Il decadentismo è una corrente letteraria molto importante che influirà sulla letteratura del novecento. Si sviluppa in Francia, al termine dell’Ottocento.
Può essere considerata come un proseguimento, in forma più estrema, di alcuni temi tratti dal romanticismo, la principale corrente letteraria sviluppatasi agli inizi del novecento: il sogno, l’irrealtà e la fantasia. L’uomo decadente, proprio come l’uomo romantico, vive in contrapposizione tra la realtà l’irrealtà. Questo lo porta ad essere spesso malinconico e nei casi più estremi anche ad autodistruggersi. Tra le principali figure dei decadenti troviamo “l’inetto e il superuomo”. L’inetto è un uomo che vorrebbe riuscire ad affrontare i suoi problemi, le sue paure, vorrebbe riuscire a superare le difficoltà che giorno dopo giorno incontra, ma a causa della sua scarsa forza di volontà, fallisce; proprio adesso davanti a lui si aprono due strade: una che lo porta al suicidio e una che lo porta a sognare.
Il superuomo, invece, è un uomo con molta volontà, che riesce a superare i suoi problemi e prova un senso di soddisfazione, realizzazione di se stesso.
I principali autori decadenti sono:
Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli è un poeta romagnolo, nato nel 1855. E’ stato un poeta italiano molto importante, una figura emblematica della letteratura italiana di fine Ottocento. Visse in una famiglia benestante, felice, ma questa situazione durò fino al 1867, età in cui il padre morì assassinato, lasciando tutti sul lastrico. Le ragioni del delitto, forse di natura politica o forse dovute a contrasti di lavoro, non furono mai chiarite e i responsabili rimasero per sempre oscuri, nonostante la famiglia avesse forti sospetti sull'identità dell'assassino.
Questo terribile avvenimento è uno dei temi che ricorre sempre nelle sue poesie: la più importante e conosciuta tra tutte è la "Cavallina Storna" (Miricae). Questa narra della vicenda attraverso una sorta di dialogo tra la madre di Pascoli e una cavalla, unica testimone del delitto. La madre, non avendo nessuno con cui confidarsi, si rivolge a essa, come se fosse una persona. Il poeta paragona la fedeltà della cavalla alla vigliaccheria dell’uomo. Gli uomini che sanno, infatti, non parlano mentre la cavalla che vorrebbe parlare non può, perché purtroppo non ha la parola.
A quel tempo, Pascoli, aveva iniziato gli studi in un collegio religioso a Urbino. Grazie a una borsa di studio, riesce poi a continuarli a Firenze, nonostante le gravi difficoltà economiche. Preso il diploma nel 1873, si iscrive alla facoltà di lettere a Bologna; qui è allievo di Carducci. Dopo la laurea decide di incominciare a lavorare per mantenere sé e la sua famiglia economicamente. Inizialmente insegna nei licei, poi passa all’insegnamento universitario. Nel 1905 eredita il posto di Carducci, che terrà fino all’anno della sua morte (1912 – Bologna).
Le sue più importanti raccolte di poesie sono Miricae (la prima tra tutte), i Canti Di Castelvecchio, i Primi Poemetti, i Nuovi Poemetti e i Poemi Convivali. Altre raccolte di poesie sono a carattere risorgimentale, scritte sull’esempio della poetica di Carducci.
Giovanni Pascoli è noto per la sua cosiddetta “Poetica del Fanciullino”. Egli ritiene che in ogni persona (indipendentemente dal lavoro che svolge e dalla condizione sociale) ci sia un fanciullino. Esso è uno spirito sensibile che consiste nella capacità di meravigliarsi delle piccole cose, proprio come fanno i bambini. La differenza tra il poeta e l’uomo comune, quindi, sta nel fatto che il primo riesce ad ascoltare e dare voce al fanciullino che è in lui.
Luigi Pirandello
Luigi Pirandello è un poeta siciliano, nato ad Agrigento nel 1867. Il padre aveva interessi nelle solfare, le miniere da cui si estrae lo zolfo, per questo lo avvia agli studi tecnici. Pirandello però avvertiva un altro interesse: quello per la letteratura. Grazie all’aiuto della madre decide allora di intraprendere studi classici.
