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Sintesi

Introduzione Pictor classicus sum, tesina



La tesina di maturità verte sulla pittura metafisica. E' un'atmosfera particolare quella che si respira in Europa nei primi anni del 20esimo secolo, le vie della “Grande Città” luccicano sorridendo con bonarietà a colui il quale si trovasse a passeggiarvi durante una gentile serata autunnale, avveniristiche architetture in ferro e vetro vi si disegnano attraversandola con inaspettata leggerezza creando soluzioni spaziali che solo qualche decennio prima sarebbero state impossibili anche solo da pensare. E' come se, infondo, la “Grande Città” si stesse preparando a ricevere visite importanti e volesse quindi far sfoggio della sua eleganza, mettere in mostra il suo profilo migliore, suscitare meraviglia in coloro i quali avranno l'onore di poterla ammirare. Ed è proprio sull'ammiratore che noi andremo a focalizzare la nostra attenzione: l'uomo europeo. Non c'è periodo nella storia dell'umanità nel quale egli possa vantare un domino su ciò che lo circonda paragonabile a quello vissuto nei primi del novecento, l'industrializzazione galoppa portando con se l'avanzamento della tecnica, le scoperte della medicina sembrano non conoscere limiti, l'aggettivo autoreferenziale non è neanche lontanamente sufficiente a descrivere l'assetto politico imposto dall'Europa al resto del mondo, un'Europa intransigente, spavalda, forte della migliore arma mai creata: la diplomazia.
L'uomo di questo periodo è un uomo dotato di una sicurezza nelle sue capacità che rasenta l'imbecillità, vestito nella piccolezza del suo gilet chiaro, spavaldo nel suo colletto inamidato tanto da renderlo tagliente e nel suo completo scuro a doppio petto, percorre a passi misurati la via che conduce verso la sua bella casa con un senso di superiorità che aumenta esponenzialmente ad ogni falcata. E' in questo periodo di assurda sicurezza nelle proprie possibilità che ha l'opportunità di emergere ed affermarsi il movimento che caratterizza lo spirito di quest'epoca. Il sole
meccanico e ticchettante del Futurismo dardeggia arrogante sul panorama culturale imponendosi dalle pagine del quotidiano “Le Figarò”: «Non v'è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.» scrive Marinetti nel suo manifesto diradando bruscamente gli eventuali dubbi che potrebbero sorgere nella mente del causale avventore circa la natura della corrente artistica mostrando uno dei suoi punti focali, l'estrema chiarezza di vedute. Ciò che vede la luce il 20 febbraio 1909 è un raro concentrato di sicurezza, spavalderia e determinazione, un'argentea creatura sferragliante che inizia la propria folle corsa verso il traguardo dell'assoluta emancipazione dell'uomo da qualsivoglia meditazione passatista inerente al sentimento o alla mera interiorità. Una
macchina i cui ingranaggi e meccanismi sono perfettamente coordinati, come diretti da un invisibile direttore d'orchestra che non ammette la benché minima variazione sulla partitura. Visto il clima che si respirava in quei tempi euforici viene da pensare a una completa adesione al futurismo e, per certi versi, non ci distaccheremo troppo dalla realtà attribuenattribuendogli l'aggettivo di paneuropeo tuttavia, come la storia ci insegna, l'uomo è (fortunatamente) un animale con gusti che, data la loro eccezionale eterogeneità, sono particolarmente difficile da conciliare; ed ecco che poco tempo dopo il diffondersi delle idee di quell'esaltato di Marinetti un giovane convalescente sta timidamente passeggiando per Santa Croce ancora ignaro del fatto che grazie proprio alla passeggiata in questione scriverà una delle pagine più belle dell'arte del ventesimo secolo. In un uggioso ed assolato pomeriggio di autunno nasce la Pittura Metafisica. La tesina permette dei collegamenti tra Storia e Storia dell'arte.

