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Introduzione Pasticceria oltre la cucina, tesina
La mia tesina di maturità descrive i dolci.
Così scriveva Alberto Savinio alla voce Dolce nella sua Nuova Enciclopedia:
«Il dolce non è propriamente un cibo. [...] L'assaporamento dei dolci richiede una inclinazione naturale alla fantasia e ai rapimenti poetici. [...] Il dolce fa dimenticare quel che di necessario e dunque di cupo e mortale è nell'operazione del nutrirsi, ci riconcilia con la parte divina della vita e fa rifiorire in noi il riso»
Alberto Savinio, Nuova Enciclopedia
In effetti, il dolce rimanda subito all'idea di piacere e trasgressione, riportandoci voluttuosamente nella dimensione dell'infanzia. I dolci, infatti, rappresentano l'evasione dalla normalità, dal dovere di mangiare cibi salutari e nutrienti: un adulto che si entusiasma per torte e pasticcini conserva ancora una componente bambina e viene stigmatizzato dagli altri adulti più seriosi. Ed è anche per lo stretto legame con l'età dell'infanzia che i dolci hanno un forte potere evocativo, che risveglia ricordi sepolti sotto anni di crescita e maturazione: non a caso, lo stesso Freud, nel suo lavoro di psicoanalisi, non poté ignorare i dolci come elemento per riportare a galla quello che lui definiva «rimosso». Tuttavia, dire che i dolci siano esclusivamente legati al mondo dell'infanzia sarebbe riduttivo. Infatti, difficilmente un bambino riuscirebbe ad orientarsi in quel complesso mondo, fatto di molecole, legami, temperature, che si nasconde dietro un'apparentemente innocua torta ricoperta di panna.
È stata probabilmente la tradizione casalinga che ha fatto apparire il preparare dolci, agli occhi dei meno esperti, come qualcosa di banale e alla portata di tutti. In realtà, con l'introduzione di strumenti sempre più tecnologici e di tecniche sempre più complicate, la pasticceria è diventata probabilmente il settore più difficile della cucina, perché richiede sempre estrema precisione nella dosatura degli ingredienti e grande attenzione alla preparazione e alla cottura: guai, infatti, a montare troppo la panna o a superare i 177°C nella preparazione del caramello, pena una panna diventata burro e uno sciroppo che sa di bruciato. E anche se non si può dire che sia diventata una scienza esatta, come dimostrano gli innumerevoli dolci nati in seguito ad errori e incidenti, oggi la pasticceria è profondamente legata alla chimica e alla fisica, e il pasticcere moderno non è semplicemente un impastatore o un decoratore, ma è quasi uno scienziato, che deve orientarsi fra migliaia di ingredienti, aromi e sapori diversi e deve saper usare strumenti tecnologici molto avanzati, con l'obbligo di rinnovare sempre una tradizione che affonda le sue radici in tempi antichissimi ma, allo stesso tempo, di soddisfare anche i palati di coloro che ancora privilegiano gusti semplici e tradizionali. Ecco spiegata la scelta di questo argomento nella mia tesina.
Collegamenti
Pasticceria oltre la cucina, tesina
Inglese: "Dubliners" di Joyce.
Italiano: "Furto in una pasticceria" di Calvino.
Latino: "Satyricon" di Petronio.
Scienze: Gli aromi chimici.
Storia dell'arte: De Chirico.
Filosofia: Interpretazione dei sogni di Freud.
Fisica: Microonde.