Concluderà i suoi studi a Bonn, laureandosi nel 1891 con una tesi sui dialetti siciliani. Proprio in questo periodo decide di trasferirsi a Roma. Qui si sposa e si inserisce nell’ambiente degli scrittori con il suo primo romanzo, l’Esclusa. Da questo romanzo possiamo iniziare a intuire la poetica complessa di Pirandello, che si basa principalmente su quello che lui stesso definisce “il dramma dell’essere”. Le sue idee riguardo questa teoria sono parecchie:
- Egli ritiene che ognuno di noi è qualcuno solo se gli altri lo riconoscono come tale.
- Egli crede nel relativismo, cioè nella necessità di una doppia personalità di ognuno di noi e del bisogno di portare maschere in base alla situazione in cui ci troviamo, rendendo così la vita simile al palcoscenico di un teatro.
- Egli pensa che per ognuno di noi è indispensabile essere folli, per scappare dall’invivibile realtà che ci circonda.
- Egli ritiene che l’idea che noi abbiamo di noi stessi è diversa da quella che gli altri hanno di noi.
Questo primo romanzo narra di una storia ambientata in Sicilia.
Marta, la protagonista, è una donna che viene ripudiata dal marito Rocco, il quale si ritiene vittima di un tradimento. A scatenare il comportamento di Rocco è una lettera che un giovane del luogo, deputato al parlamento, di nome Gregorio Alvignani, ha indirizzato a Marta. Il suo ripudio crea enormi disastri, perché tutto il paese sa della vicenda, quindi il nome della donna viene infangato. Il padre di Marta, addirittura, per l’umiliazione subita, cade in un grave stato di depressione e dopo qualche giorno muore, lasciando sul lastrico l’intera famiglia. Adesso per la povera donna diventa necessario mantenere economicamente sé e la sua famiglia: decide di partecipare a un concorso per diventare insegnante in una scuola elementare. Nonostante lo vinca non viene accettata dalla scuola, perché nessuna madre avrebbe accettato un’insegnante simile. Così accetta di trasferirsi a Palermo insieme alla madre e la sorella. Qui ottiene un posto di lavoro grazie all’aiuto di Alvignani. E’ tutto più semplice, perché nessuno conosce il suo passato e la sua vita migliora notevolmente. Tra Marta e l’uomo nasce una storia: insieme formano una famiglia. Dopo qualche anno, l’ex marito Rocco, si accorge della farsa e vuole ritornare tra le braccia di Marta, ma lei non lo accetta più.
In questa narrazione quindi, Rocco è l’inetto e Alvignani il superuomo.
Altre opere di Pirandello sono: Il Turno, Il Fu Mattia Pascal, Uno, Nessuno e Centomila, Così è Se Vi Pare.
Luigi Pirandello non è stato solo un grande compositore di romanzi o novelle, ma anche un grande scrittore di opere teatrali. Infatti, verso il 1916 incomincia a lavorare per lo scrittore comico Angelo Musco. Per lui scrive diverse commedie tra cui: Pensaci, Giacomino!, Liolà, Il Giuoco Delle Parti, L’Uomo e Come Tu Mi Vuoi. Quest’ultima commedia diventa persino soggetto di un film hollywoodiano, interpretato dalla famosa attrice Greta Garbo.
Due anni prima della morte, avvenuta nel 1936 a Roma, Pirandello riceve dall’accademia reale di Svezia il premio nobel per la letteratura.
Storia
Questi poeti vivevano in un contesto ricco di conflitti. Tra questi ve ne sono 2 molto importanti e noti che vengono definiti di tipo mondiale perché provocarono numerosi massacri e distruzioni. Infatti, grazie all’innovazione e alle numerose scoperte in campo scientifico, si riuscirono a costruire nuove armi, sempre più pericolose e distruttive, che vennero utilizzate in campo di guerra.
Prima della guerra, i rapporti fra gli stati europei erano molto tesi.
Dal punto di vista politico:
- La Francia voleva acquisire l’Alsazia e la Lorena che perse in seguito a una sconfitta subita dalla Germania.
- L’Italia voleva il Trento e il Trieste (appartenenti all’impero austro-ungarico) per completare il suo territorio.
- Austria, Russia e Italia si volevano espandere nella zona dei Balcani.
Quindi l’Europa, tenendo presente questi rapporti negativi tra i Paesi, si divise in due schieramenti opposti:
- Quello degli Imperi Centrali che comprendeva Germania e Austria-Ungheria.
- Quello della Triplice Intesa che comprendeva Russia, Gran Bretagna e Francia.
