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Sintesi

Introduzione tesina su Pirandello



La seguente tesina di maturità affronta i seguenti argomenti trattati: in italiano Luigi Pirandello, in storia l'argomento del fascismo, in economia aziendale la busta paga, in matematica le equazioni e le disequazioni, in informatica il linguaggio Sql, in diritto i contratti bancari, in inglese the business firms.



Pirandello, collegamenti



Italiano: Pirandello.
Storia : Il fascismo.
Economia aziendale: La busta paga.
Matematica: Equazioni e disequazioni.
Informatica:Il linguaggio Sql.
Diritto: I contratti bancari.
Inglese: The business firms.
Estratto del documento

Il messaggio che il romanzo

comunica è che non è possibile

ribellarsi agli schemi che la società

ci impone:bisogna accettare le

regole del gioco sociale, soffocando

qualsiasi aspirazione alla propria

individuale libertà.

La follia di uno e centomila

Alla base del pensiero pirandelliano c’è una concezione vitale della realtà in perpetuo

movimento inteso come eterno divenire, incessante trasformazione da uno stato all'altro.

Tutto ciò che si stacca da questo flusso, e assume forma distinta e individuale, si

irrigidisce, e comincia a morire. Così avviene per l'uomo: si distacca dall'universale

assumendo una forma individuale entro cui si costringe, una maschera ("persona") con la

quale si presenta a se stesso. Non esiste però la sola forma che l'io dà a se stesso; nella

società esistono anche le forme che ogni io dà a tutti gli altri. E in questa moltiplicazione

l'io perde la sua individualità, da «uno» diviene «centomila», quindi«nessuno».

È proprio dalla disgregazione dell'io individuale che partono in quest’opera le vicende del

protagonista: quando la moglie, per un semplice gioco, gli farà notare alcuni suoi difetti

fisici che lui non aveva mai notato, primo fra tutti una leggera pendenza del naso, il

protagonista si renderà conto come l'immagine che aveva sempre avuto di sé non

corrispondesse in realtà a quella che gli altri avevano di lui e cercherà in ogni modo di

carpire questo lato inaccessibile del suo io. Da tale sforzo verso un obiettivo

irraggiungibile nascerà la sua follia. La follia è infatti in Pirandello lo strumento di

contestazione per eccellenza delle forme fasulle della vita sociale, l'arma che fa esplodere

convenzioni e rituali, riducendoli all'assurdo e rivelandone l'incoscienza.

Inizia così la serie delle pazzie di Moscarda: prima sfratta un povero squilibrato, Marco di

Dio, dalla catapecchia che persino il padre usuraio, per pietà, gli aveva concesso

gratuitamente, e in tal modo suscita l'esecrazione di tutta la città. Poi, con un improvviso

colpo di scena, rivela alla folla indignata, accorsa per assistere allo sfratto, di aver donato

un'altra casa migliore a di Dio. In seguito impone agli amministratori di liquidare la

banca paterna, maltratta la moglie pur amandola e la induce a lasciarlo. A questo punto

i due amministratori, la moglie e il suocero congiurano per farlo interdire. Viene

informato della macchinazione da un'amica, della moglie ed egli, rivelandole le proprie

considerazioni sull'inconsistenza della persona, sulle forme che gli altri ci impongono,

l'affascina, ma fa anche saltare il suo equilibrio psichico, e la donna, con gesto

improvviso e inspiegabile, gli spara, ferendolo gravemente. Ne nasce uno scandalo

enorme: tutta la città è convinta che tra lui e la donna ci sia una relazione colpevole. A

Moscarda, consigliato da un sacerdote, non resta che riconoscere tutte le colpe

attribuitegli e dimostrare un eroico pentimento. Dona tutti i suoi averi per fondare un

ospizio di mendicità, ed egli stesso vi viene ricoverato, vivendo insieme con tutti gli altri

mendicanti, "vestendo la divisa della comunità e mangiando nella ciotola di legno".