La pasticceria
oltre la cucina
Tobia Romano
classe 5L1
I.S.I.S. Paolo Carcano
(Liceo minisperimentale chimico-biologico)
a.s. 2013/14
Indice 5
Introduzione 7
I dolci nella storia 7
Pani e miele nell'Antica Roma 7
«Frictelle» e «uselletti» medievali 9
La scoperta del «brun cioccolatte» 9
Gelati e sorbetti borbonici 10
Dolci futuristi e cioccolato militare 11
Industria, tradizione ed Expo
The main ingredients 12
Sugar 12
Eggs 13
Flour 13
Butter 14
Flavours 14
La cottura e il raffreddamento 16
Il forno elettrico 16
Il forno a microonde 16
L'abbattitore di temperatura 18
Paese che vai, dolci che trovi 19
Pâtisserie française, tra madeleine e
brioche 19
Cioccolato austriaco: Sachertorte e
Dobostorte 21
The Anglo-Saxon afternoon tea 22
I dolci del belpaese 23
Conclusioni 27
Bibliografia 28
Sitografia 29
Introduzione
Così scriveva Alberto Savinio alla voce Dolce nella sua Nuova Enciclopedia:
«Il dolce non è propriamente un cibo. [...] L'assaporamento dei dolci richiede una inclinazione
naturale alla fantasia e ai rapimenti poetici. [...] Il dolce fa dimenticare quel che di necessario e
dunque di cupo e mortale è nell'operazione del nutrirsi, ci riconcilia con la parte divina della
vita e fa rifiorire in noi il riso» Alberto Savinio, Nuova Enciclopedia
In effetti, il dolce rimanda subito all'idea di piacere e trasgressione, riportandoci voluttuosamente
nella dimensione dell'infanzia. I dolci, infatti, rappresentano l'evasione dalla normalità, dal dovere
di mangiare cibi salutari e nutrienti: un adulto che si entusiasma per torte e pasticcini conserva
ancora una componente bambina e viene stigmatizzato dagli altri adulti più seriosi. Ed è anche per
lo stretto legame con l'età dell'infanzia che i dolci hanno un forte potere evocativo, che risveglia
ricordi sepolti sotto anni di crescita e maturazione: non a caso, lo stesso Freud, nel suo lavoro di
psicoanalisi, non potè ignorare i dolci come elemento per riportare a galla quello che lui definiva
«rimosso».
Tuttavia, dire che i dolci siano esclusivamente legati al mondo dell'infanzia sarebbe riduttivo.
Infatti, difficilmente un bambino riuscirebbe ad orientarsi in quel complesso mondo, fatto di
molecole, legami, temperature, che si nasconde dietro un'apparentemente innocua torta ricoperta
di panna. È stata probabilmente la tradizione casalinga che ha fatto apparire il preparare dolci, agli
occhi dei meno esperti, come qualcosa di banale e alla portata di tutti. In realtà, con l'introduzione
di strumenti sempre più tecnologici e di tecniche sempre più complicate, la pasticceria è diventata
probabilmente il settore più difficile della cucina, perché richiede sempre estrema precisione nella
dosatura degli ingredienti e grande attenzione alla preparazione e alla cottura: guai, infatti, a
montare troppo la panna o a superare i 177°C nella preparazione del caramello, pena una panna
diventata burro e uno sciroppo che sa di bruciato. 5
E anche se non si può dire che sia diventata una scienza esatta, come dimostrano gli innumerevoli
dolci nati in seguito ad errori e incidenti, oggi la pasticceria è profondamente legata alla chimica e
alla fisica, e il pasticcere moderno non è semplicemente un impastatore o un decoratore, ma è
quasi uno scienziato, che deve orientarsi fra migliaia di ingredienti, aromi e sapori diversi e deve
saper usare strumenti tecnologici molto avanzati, con l'obbligo di rinnovare sempre una tradizione
che affonda le sue radici in tempi antichissimi ma, allo stesso tempo, di soddisfare anche i palati di
coloro che ancora privilegiano gusti semplici e tradizionali.
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I dolci nella storia
Pani e miele nell'Antica Roma
Nell'Antica Roma, gli alimenti dolci hanno una
diffusione molto ridotta e vengono consumati
principalmente nelle grandi solennità. I primi dolci
consistono in pani lievitati, il cui impasto è lo stesso del
normale pane salato, arricchito però con frutta secca e
addolcito con il miele. La produzione di pani dolci e
salati è affidata ai pistores (fornai), schiavi provenienti
dalla Grecia, che istituiscono una vera a propria
corporazione: basti pensare che, nell'età di Augusto, a
Roma si possono contare più di 400 panetterie.