La principale causa di questa guerra fu un attentato compiuto a Sarajevo il 28 giugno 1914 per mano di uno studente Serbo, Gravilo Princip. Egli uccise l’arciduca Austriaco Francesco Ferdinando che in quel momento era insieme alla moglie Sofia.
L’Austria ritenne immediatamente la Serbia responsabile e le dichiarò guerra (anche se, in realtà, voleva approfittare della situazione per conquistare nuovi territori).
Dopo ciò, entrarono in gioco le alleanze. La Russia si dichiarò subito a favore della Serbia. La Germania invece scese in guerra con l’Austria dichiarando guerra alla Russia ed alla Francia che erano alleate. Essa, per meglio attaccare questi territori invase Belgio e Lussemburgo, due paesi neutrali. Questa azione provocò l’intervento dell’Inghilterra (che difendeva i propri interessi sulla Manica) mentre anche il Giappone dichiarava guerra alla Germania per difendere i propri interessi sul Pacifico.
La Guerra Ebbe ufficialmente inizio.
Sul fronte orientale i Russi, grazie alla loro superiorità numerica, riuscirono a penetrare in Prussia, ma furono sconfitti nelle battaglie di Tannemberg e dei Laghi Masuri e dovettero ritirasi.
L’Italia che non era stata informata dall’Austria dell’ultimatum inviato alla Serbia si era dichiarata neutrale. Nella Nazione si formarono così due correnti da parte del popolo: quella dei neutralisti, sfavorevoli alla partecipazione dell’Italia in guerra, e quella degli interventisti che volevano che l’Italia partecipasse alla guerra per completare l’Unità D’Italia.
Mentre l’opinione pubblica era in conflitto, il governo Italiano cercava in qualche modo di partecipare alla guerra. Inizialmente cercò di avviare trattative con l’Austria-Ungheria, ma dato che questo paese non accettò le sue richiese, decise di accordarsi con lo schieramento opposto. Con esso stipulò il patto di Londra che prevedeva, in caso di vittoria, dei compensi territoriali (Trento, Trieste e qualche territorio della Dalmazia e dell’Albania.
Vinta l’opposizione dei neutralisti, l’Italia entrò in guerra contro l’Austria-Ungheria.
Le prime battaglie in cui fu coinvolto l'esercito italiano ebbero esito disastroso: nei territori del Carso i soldati italiani subirono quattro cruente disfatte da parte dell’Austria-Ungheria (Battaglie dell'Isonzo).
Intanto in Francia, i tedeschi, scatenarono una lunga guerra vicino la fortezza di Verdun; molto grave fu anche la battaglia della Somme nella quale comparvero i primi carri armati.
Alla guerra terrestre nel mentre si era aggiunta quella sui mari. Infatti l’Inghilterra, per difendersi, aveva sottoposto la Germania a un blocco marittimo per privarla dei rifornimenti. Come risposta a quest’attacco, la Germania, decide allora di affondare tutte le navi in rotta per la Gran Bretagna: si scatena la guerra sottomarina.
Quando un sottomarino tedesco nel 1915 affonda una nave inglese con a bordo numerosi passeggeri statunitensi, e altre 2 navi americane, il presidente Thomas Wilson decide di dichiarare guerra agli imperi centrali, per difendersi da questa situazione.
L’intervento degli USA fu positivo per la Triplice Intesa, perché riequilibrò le forze in campo. Infatti nel 1917, precisamente a marzo (febbraio russo), in Russia esplose una forte rivoluzione (Rivoluzione Di Febbraio) che mise a terra tutto lo stato. Questa fu la causa immediata dell’uscita della Russia dalla guerra Il 3 marzo 1918, firma la Pace di Brest-Litovsk, secondo la quale
- La Russia cedeva alla Germania la Polonia e i Paesi Baltici.
- Riconosceva l’indipendenza dell’Ucraina.
Le conseguenze per l’italia peggiorarono, perché gli austriaci si spostarono dal fronte russo a quello italiano e ciò causò una gravissima crisi militare. L’esercitò austriaco riuscì a sfondare le linee italiane a Caporetto, il 24 ottobre 1917. L’Italia, allora cominciò a difendersi attestandosi sulla linea del Monte Grappa e del Piave.