Collegamenti


Pictor classicus sum, tesina



Storia dell'arte - Pittura Metafisica.
Storia - Primi del Novecento.
Estratto del documento

Introduzione

E' un'atmosfera particolare quella che si respira in Europa nei primi anni del 20esimo secolo, le vie

della “Grande Città” luccicano sorridendo con bonarietà a colui il quale si trovasse a passeggiarvi

durante una gentile serata autunnale, avveniristiche architetture in ferro e vetro vi si disegnano

attraversandola con inaspettata leggerezza creando soluzioni spaziali che solo qualche decennio

prima sarebbero state impossibili anche solo da pensare. E' come se, infondo, la “Grande Città” si

stesse preparando a ricevere visite importanti e volesse quindi far sfoggio della sua eleganza,

mettere in mostra il suo profilo migliore, suscitare meraviglia in coloro i quali avranno l'onore di

poterla ammirare. Ed è proprio sull'ammiratore che noi andremo a focalizzare la nostra attenzione:

l'uomo europeo. Non c'è periodo nella storia dell'umanità nel quale egli possa vantare un domino su

ciò che lo circonda paragonabile a quello vissuto nei primi del novecento, l'industrializzazione

galoppa portando con se l'avanzamento della tecnica, le scoperte della medicina sembrano non

conoscere limiti, l'aggettivo autoreferenziale non è neanche lontanamente sufficiente a descrivere

l'assetto politico imposto dall'Europa al resto del

mondo, un'Europa intransigente, spavalda, forte

della migliore arma mai creata: la diplomazia.

L'uomo di questo periodo è un uomo dotato di una

sicurezza nelle sue capacità

che rasenta l'imbecillità,

vestito nella piccolezza del

suo gilet chiaro, spavaldo nel

suo colletto inamidato tanto

da renderlo tagliente e nel

suo completo scuro a doppio

petto, percorre a passi

misurati la via che conduce

verso la sua bella casa con un

senso di superiorità che aumenta

esponenzialmente ad ogni falcata. E' in questo periodo di

assurda sicurezza nelle proprie

possibilità che ha l'opportunità di

Parigi -Ponte Alessandro III- emergere ed affermarsi il movimento che

caratterizza lo spirito di quest'epoca. Il sole

meccanico e ticchettante del Futurismo dardeggia arrogante sul panorama culturale imponendosi

dalle pagine del quotidiano “Le Figarò”:

«Non v'è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può

essere un capolavoro.» scrive Marinetti nel suo manifesto diradando bruscamente gli eventuali

dubbi che potrebbero sorgere nella mente del causale avventore circa la natura della corrente

artistica mostrando uno dei suoi punti focali, l'estrema chiarezza di vedute. Ciò che vede la luce il

20 febbraio 1909 è un raro concentrato di sicurezza, spavalderia e determinazione, un'argentea

creatura sferragliante che inizia la propria folle corsa verso il traguardo dell'assoluta emancipazione

dell'uomo da qualsivoglia meditazione passatista inerente al sentimento o alla mera interiorità. Una

macchina i cui ingranaggi e meccanismi sono perfettamente coordinati, come diretti da un invisibile

direttore d'orchestra che non ammette la benché minima variazione sulla partitura.

Visto il clima che si respirava in quei tempi euforici viene da pensare a una completa adesione al

futurismo e, per certi versi, non ci distaccheremo troppo dalla realtà attribuendogli l'aggettivo di

paneuropeo tuttavia, come la storia ci insegna, l'uomo è (fortunatamente) un animale con gusti che,

data la loro eccezionale eterogeneità, sono particolarmente difficile da conciliare; ed ecco che poco

tempo dopo il diffondersi delle idee di quell'esaltato di Marinetti un giovane convalescente sta

timidamente passeggiando per Santa Croce ancora ignaro del fatto che grazie proprio alla

passeggiata in questione scriverà una delle pagine più belle dell'arte del ventesimo secolo. In un

uggioso ed assolato pomeriggio di autunno nasce la Pittura Metafisica.

