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Arte: l'uomo Vitruviano
Architettura: le Corbusier (Modulor e Villa Savoye)
- i secondi invece formeranno due file con un’unità di resto, che ostacolerà l’estensione ideale delle
due fila risultanti verso l’infinito, dando vita così alla struttura della finitezza.
Il numero 2 sarà il simbolo della figura femminile, poiché primo numero pari, collegato all’infinito
e dunque simbolo del ciclo della generazione. Il numero 3, primo numero dispari sarà il simbolo
dell’uomo, poiché donna più il parimpari, che ne cambia la natura. Si consideri anche la forma
fallica che il tre compone dopo che la divisione è eseguita. Mentre il 4 e il 9, quadrati dei primi due
numeri sia pari che dispari, sono simboli dell’ordine e della giustizia, per la forma perfettamente
regolare della figura quadrangolare, il 5 rappresenta logicamente il matrimonio, l’atto sessuale e
dunque la generazione, il rito che genera e si rigenera. Il 5 è il numero prediletto dei Pitagorici, non
per fenomeni di semplice e banale simbologia, ma per il mistero che vela nella sua costruzione sotto
forma di poligono regolare. I greci erano infatti soliti costruire le figure geometriche con l’utilizzo
di semplici strumenti: riga e compasso. Il pentagono regolare era invece non rappresentabile con
questi mezzi, senza l’utilizzo della ragione φ. Questo simbolo rappresenta il numero aureo, alla base
di una crisi del sistema pitagorico, che sosteneva la conoscibilità di tutti gli oggetti, ma al contempo
una notevole scoperta del gruppo di matematici. Esso è infatti irrazionale. Tale termine deriva dal
latino ratio, che indica appunto la “relazione”. Un numero irrazionale, non può dunque appartenere
all’insieme dei numeri razionali: è inesprimibile come rapporto tra due numeri interi a e b, con b
diverso da zero. Nasce dunque l’idea che il numero esista in sé e per sé, indipendentemente dai
calcoli. Possiamo dunque fornire una definizione più precisa del rapporto aureo, come la relazione
che intercorre tra le due parti di un segmento AB bipartito, nel quale la parte maggiore è medio
proporzionale tra l’intero segmento e la parte minore.
AB :AC = AC : CB
Se poniamo AC = x e CB = (AB-x), otterremo che il valore di x è1,618033988… Queste sono le
prime 9 cifre di un’infinità di numeri che si trovano dopo la virgola, ma che descrivono con una
certa precisione il numero aureo. Le caratteristiche del numero in questione sono insolite: ha le
stesse infinite cifre decimali del proprio reciproco e del proprio quadrato. Tale rapporto intercorre
tra la diagonale e il lato del pentagono. Questa figura fu scoperta casualmente dagli assiri. Da
alcune tavolette di argilla ci è giunta infatti la rappresentazione della figura, ricavata unendo i
cinque segni lasciati dalle dita di una mano. Il poligono appena citato è dunque rappresentabile in
funzione del suddetto valore. L’immutabilità e la continuità della presenza della proporzione aurea
nelle sue forme la portò ad essere definita come dal matematico del Rinascimento Luca Pacioli.
Questi vedeva nella proporzione tra la parte media e gli estremi ben cinque affinità con l’essenza
divina. Esse vengono esposte nell’introduzione al testo “De Divina Proporzione”, nel momento in
cui l’autore richiama l’attenzione del Duca di Milano Ludovico il Moro.
La prima è che essa è una e non più, e non è possibile assegnarle altre specie o differenze. Tale
unità è il supremo attributo di Dio stesso, secondo ogni scuola teologica o filosofica.
La seconda è con la Santa Trinità, poiché, come nel Divino vi è una sola sostanza in tre persone,
Padre, Figlio e Spirito Santo, allo stesso modo una stessa proporzione si incontrerà sempre tra tre
termini, mai di più o di meno come poi si vedrà.
La terza è che così come Dio non può propriamente essere definito né compreso da noi attraverso
le parole, la nostra proporzione non può esser determinata attraverso un numero intelligibile né
espresso attraverso alcuna quantità razionale, rimanendo sempre occulta e segreta, così da essere
chiamata irrazionale dai matematici.
