hanno uno “stile” che le rende facilmente distinguibili; entrambe

appaiono indipendenti dalle regole e dalle convenzioni a cui si sottopone l’uomo comune; entrambe

queste personalità appaiono disinserite dal quotidiano travaglio dell’esistenza e si rivelano o creatrici o

dominate da imprevedibili fantasmi. La grande letteratura, dalla tragedia greca a quella scespiriana da

Cervantes a Dostojevskij fino a Kafka e Pirandello, è ricca di situazioni e personaggi dominati dalla

psicopatologia. Ma anche nel campo dell’arte figurativa, nelle opere di Michelangelo e in quelle di

Caravaggio, è evidente la proiezione, forse con significato di catarsi, delle tendenze anomale degli autori; il

personaggio del pazzo ha affascinato l’artista al punto da lasciare intravedere una qualche misteriosa

parentela tra il mondo della follia e quello dell’arte.

La personalità degli artisti, come quella dei folli, si isola e supera le altre; entrambe sono portatrici

inconsapevoli di valori che le superano, entrambe sono sottratte al divenire in cui si ritrovano e

riconoscono gli uomini comuni (con riferimento alla problematica del “personaggio” in Pirandello alla cui

elaborazione non è stata estranea forse la malattia mentale della moglie). Il genio è in grado di cogliere

quanto, pur ai limiti dell’umano, vi è di assoluto e di essenziale nel folle.

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Un eccellente studioso della mente umana è Sigmund Freud il quale tra l’Ottocento ed il Novecento

introdusse un efficace metodo di trattamento di alcuni disturbi della funzione mentale, ossia della nevrosi.

Inizialmente le sue nuove teorie psichiche destarono meraviglia ed ostilità, ma Freud non desistette

dall’indirizzo preso che doveva rivoluzionare il mondo psichiatrico.

SIGMUND FREUD (1856 – 1939)

L’inconscio

Secondo lo studioso austriaco S. Freud, vi è sempre un legame fra gli avvenimenti che sono accaduti nel

passato e i sintomi che affliggono i nevrotici: risvegliando il ricordo di questi avvenimenti, i sintomi

scompaiono e diminuiscono di intensità. In genere ciò che viene dimenticato è un avvenimento di

carattere penoso, che non rimane nella coscienza in quanto temibile o doloroso o vergognoso; talvolta,

per far ricordare ciò che è stato dimenticato è addirittura necessario vincere la resistenza del paziente. Ed è

a questo punto che Freud introduce la teoria della rimozione. La rimozione è un processo protettivo che

respinge le esperienze sgradevoli per l’individuo, quasi un meccanismo di difesa tendente ad evitare il

dolore e a mantenere il piacere. La psicanalisi ha appunto lo scopo di scoprire le rimozioni e di eliminarle;

ma per fare questo deve distinguere l’inconscio dalla coscienza definendone i reciproci rapporti: l’inconscio

è formato da contenuti istintivi che tendono a scaricare la propria carica emotiva, mentre la coscienza

funziona come un organo che sceglie dall’inconscio il materiale che non suscita troppa ansietà

nell’individuo e respinge quegli impulsi che invece ne suscitano troppa. L’inconscio tuttavia irrompe spesso

sul piano della coscienza sotto una forma o l’altra: nella fantasia, nei sogni, in sintomi nevrotici o in un

altro comportamento attivo. Facendo riferimento ai sogni, Freud, nella famosa opera “L’interpretazione

dei sogni”, che viene considerato un contributo di grande rilevanza per la psicologia, vede nei fenomeni

onirici la via maestra che porta alla conoscenza dell’inconscio nella vita psichica. Il Nostro ritiene infatti che

i sogni siano l’appagamento camuffato di un desiderio rimosso; egli spiega che all’interno dei sogni vi è un

contenuto manifesto (che è poi l’esperienza vissuta dal soggetto) ed un contenuto latente (ossia l’insieme

delle tendenze che danno origine alla scena onirica). Ci chiediamo però, perché i sogni che fanno

riferimento a dei desideri non lo fanno direttamente? Freud ci spiega che si tratta di desideri inaccettabili

dal soggetto e che quindi vengono repressi. Possiamo quindi dedurre che il contenuto manifesto dei sogni

non è altro che la forma rielaborata in cui si presentano i desideri latenti. Nel sogno comunque, il

desiderio da realizzare si nasconde negli aspetti spiacevoli della scena onirica, con l’interpretazione

psicoanalitica dei sogni si giunge a ripercorrere quel processo di passaggio del contenuto latente in quello

manifesto.

Nell’opera successiva “Psicopatologia della vita quotidiana”, il filosofo esamina alcuni incidenti che

capitano nella vita di ogni uomo come i lapsus, gli errori, le dimenticanze ecc. Poiché, secondo Freud, ogni

evento è il prodotto necessario di determinate cause, suddetti piccoli fenomeni hanno un significato

preciso. Vi è insomma una manifestazione camuffata dell’inconscio, per meglio dire una specie di

compromesso tra l’intenzione cosciente del soggetto e determinati pensieri inconsci che, comunque, sono

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presenti nella sua psiche. Questa osservazione è particolarmente presente nel “lapsus linguae”. Nel

concreto: un giovane attratto da una bella attrice, durante una conversazione, facilmente dirà, riferendosi

a lei, che ne apprezza la “spogliatezza” invece della spigliatezza.