Pictor classicus sum

«..., dirò ora come ho avuto la rivelazione di un quadro che ho esposto quest'anno al Salon

d'Automne e che ha per titolo: L'enigma di un pomeriggio d'autunno. Durante un chiaro

pomeriggio d'autunno ero seduto su una panca in mezzo a Piazza Santa Croce a Firenze. Non era

certo la prima volta che vedevo questa piazza. Ero appena uscito da una lunga e dolorosa malattia

intestinale e mi trovavo in uno stato di sensibilità quasi morbosa. La natura intera, fino al marmo

degli edifici e delle fontane, mi sembrava convalescente. In mezzo alla piazza si leva una statua che

rappresenta Dante avvolto in un lungo mantello, che stringe la sua opera contro il suo corpo e

inclina verso terra la testa pensosa coronata d'alloro. La statua è in marmo bianco, ma il tempo gli

ha dato una tinta grigia, molto piacevole a vedersi. Il sole autunnale, tiepido e senza amore

illuminava la statua e la facciata del tempio. Ebbi allora la strana impressione di vedere tutte

quelle cose per la prima volta. E la composizione del quadro apparve al mio spirito; ed ogni volta

che guardo questo quadro rivivo quel momento. Momento che tuttavia è un enigma per me, perché

è inesplicabile. Perciò mi piace chiamare enigma anche l'opera che ne deriva.»

de Chirico, Parigi 1912

Questo breve paragrafo è il primo cardine attorno al quale andremmo a costruire la nostra analisi

della Pittura Metafisica in quanto ci da modo di analizzare contemporaneamente la genesi della

corrente e i suoi aspetti fondamentali. E' un de Chirico giovanissimo quello che nel 1912 scrive a

proposito della sua prima opera concepita in seguito ad una suggestione avvenuta anni addietro, ai

tempi del suo soggiorno fiorentino, un de Chirico ventiquattrenne che ha appena presentato i suoi

lavori ed ha attirato l'attenzione di

personalità del calibro di

Apollinaire, un de Chirico che sta

già maturando le linee guida del

movimento. Ci troviamo davanti

a un fenomeno di natura opposta

rispetto a quanto abbiamo visto

con il Futurismo: ad una

sicurezza sfrontata si oppone

un categorico rifiuto di

qualsiasi certezza, ad una

precisione tecnica

nell'esecuzione e

nell'immaginazione subentrano

affascinanti distorsioni spaziali,

all'arrogante antropocentrismo

del primo corrisponde la muta

presenza dei suoi idoli. La

Pittura Metafisica è la riscossa in

ambito artistico di tutti quegli

elementi

che la sfrenata giostra del progresso aveva

tentato di seppellire e dimenticare, Russolo -Dinamismo di un'automobile (1914)-

è il mezzo attraverso il quale avviene

una nuova riscoperta della classicità che, non potendo più presentarsi con tale epiteto dopo le

infiammate rivendicazioni dei Futuristi, si scrolla di dosso l'infamante titolo di “Passatismo”

trasfigurando in una dimensione nuova: quella metafisica. La vera innovazione apportata da de

Chirico sta tuttavia nella definizione che egli fornisce di questa. Il giovane pittore non può infatti

impiegare una definizione “tradizionale” in quanto essa non sarebbe lontanamente sufficiente a

fornire quella tale distanza che egli vuole porre tra la sua nuova corrente e il febbrile movimento

antagonista. La “nuova metafisica” strutturata da de Chirico è paradossalmente un concetto opposto

alla concezione tradizionale: è una verità soggettiva che giace nell'oggetto e ci si manifesta se lo si

riesce ad astrarre dalla sua collocazione abituale. Essa è volta a scardinare quella pericolosa

tendenza a limitare l'interiorità dell'individuo tipica del movimento Futurista: ad una estrema

scarnificazione del mezzo espressivo (es. rimozione dell'aggettivo, frammentazione dello spazio)

subentra un uso accurato e tradizionale volto a restituire all'artista la sua sfera sentimentale. Tutta

questa meticolosa “riappropriazione dell'Io” nella Pittura Metafisica a discapito della serialità e

della meccanizzazione del pensiero è volta ad accogliere la vera novità tipica di questa corrente:

l'enigmaticità del reale. E' sempre quel piccolo brano posto “ad incipit” che ci fornisce l'occasione

per introdurre questo

argomento unito al

primo significativo

gruppo di opere

metafisiche di de

Chirico, gli Enigmi

( L'enigma di un

pomeriggio d'autunno

1910, L'enigma

dell'oracolo 1910,

L’enigma dell’arrivo e

del pomeriggio 1911-

1912 ).