La quarta consiste nel fatto che, come Dio non può mutare permanendo in tutta la Sua identità e
tutto in ogni sua parte, in ugual maniera la nostra proporzione è sempre in ogni quantità continua
o discreta, grande o piccola, la stessa e sempre invariabile, in alcun modo può cambiare e in
nessun altro modo il nostro intelletto può apprenderla, come sarà dimostrato dalla nostra
esposizione.
Una quinta corrispondenza si può comunque a questo punto aggiungere alle altre: così come Dio
concede l’Essere alla virtù celeste, chiamata quinta essenza, e mediante questa agli altri corpi
semplici, cioè i quattro elementi terra, acqua, aria e fuoco, e attraverso essi concede di essere a
tutte le altre cose della natura, allo stesso modo la nostra santa proporzione conferisce l’essenza
formale, secondo quel che dice l’antico Platone nel suo Timeo, al cielo stesso.
Mentre il noto matematico di Borgo San Sepolcro elaborava il testo, l’eclettico artista Leonardo
Da Vinci dava forma alle illustrazioni esplicative che avrebbero riempito alcune pagine del
trattato. Esse rappresentavano i cinque poliedri platonici, che secondo le teorie appunto di
Platone erano direttamente relazionati alla forma dei cinque elementi: il cubo con la terra, il
tetraedro con il fuoco, l’ottaedro con l’aria, l’icosaedro con l’acqua e il dodecaedro era simbolo
del cosmo, dell’universo preso nella sua totalità. Proprio quest’ultima forma è delimitata da
dodici facce dalla forma pentagonale. E la misura della sezione aurea si ripresenta costante nelle
proporzioni della figura nella quale si costruisce il pentagramma e ogni triangolo è aureo e può
dar vita ad infiniti altri triangoli delle medesime proporzioni con il semplice disegno di una
bisettrice. La proporzione che ispira la perfezione, che viene continuamente preferita anche perla
forma di dei semplici pacchetti di sigarette, o per quella delle carte di credito o telefoniche, ha un
qualcosa che è direttamente collegato all’essenza dell’uomo. Le proporzioni stesse del corpo
umano hanno in sé tale misura, tale rapporto. Nel disegno dell’Uomo vitruviano, eseguito con
punta metallica, penna, inchiostro e tocchi di acquerello, esposto nel Gabinetto dei Disegni delle
Gallerie dell’Accademia di Venezia, Leonardo da Vinci schematizza le dimensioni del corpo
umano. E’ un homo bene figuratus secondo il trattato De Architectura di Vitruvio, la
rappresentazione di stabilità poliedrica e completezza dell’uomo rinascimentale, che si pone al
centro dell’esistenza e diventa tramite di umano e divino. Il corpo è infatti inscritto nel cerchio
che ha per centro l’ombelico, e in un quadrato indipendente dalla circonferenza appena citata che
ha il centro nei genitali. Questa figura geometrica è il simbolo della dimensione umana, ed è
delineata dalle gambe tese e dalle braccia allargate, secondo la dimostrazione che l’altezza
verticale di un corpo dalle perfette dimensioni è uguale alla lunghezza delle braccia aperte,
misurate dall’estremo di un dito medio all’altro. La dimensione umana ha poi centro nel sesso,
nella capacità di generazione, nel 5, secondo i Pitagorici. Il cerchio è invece disegnato col centro
nell’ombelico, approssimativamente baricentro dell’uomo, e comprende la figura con le mani
portate con le braccia tese all’altezza della testa e le gambe divaricate. Il simbolo del divino è
dunque l’equilibrio dell’uomo. Il cerchio trae origine dal proprio centro che qui, nel disegno
'
dell’artista rinascimentale, viene a cadere nell ombelico umano. In termini figurativi, ciò significa
che l'uomo viene a essere origine dell'evento divino. Il problema della quadratura del cerchio è
riproposto nella sua incommensurabilità, come la ricerca di un rapporto che dovrebbe ricondurre
la natura terrestre a quella celeste. Ma se il quadrato, per sua natura, esprime la stabilità e la
'
definibilità, all opposto il cerchio o ruota, costituito da infiniti punti, suggerisce l'idea di moto e
di indefinibilità.