Negli altri casi l’inconscio opera in silenzio e assolutamente al di fuori della consapevolezza dell’individuo,

come ad esempio per ciò che concerne i sintomi nevrotici; Freud sostiene che il sintomo non è altro che il

punto d’incontro tra una o più tendenze rimosse e quelle forze della personalità che ne impediscono

l’ingresso. Il filosofo afferma, inoltre, che gli impulsi rimossi sono sempre di natura sessuale e della

sessualità egli fa il centro della propria attenzione.

Io, Es e Super Io.

Un’altra importante novità introdotta da Freud in queste fasi di rielaborazione critica è la teoria tripartita

della personalità, che compare per la prima volta nell’opera “Io e l’Es” del 1923. La vita psichica

dell’individuo, secondo Freud, ha una struttura composta di Es, Io e Super Io. L’Es rimane il serbatoio di

tutti gli istinti e quindi la sorgente di tutti gli impulsi che quegli istinti esercitano sull’individuo. L’Io è

quell’aspetto della psiche che affronta consciamente la realtà esterna: percepisce questa realtà e adatta

l’organismo di conseguenza, in modo da controllarne le reazioni e da assicurarne la difesa. Il Super Io,

infine, rappresenta l’insieme dei principi etico-sociali (comandi, proibizioni, ideali) appresi attraverso

l’educazione e soprattutto dal contatto con i genitori: questo Super Io giudica i nostri atti e le nostre

intenzioni facendoci sentire colpevoli o meno nei confronti di una legge che ci appare trascendente, ma

che in realtà deriva da lunghi periodi di dipendenza dai genitori e da altri contatti socio-culturali che

hanno caratterizzato la nostra infanzia.

Fonti: Itinerari di Filosofia. Volume 3A. Nicola Abbagnano, Giovanni Fornero. Casa Editrice Paravia.

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LUIGI PIRANDELLO (1867 – 1936)

Tale situazione di disagio esistenziale è bene espressa nei numerosi scritti di Luigi Pirandello, il quale

analizza il personaggio nei suoi aspetti più reconditi. Egli afferma che l’uomo moderno è profondamente

malato e invoca Dio come un moribondo pentito.

Nel mondo contemporaneo chi può vantarsi di essere sano?

Pirandello infatti concepisce la realtà come un vano susseguirsi di forme incoerenti, e il nostro vivere come

un dramma costituito dall’antitesi tra il ”mutamento” perpetuo che è in noi e il cristallizzarsi di “forme”

fisse che solo gli altri vedono e che ci caratterizzano. Questa concezione della vita è piuttosto scettica e

desolata: lo spirito smarrisce il senso dell’unità della coscienza che stabilisce il nesso tra l’essere e il non

essere, il reale e l’apparente, il transitorio e l’eterno. Ma non si può neppure parlare di negazione netta,

perché alla fine il negare è una forma di giudizio e Pirandello non afferma e non nega nulla. Egli non pone

i suoi problemi sul piano teoretico (perché non è coerente nella costruzione delle sue dottrine) i problemi

li assume come elementi e forme dell’esperienza.

Pirandello, come tutti i maggiori spiriti del Decadentismo, si ferma al certo (o alle apparenze del certo), e

non cerca il vero e nemmeno si chiede se esso esista. In contemporanea a questo relativismo e negazione

dell’unità e continuità storica della coscienza, si sviluppa l’altro concetto che riguarda i rapporti del nostro

spirito tra il cosciente ed il subcosciente, l’ignoto e il consapevole. La nostra vita è, nella sua realtà ed

essenza, un continuo fluire libero ed irrazionale di azioni, impressioni, affetti. Il nostro agire, come il

nostro sentire, sono mossi da motivazioni inconsapevoli, che derivano dal fondo inconscio della nostra

vita interiore, piuttosto che da motivi consapevoli e chiari alla nostra coscienza. Tuttavia gli uomini per

vivere in società ed intendersi, formulano necessariamente dei modi generali di interpretazione della vita,

fondati principalmente sulla ragione, ma anche sulla superstizione, pregiudizi sociali e consuetudini

mentali che spesso impoveriscono e deformano la realtà vera della vita.

Proprio dal contrasto tra la vita così intesa e i modi pigri e consueti in cui gli uomini inaridiscono il libero

slancio vitale, deriva la tragedia della condizione umana. Noi siamo e ci sentiamo continuamente costretti

dall’esterno, fissati ad una certa forma che gli altri hanno inventato e che noi già troviamo prima ancora

del nostro nascere, del nostro entrare nella vita. La vita stessa ci pone sul viso una “maschera”, siamo tutti

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