Non a caso, sono proprio dei panini di segale farciti di
frutta secca il dessert servito nella sfarzosa cena di
Trimalchione, descritta da Petronio nel Satyricon: Affresco con bottega di panettiere, Pompei
«Nec ullus tot malorum finis fuisset, nisi epidipnis esset allata, turdi siligine uvis passis
nucibusque farsi. Insecuta sun Cydonia etiam mala spinis confixa ut echinos efficerent»
Petronio, Satyricon
«Nè ci sarebbe stata alcuna fine a questa serie di iatture, se non fosse stato servito il pospasto,
consistente in tordi realizzati con farina di segale impastata, farciti di uva passa e noci. Fecero
loro seguito anche delle mele cotogne su cui erano confitte delle spine, in modo da sembrare
dei ricci di mare» (Trad. A. Aragosti)
Tuttavia, non si deve pensare che gli antichi dolci romani fossero solo surrogati del pane. Il famoso
gastronomo Marco Gavio Apicio, vissuto tra il 25 a.C. e il 37 d.C., nella sua raccolra De re
coquinaria, presenta infatti diverse ricette dolci, come
quella dei dulcia domestica:
«Palmulas vel dactylos excepto semine, nuce vel
nucleis vel pipere trito infercies. sale foris
contingis, frigis in melle cocto, et inferes»
Marco Gavio Apicio, De re coquinaria
«Farcisci con una noce o pinoli o pepe tritato
(frutti di) palma o datteri snocciolati. Tocca fuori
col sale, friggi in miele cotto, e servi»
(Trad. A. Del Re) Affresco con dulcia domestica, Pompei
«Frictelle» e «uselletti» medievali
Durante il Medioevo, età in cui viene coniato il termine "dessert", derivante dal francese antico
desservir (letteralmente, «non servire»), si diffondono regole precise riguardo all'ordine con cui le
varie portate devono essere servite a tavola. Infatti, il pasto deve iniziare con le pietanze più
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facilmente digeribili, servite dopo aver "aperto" lo stomaco con un aperitivo (dal latino aperio,
"aprire"), che normalmente consiste in confetti di spezie, come zenzero, anice e cumino, glassati
col miele e accompagnati da vino dolce corretto con latte. Alla fine del pasto, lo stomaco, così
come era stato "aperto", deve essere "chiuso", con l'aiuto di un digestivo, solitamente ippocrasso o
altri tipi di vino speziato, e pezzi di formaggio stagionato.
Nel corso del tardo Medioevo, il dessert comincia a includere anche dolcetti di frutta cotta ricoperti
di miele o sciroppo, frittelle, crêpes zuccherate, budini e torte di pasta sfoglia, preparate, talvolta,
con ingredienti come midollo, pesce e sangue di maiale. Proprio quest'ultimo è l'ingrediente
principale dei migliacci, i tipici dolcetti medievali di cui Franco Sacchetti parla in uno dei racconti
della raccolta Il Trecentonovelle, scritta verso la fine del 1300:
«E ’l tavernaio disse loro pianamente: - Venite domattina asciolver meco, ché io voglio ch’e’
migliacci sien vostri. [...]
E dice un altro: - Dio il volesse, ché noi c’empiemmo stamane molto bene il corpo di quel porco
con buon migliacci» Franco Sacchetti, Novella CII, in Il Trecentonovelle
Ed è proprio in età medievale che nascono alcuni fra i dolci più
importanti della tradizione italiana, come la cassata siciliana. In
realtà, alcuni pensano che già venisse praparata nell'Antica Roma,
come sembrerebbe dimostrare un celebre affresco della villa di
Oplontis, vicino Napoli, in cui compare un dolce decorato con
frutta candita, e che il suo nome derivi dal latino caseus
(formaggio). Tuttavia, è più probabile che la nascita della cassata
risalga alla dominazione araba della Sicilia del IX secolo e che la
sua tradizione debba il suo splendore alla cucina conventuale
delle monache: non a caso viene citata in un documento del
primo sinodo diocesano di Mazara del Vallo, celebrato nel 1575, in
cui si afferma che la cassata è irrinunciabile durante le festività,
ma si vieta la sua preparazione durante la Settimana Santa per
non distrarre le suore dalle loro pratiche religiose.