Si noti allora come il secondo paio di membra dell' homo leonardesco, poggiando sul cerchio,
suggerisca un andamento cinetico alla figura umana che viene così a perdere quella caratteristica di
'
staticità a favore di un idea di moto circolare all'interno di una ruota ideale. Il cerchio viene indicato
da Platone come la forma più perfetta e, come tale, viene assunto quale simbolo medievale della
perfezione dell'Assoluto. A Dio, nei sistemi mistici, si allude come a un cerchio onnipresente, per
'
rendere con concetti umani la perfezione e l intangibilità. Il cerchio non ha inizio né fine, né
direzione né orientamento, motivo per cui è simbolo del cielo e di tutto ciò che è spirituale. E il
rapporto che corre tra raggio del cerchio e lato del quadrato è semplicemente φ, il medio tra l’intero
universo e la parte: l’uomo. Il più grande mistero è chiuso dentro di noi, che mediamo tra l’infinità
della nostra anima e la finitezza della nostra vita e del nostro corpo. Il diametro del cerchio
perpendicolare ai lati del quadrato li divide entrambi secondo la divina proporzione. Già
all’apparenza si mostra l’incomprensibile.
“Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze.
Il mistero del mondo è il visibile, non l’invisibile.”
O. Wilde
L’uomo è misura del mondo. E questa misura è regolata dalla sezione aurea. L’idea di uomo come
metro del circostante, come regolatore e vero e proprio superbo creatore dell’ambiente è
fondamentale nell’architettura moderna e non, e lascia tracce chiare dall’uomo di Vitruvio per
arrivare poi alla moderna architettura novecentesca. E non soltanto. Pieter Mondrian ha sempre
risposto in modo attivo alle correnti culturali della propria epoca, lasciando che la filosofia teosofica
penetrasse nella sua opera. Di origini olandesi, ma d’animo e d’arte francese nel 1917 dà vita alla
rivista De Stijl insieme a Theo van Doesburg, rivista dalla quale prenderà nome il movimento
artistico del quale sarà un importante rappresentante. Il Mondrian del delicato disegno a carboncino
Crisantemo del 1908-1909 è ancora legato all’idea di arte come imitazione della natura, e
all’osservazione come passaggio verso la conquista della verità. Sono le rappresentazioni dei vari
Alberi che lo conducono verso l’astrattismo. Dirà nel 1912, dopo l’esecuzione del dipinto Melo in
fiore, che “l’aspetto delle cose in natura cambia, mentre la realtà rimane costante”. C’è dunque un
qualcosa che non muta mai. Occorre pertanto che la pittura si sganci dalla particolarità (cioè dalla
rappresentazione dell’infinita varietà delle cose e del loro continuo mutare) “per diventare una
chiara espressione dell’universale”, cioè di quell’essenza che rimane sempre la stessa. Secondo
Mondrian, proprio per amore della natura e la realtà si deve evitare la sua apparenza naturale. La
ricerca di una nuova forma, con la consapevolezza di una non rappresentabilità di una natura in
continuo mutamento, porta l’autore a cercarne le proporzioni, nella semplicità di linee e figure, rette
e colori unicamente primari. Deve dipingere l’interiorità, nel momento in cui l’arte si interseca
perfettamente con la vita, e deve eliminare la soggettività da ogni opera, rendendo l’interiorità totale
ed oggettiva, perfetta e intangibile, assolutamente distaccata dalla mente e dall’idea dell’autore.
Esclude l’emozione non ammettendo linee curve, semplice residuo decorativi stico. Il maestro
indiscusso del neoplasticismo diede vita a dipinti che con sagacia e superbia, per oltre vent’anni
indagarono l’unico tema della geometria delle combinazioni di colori e non colori, nella ricerca di
una fusione tra arte e vita. L’infinita varietà di possibilità aggregative delle superfici colorate e non,
assieme all’ugualmente infinita combinazione di linee più o meno spesse e più a meno numerose,