Nella primavera del 1918, la Germania, come gli altri Stati, era a corto di materie prime, tuttavia provò ad attaccare, inutilmente le truppe francesi e inglesi nella seconda battaglia di Marna.
Bulgaria e Impero turco venivano costretti alla resa.
L’Italia passò alla controffensiva ottenendo la vittoria di Vittorio Veneto. L’Austria, così chiese l’armistizio e l’esercito italiano risultò vittoriosa.
L’11 novembre venne firmato l’ultimo armistizio con la Germania.
Si chiuse così la prima guerra mondiale con oltre 10 milioni di morti, dopo circa 4 anni.
Il dopoguerra
Il 18 gennaio 1919 si aprì a Versailles la Conferenza per la Pace alla quale parteciparono solo le nazioni vincitrici con lo scopo di elaborare un trattato che sarebbe stato successivamente imposto ai governi delle nazioni vinte. Con questo trattato, l’Europa ne uscì ridimensionata.
Con il Trattato di Versailles, in cui un ruolo centrale ebbero Wilson (USA), Clemencau (Francia), Lloyd George (Inghilterra) e nominalmente Orlando (Italia) in rappresentanza dei paesi vincitori, stabilirono i punti fondamentali del nuovo assetto:
- La nascita, dall'impero asburgico dissolto, della Jugoslavia e della Cecoslovacchia.
- La nascita, dalla dissoluzione dell'impero zarista, di Polonia, Finlandia, Lettonia, Estonia e Lituania.
- La Russia riprende l'Ucraina dalla Germania.
- Dalla disgregazione dell'impero ottomano viene data all'Inghilterra l'amministrazione dell'Iraq e della Palestina, alla Francia la Siria.
- La Germania, considerata colpevole dell'inizio della guerra, dovette pagare gli ingentissimi danni di guerra. Perse a vantaggio della Francia, l'Alsazia e la Lorena, i territori coloniali (divisi tra Francia, Inghilterra e Giappone), il "corridoio polacco" che venne dato alla Polonia.
- Gli Usa uscivano dalla guerra come principali creditori delle potenze in guerra.
Attualità - Cittadinanza e Costituzione
La prima guerra mondiale impose un preciso cambiamento nella società a cominciare dalla cosiddetta “mobilitazione totale”, cioè la necessità di impegnare per la guerra tutti i cittadini e tutte le risorse nazionali.
Un numero crescente di donne entrò allora nel mercato del lavoro, al posto degli uomini invitati al fronte, con ruoli non sussidiari; si trattò però di un cambiamento parziale e provvisorio, tanto che furono licenziate appena terminata la guerra.
L’opportunità di lavorare fuori casa accrebbe la possibilità delle donne di occupare posizioni socialmente più elevate e gratificanti, di dimostrare di valere nel lavoro quanto gli uomini, di uscire dal tradizionale ruolo casalingo e di acquistare maggiore autostima.
Il crescente bisogno di manodopera spinse persino all’impiego lavorativo minorile, il che disobbediva a una delle tante leggi a tutela del minore. Essa, che fu emanata nel 1886, prescriveva l’età minima di nove anni per l’ammissione al lavoro, obbligava la visita medica per accertare l’idoneità del fanciullo ai lavori laboriosi, insalubri e pericolosi, stabiliva che la giornata lavorativa doveva essere di 8 ore per i ragazzi dai 9 ai 12 anni.
La fine della guerra fece ritornare le donne al loro stato originario, cioè di badanti di casa e famiglia. Triste destino anche per i minori che si ritrovarono a dover affrontare gravi problemi di salute per le condizioni malsane in cui lavoravano.
E' noto che proprio la fine del conflitto vide riaffermarsi le ideologie maschiliste, militariste intolleranti e violente.
Un altro aspetto che ha caratterizzato fortemente la prima guerra mondiale e gli anni a seguire fu il problema dell’immigrazione, che ancora oggi ci riguarda da vicino.
Le migrazioni di popoli hanno costituito uno degli aspetti più rilevanti della storia. Grazie a tali movimenti la nostra specie, diffondendosi, ha occupato tutti i continenti.