Questo concetto è la

conseguenza diretta

dell'introduzione della

nuova metafisica

all'interno del vivere

quotidiano: essa,

de Chirico -L'enigma dell'arrivo e del pomeriggio (1911-1912)- inserendovi nuove e

sconosciute verità alle

quali è possibile accedere solo tramite la contemplazione di ciò che ci circonda, assesta un duro

colpo a tutti coloro i quali riponevano cieca fiducia in una comprensione totale ed univoca del

mondo. E' il tramonto di un'epoca di ottimismo il panorama che si profilerà all'Europa negli anni

successivi a questo periodo ed è come se l'artista, attraverso le sue opere, presentisse tutto ciò.

Drappeggi neri calano oscurando soggetti, muri anonimi si ergono impedendo la vista di panorami

limitando la visione dell'osservatore, interessante inoltre osservare come questi blocchi della visuale

non siano invasivi ma si armonizzino con il resto del quadro. Essi sono posti sullo sfondo, in

disparte, grazie alla loro opaca tonalità l'occhio di chi guarda è catturato solamente in un secondo

momento dalla loro silenziosa presenza. Sono un invito alla rielaborazione soggettiva del quadro,

uno sprone ad interrogarsi su cosa occultano, sull'enigma che essi celano.

L'enigma di un pomeriggio d'autunno

Analizziamo la prima delle opere appartenenti a questo filone “L'enigma di un pomeriggio

d'autunno”: dipinto nel 1910 esso mostra Piazza Santa Croce durante un assolato

pomeriggio autunnale trasfigurata attraverso gli occhi del pittore. Lo spazio si

contrae, la

chiesa

si trasforma

in

un'architettura classicheggiante, la

statua di Dante si rivela nella sua

antichità e il resto della città viene

misteriosamente dissolto in una

bianca vela che ci porta ad

immaginare ambienti

che tuttavia

non saremmo mai in grado

di vedere; drappi neri e mura

silenziose ci accecano.

“L'enigma” fiorentino gioca un ruolo fondamentale nel rendere i caratteri della Pittura Metafisica in

quanto l'opera non è altro che una possibile delle molteplici immagini della piazza. De Chirico offre

una rilettura del luogo che ne sottolinea la maestosa e computa solennità tramite il Dante pensoso di

Enrico Pazzi (vestito dei panni di statua greca per l'occasione) e Santa Croce stessa la quale, pur

mantenendo la sua funzione di luogo sacro, viene fatta regredire sino a trasformarsi in un'austera

struttura che rimanda fortemente ad un tempio di ordine dorico. Ad accentuare ulteriormente il

legame con la classicità una vela solitaria irrompe biancheggiando su un anonimo sfondo catturando

immediatamente l'attenzione di chi guarda. Emblematiche sono a questo punto i drappi neri e le

mura che occupano una posizione centrale nella composizione. Sono infatti loro a legittimare

l'appartenenza di quest'opera alla corrente della Pittura Metafisica, in quanto essi sono la

concretizzazione di quel “Enigma” all'interno del titolo: questa corrente, ribadiamolo ancora una

volta, pone come punto di partenza il rifiuto delle certezze. Se noi togliessimo questi elementi al

quadro esso non sarebbe nulla più che la pittura di un paesaggio classicheggiante ricco di errori

prospettici, ma quei tendaggi e quelle costruzioni anonime ci impediscono di scorgerlo nella sua

completezza evocando in noi il sentimento di inquietudine. L'interpretazione che abbiamo

precedentemente fornito potrebbe essere vera come non, l'enigmaticità dell'opera si manifesta

appunto nell'incomunicabilità del vero messaggio che essa cela, nel lasciare carta bianca alla

soggettività nel momento della lettura e spazio alle più disparate esegesi.

Piazze d'Italia

«Ma che dignitosa, severa città!» Nietzsche, Torino 1888, scrivendo all'amico Peter Gast

Non è necessario niente oltre questa frase scritta dal celebre filosofo in uno dei suoi ultimi momenti

di lucidità per introdurre il secondo celebre filone di opere di de Chirico. Le Piazze d'Italia vedono

la luce proprio grazie alla lettura degli scritti dell'ultimo periodo di attività di Nietzsche: i termini

con cui egli dipinge la Torino di fine 19esimo secolo, quella severità, quell'eleganza inquietante che

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