È il fallimento del tentativo del Moscarda che, cerca l'evasione attraverso la follia: nel

tentativo di sfuggire alle tante forme impostegli dalla società finirà per dover accettare

una nuova, ennesima maschera, quella dell'adultero, e scontare per essa una pesante e

immeritata pena. Ma in questa sconfitta trova una sorta di vittoria, una cura alle angosce

che lo perseguitavano. Se prima la consapevolezza di non essere «nessuno» gli dava un

senso di orrore e di tremenda solitudine, ora accetta di buon grado lo squilibrio ada sé

stesso, rifiuta ogni identità personale, arriva a rifiutare infatti il suo stesso nome, e si

abbandona allo scorrere mutevole della vita, al mutamento del mondo, «morendo» e

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«rinascendo» subito dopo, in ogni attimo, sempre

nuovo e senza ricordi, senza la costrizione di alcuna

maschera autoimposta, ma identificandosi in ogni

cosa, in una totale estraniazione dalla società e dalle

forme coatte che essa impone. LA CRISI DEL DOPOGUERRA

I TRATTATI DI PACE

La conferenza di pace del 1919

finì per ignorare i principi

stabiliti dal presidente

americano Wilson per una pace

giusta, che non permettesse prevaricazioni, e che rispettasse il principio

Trattato di

dell'autodeterminazione dei popoli. Sotto la spinta di Francia e Inghilterra il

Versailles impose condizioni particolarmente dure alla Germania. In Germania Austria e

Ungheria, mentre rinasceva la Polonia come stato indipendente. Poco dopo anche la

Turchia divenne una repubblica.

Trentino, Adige, Venezia Giulia, Trieste

L’Italia ottenne il l’Alto la e l’Istria. Rimasero

Fiume Dalmazia.

irrisolte la questione della città di e quella della L’Italia voleva ottenere

sia l’una che l’altra, ma questo risultato era difficile ottenere per varie motivi. A Fiume la

di

maggioranza della popolazione era italiana ma in Dalmazia era slava. L’accordo

Londra del 1915 prometteva all’Italia la Dalmazia ma non Fiume. Inoltre quello di Londra

segreto

era un accordo e Wilson, non voleva riconoscerlo. Infine il nuovo regno

iugoslavo non voleva cedere la regione dalmata e tutta la diplomazia europea era

impegnata a sostenere la Iugoslavia dopo averla creata col compito di stabilizzare i

Balcani. Vittorio Emanuele Orlando, da parte sua, non riuscì a far valere le richieste

italiane e abbandonò Parigi per protesta. vittoria

Molti furono scontenti di questo risultato e si diffuse nel paese l'idea della

mutilata dalla sconfitta subita sul tavolo delle trattative. La Dalmazia andò a far parte

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della Jugoslavia, un regno multinazionale costituito artificialmente allo scopo di

stabilizzare la regione. Dall'unione di Boemia, Slovacchia e Moravia nacque la

Cecoslovacchia, Varie regioni del Medio Oriente vennero sottratte alla Turchia e affidate

alla Francia e all'Inghilterra col sistema dei mandati internazionali.

Società delle Nazioni

Nel 1920 nacque a Ginevra la con l’intento di garantire la pace

mondiale, sostenendo e imponendo la via della trattativa pacifica per risolvere i conflitti

tra gli stati. I risultati furono deludenti.

L’EUROPA DEL DOPOGUERRA

L'Europa del dopoguerra risultò ancor più divisa, con nuove frontiere che spesso

crearono problemi politici, economici e sociali. La crisi economica europea fu aggravata

dal problema del rimborso dei debiti e dai pesantissimi danni di guerra che imposero

alla Germania di pagare. Tutto questo favorì l'affermazione e lo sviluppo di Stati Uniti e

Giappone.

Il ritorno in patria di grandi masse di ex combattenti, la crisi economica che li accolse,

l'emozione provocata dalla Rivoluzione Russa favorirono il diffondersi di idee estremiste,

di pensieri rivoluzionari. Alla nascita dei primi partiti comunisti si contrappose lo

sviluppo di idee e movimenti di estrema destra. Nei paesi più colpiti dalla crisi economica

e sociale, come Germania e Italia, essi avrebbero successivamente condotto a forme di

governi dittatoriali.

L’ITALIA NEL DOPOGUERRA E IL BIENNIO ROSSO

Tutte le nazioni uscite dalla guerra e, anche l'Italia soffrirono di gravi difficoltà

economiche. La disoccupazione, la riconversione industriale da militare a civile, il ritorno

dei reduci furono problemi giganteschi per il nostro paese. Forte emozione suscitarono

anche in Italia le notizie che arrivavano dalla Russia. Il movimento operaio e socialista

pensò allora che anche per il nostro paese fosse giunta l’ora della rivoluzione. Agli

scioperi causati dalle difficoltà economiche e volti a ottenere migliori condizioni di lavoro

e salari più alti, si aggiunsero manifestazioni di contenuto fabbriche agli operai e

dichiaratamente politico. Così si diffusero parole d’ordine come le

la terra ai contadini . Nel mezzogiorno gruppi di braccianti tentarono di occupare le terre

incolte.