Oggi stiamo assistendo a una nuova ondata migratoria, che si sviluppa prevalentemente in direzione sud-nord. Camminando per qualsiasi città Europea occidentale ci accorgiamo come il nostro continente è stato sottoposto a una sorta di invasioni pacifiche e silenziose di individui diversi per nazionalità, lingua e cultura, diversi perfino per il colore della pelle e per i tratti somatici. La ragione che ha spinto questi popoli ad abbandonare la propria terra e famiglia e sopratutto di maniera economica, ma molti sono emigrati anche per motivi politici o per scappare dai massacri provocati dalla guerra, che interrottamente travaglia molte parti dell’Africa e dell’Asia. Uno dei fattori che porta all’emigrazione è anche: L’industrializzazione e lo sfruttamento di queste grandi masse di disperati, costringendoli ad accettare i lavori più faticosi e pericolosi in cambio di salari del tutto inadeguati. Al tempo stesso però, l’arrivo di queste masse suscita diffidenza, antipatia, ostilità e odio per gli stranieri, se non addirittura razzismo. Anche in Italia fra Otto e Novecento, e poi dopo la seconda guerra mondiale, molte persone sono emigrate all’estero Ancor più imponenti delle migrazioni verso l’estero, sono però state quelle interne, che hanno visto una parte considerevole della popolazione meridionale trasferirsi nelle città del triangolo “industriale” (Milano, Torino e Genova).
Oggi gli italiani non migrano più, in compenso si trovano piuttosto impreparati di fronte all’arrivo inatteso di centinaia di migliaia di stranieri. Una ventina di anni fa, i primi “vu cumprà” venditori ambulanti di pelle nera, che percorrono le spiagge tentando con un sorriso di convincere gli italiani a comprare la loro merce, suscitavano simpatia. Oggi invece molti guardona con allarme il continuo ingresso di extracomunitari, giudicati come probabile delinquenti o come insidiosi rivali nella ricerca di lavoro sempre più difficile da trovare.
Occorre ricordare che l’Italia e fra paesi con il minor numero di stranieri. Nonostante il gran numero di stranieri in tutta l’Europa occidentale, le cifre sono destinate ad aumentare perché il numero di disoccupati in Polonia, Romania e Bulgaria è tale che da un momento a l’altro il movimento migratori può bruscamente intensificarsi. Non é possibile sapere con certezza quanti siano gli immigrati presenti nel nostro paese, poiché a quelli che hanno ottenuto la cittadinanza e a quelli provvisti di regolare permesso di soggiorno, vanno aggiunti i “clandestini”, cioè coloro che sono costretti a nascondersi e risultano quindi sconosciti agli uffici anagrafici. Gli immigrati per la maggioranza provengono dall’Africa del Nord, Asia, America Latina e paesi dell’Europa orientale ( Albania, ex Jugoslavi, Polacchi e Rumeni). A questi si possono aggiungere 75.000 Zingari, stanziati da molto tempo in Italia, ma visti male perché ritenuti dediti all’accattonaggio e alla microcriminalità. Molti immigrati sono analfabeti, ma un terzo di loro è in possesso di diploma o laurea.
Per comprendere appieno il dramma di queste persone devi pensare in primo luogo alla disperazione che le costringe a lasciare la propria terra, le proprie famiglie ad affrontare viaggi spesso molto pericolosi e faticosi per donne e bambini. Al loro arrivo si trovano di fronte a svariati problemi come difficoltà a capire la lingua e a trovare lavoro e alloggio. Poi sono sottoposti a ostilità da parte della popolazione e soffrono spesso di solitudine. In molti casi il percorso di un extracomunitario é di trovare alloggio da un amico e successivamente cercare casa e lavoro, anche se questo spesso gli viene offerto a nero in modo da non pagare le tasse. Siamo abituati a vedere che gli immigrati vivano di elemosina, oppure che facciano i lavavetri o i venditori ambulanti, sempre che non entrino nel giro della droga. Certo queste attività sono molto diffuse ma i dati dimostrano che la maggior parte di loro è impiegata nell’industria e nell’agricoltura. E a questo proposito si pone una questione essenziale: È giustificato il timore diffuso che questi lavoratori aumentino la disoccupazione del paese? La loro disponibilità ad accettare i lavori più pericolosi con salari bassissimi può indurre imprenditori senza scrupoli a preferirli ai braccianti italiani? Non si può negare che tale preoccupazione sia talvolta giustificata, ma gli immigrati generalmente svolgono lavori che i nostri giovani disoccupata non sono disposti ad accettare perché dannosi alla salute o precarie. Quindi gli immigrati contribuiscono allo sviluppo del paese e fanno andare avanti mestieri che sarebbero persi.