Ma i dolci più diffusi nel Medioevo sono sicuramente i biscotti,
spesso preparati a forma di animali, come testimonia la ricetta
delle Frictelle in forma di pesce di Maestro Martino da Como:
La cassata di Oplontis, Napoli
«Monda de le amandole et falle bianche, et habi de la polpa di qualche bon pesce, et pistarala
molto bene inseme con l'amandole, agiognendovi ancora a pistare dell'uva passa con un poco
di zuccharo; item un poco di petrosillo et di maiorana tagliate menute con bone spetie et un
poco di zafrano; et haverai apparecchiata una pasta sottile a modo di quelle che si fanno le
lasagne, concludendo et ligando in la ditta pasta pezzi magiori o menori como ti piace di questa
compositione. Poi haverai le forme de ligno cavate in modo et forma di pesce di varie qualità et
manera como ti piacerà, et con queste informirai la ditta pasta col suo pieno. Et queste frittelle
si vogliono frigere con bono olio, et ancora si ponno cocere così asciutte in la padella a modo
de una torta; et cotte pareranno pesci» Maestro Martino, Libro de Arte Coquinaria
E non si può non citare gli «uccelletti cipriani», biscotti a forma di uccelli, che compaiono in una
delle novelle del Decameron di Boccaccio e la cui ricetta si può trovare anche nel codice Palatino
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1026 della Nazionale di Firenze sotto i titoli «uselletti papali» e «uselletti fini»:
Poi, nella camera entratisene, sentì quivi maraviglioso odore di legno aloè, e d’uccelletti cipriani
vide il letto ricchissimo, e molte belle robe su per le stanghe.
Giovanni Boccaccio, Novella di Salabaetto, in Decameron
La scoperta del «brun cioccolatte»
A lungo assenti dalle tavole europee, prodotti come il caffè, il tè e la cioccolata invadono i mercati
occidentali solo in seguito alla grande stagione delle scoperte geografiche della prima età
moderna, quando cominciano ad arrivare in Europa casse piene dei prodotti tipici dei nuovi mondi
ad arricchire, sconvolgendone gli equilibri, la tradizione gastronomica.
Prima ancora che sulle tavole europee, i nuovi prodotti fanno la loro comparsa tra le pagine dei
resoconti di missionari e viaggiatori del XVI e del XVII secolo, come nei Ragionamenti del mio
viaggio intorno al mondo, in cui Francesco Carletti presenta le delizie del «cioccolate», bevanda
sudamericana a base di cacao, che si beve «con mirabile gusto e soddisfatione della natura».
Ma oltre che all'appagamento dei sensi, il cioccolato è destinato anche alla cura dell'organismo,
data la ferma convinzione della medicina prescientifica nei suoi effetti benefici per la salute. Il
cacao, infatti, una volta essiccato, torreffato e macinato, viene aggiunto, secondo la ricetta del
medico spagnolo Antonio Colmenero de Ledesma del 1631, a latte e diversi tipi di fiori, erbe e
spezie, in base al disturbo da curare. Non è un caso, dunque, se, in un passo del poemetto Il
Giorno, Giuseppe Parini invita il «giovin signore» a scegliere se consumare caffè o cioccolata per
colazione, considerando gli effetti benefici di ciascuna bevanda:
«S'oggi ti giova
Porger dolci allo stomaco fomenti,
Sì che con legge il natural calore
V'arda temprato, e al digerir ti vaglia,
Scegli 'l brun cioccolatte, onde tributo
Ti dà il Guatimalese e il Caribbèo
C'ha di barbare penne avvolto il crine:
Ma se nojosa ipocondrìa t'opprime,
O troppo intorno a le vezzose membra
Adipe cresce, de' tuoi labbri onora
La nettarea bevanda ove abbronzato
Fuma, ed arde il legume a te d'Aleppo
Giunto, e da Moca che di mille navi
Popolata mai sempre insuperbisce»
Giuseppe Parini, Il Mattino, in Il Giorno Pietro Longhi, La cioccolata del mattino, 1775-80
Gelati e sorbetti borbonici
Nell'800, la città italiana con la più grande tradizione dolciaria è sicuramente Napoli, che, sotto il
regno dei Borboni, conosce un periodo di grande sviluppo della tradizione di sorbetti, pizze dolci e
gelato artigianale, «quella grand'arte onde barone è Vito», come ricorda un verso leopardiano,
riferendosi al maestro gelatiere Vito Pinto. E nonostante il motivo ufficiale siano le sue precarie