A Torino nel 1919 si costituirono, in diverse fabbriche, dei consigli di operai che

tentarono di gestire e controllare la produzione ma senza riuscirvi.

Nell’estate del 1920 furono occupate dagli operai le più grandi fabbriche del Nord,

inclusa la Fiat. Il biennio 1919-20, caratterizzato da agitazioni politico- sindacali, venne

biennio rosso,

chiamato per via del colore delle bandiere dei manifestanti esposte nelle

fabbriche occupate. Le agitazioni si diffusero anche nella pianura padana, innescando

duri scontri fra proprietari e braccianti, con violenza da una parte e dall’altra, soprattutto

in Emilia e Romagna.

risultati economici positivi:

Le agitazioni operaie fecero ottenere i lavoratori ottennero

giornata

l’aumento del salario e miglioramenti delle condizioni di lavoro; le ore della

lavorativa effetti politici negativi,

passarono da 10-11 a 8 . Portarono anche a degli

perché spaventarono la borghesia: sia i grandi proprietari di industrie e di terre, sia il

ceto medio, i piccoli borghesi che costituivano una classe sociale numerosa. Il timore di

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una possibile rivoluzione li avrebbe presto spinti ad appoggiare il fascismo di Benito

Mussolini. UN PARLAMENTO SENZA

MAGGIORANZA

A causa della lunga durata della

elezioni vennero

guerra le in Italia

tenute nel 1919, a sei anni di

distanza da quelle che si erano

svolte nel 1913. Nel frattempo la

guerra aveva cambiato tante cose e i

mutamenti ebbero precisi riflessi

sulla composizione del nuovo

Parlamento.

Poiché nessun partito aveva la

maggioranza per governare,

accordi

sarebbero stati necessari degli solidi e duraturi fra forze politiche diverse. Questo

risultato però non fu raggiunto. Le nuove elezioni, tenute nel 1921, non cambiarono gran

parlamenti divisi deboli

che le cose. I governi che nacquero da questi furono sempre più

sostenuti da maggioranze pericolanti. Alla prima difficoltà esse si disfacevano,

provocando così la sostituzione del precedente governo con uno nuovo, altrettanto

precario.

Neppure l'abilità politica del vecchio Giolitti si rivelò efficace, anche se, in qualche caso

ottenne dei successi: durante l'occupazione delle fabbriche egli rifiutò di far intervenire la

polizia e l'esercito aspettò che il movimento si esaurisse da sé, che terminassero le scorte

di materie prime nei magazzini delle aziende occupate, che gli stessi operai si rendessero

conto che l'occupazione non portava a nulla. Nello stesso tempo favorì le trattative fra gli

industriali e sindacati e, praticamente, obbligò gli industriali a concedere ai lavoratori i

miglioramenti di salario richiesti. A quel punto gli operai cessarono l'occupazione e l'idea

di una rivoluzione simile a quella sovietica svanì. Anche fra i moderati e i conservatori

alcuni capirono che la soluzione di Giolitti era, in quel momento, la migliore possibile per

tutti. Tuttavia, svariati industriali e soprattutto molti grandi proprietari terrieri, anch'essi

costretti ad accettare accordi sindacali svantaggiosi, cominciarono a sostenere il nascente

movimento fascista.

Essi consideravano la mediazione di Giolitti come un'imposizione ingiusta. Nacquero nel

Confederazione generale dell'industria la Confederazione generale

1920 la

dell'agricoltura, due grandi organizzazioni padronali costituite per trattare uniti e avere

maggiore forza, non solo verso i sindacati dei lavoratori ma anche verso il governo. Non

riuscì però il tentativo giolittiano di portare al governo i socialisti. Paralizzati dalle divisioni

e cercando di evitare una spaccatura dal partito che poi ebbe luogo ugualmente, essi

finirono per rifiutare ogni responsabilità.

Il partito socialista italiano continuava a restare diviso in due correnti: i riformisti e i

Antonio Gramsci

massimalisti. Era nata, poi la seconda rivoluzionaria guidata da e da

Amedeo Bordiga. Uscita dal partito socialista essa diede vita nel 1921, a Livorno, al

Partito comunista d'Italia. 12

La scissione comunista rese più debole la sinistra italiana, che risultò frazionata in due

partiti separati e avversari. Del resto anche i liberali erano tutt'altro che uniti al loro

Don Luigi

interno. Anche il partito cattolico il Partito popolare, guidato dal sacerdote

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