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Italiano- Dino Campana
Storia dell'arte- Antonio Ligabue
somministrazione di barbiturici, con lo scopo di placare l’eccitamento
motorio; il coma insulinico o ipoglicemico (1928, Manfred Joshua
Sakel), indotto con l’iniezione di insulina, per ottenere un
miglioramento comportamentale negli schizofrenici e nei
tossicodipendenti durante il periodo di astinenza; l’epilessia
farmacologica (1933/35, Laszlo von Meduna), ottenuta con l’uso del
cardiazolo, per curare gli schizofrenici perché si pensava che l’epilettico
non potesse essere schizofrenico; la lobotomia (1936, Antonio Egas
Moniz), che consisteva nel sezionare le fibre nervose presenti dei lobi
frontali che li collegavano al resto dell’encefalo, perché c’erano
elementi per ritenere che in questi si trovassero dei centri correlati con
le emozioni; l’elettroshock (1937, Ugo Cerletti), utilizzata come terapia
della rinascita (anche il coma insulinico), provocava l’arresto delle
funzioni vitali, che sarebbero state riattivate attraverso tecniche di
rianimazione; l’”orecchio fetale” (1954, Alfred A. Tomatis ), che
consisteva nel fare ascoltare, attraverso delle cuffie, una registrazione
che riportava fedelmente rumori e suoni dell’ambiente uterino durante
la gestazione, per riportare il malato allo stato fetale, caratterizzato
dall’assenza della patologia. Gradualmente, con l’affermarsi della
psicanalisi, vengono elaborati nuovi strumenti di comprensione e di
intervento, così l’attenzione non è più concentrata esclusivamente al
corpo, ma anche alla mente, e si comincia ad ascoltare il malato. Di
significativa importanza è anche l’introduzione, a metà del Novecento,
degli psicofarmaci (1951, clorpromazina), che ridussero i sintomi di
patologie come la schizofrenia e provocarono un cambiamento delle
strategie terapeutiche, dei ruoli psichiatrici e degli istituti di cura.
Per quanto riguarda la corrente psichiatrica in uso ad Imola possiamo
affermare che differisce grandemente dai suddetti metodi vicini alla
tortura e l’evitare di applicare terapie brutali nella cura dei pazienti
rese la degenza degli alienati dell’Osservanza meno traumatica. Alla
base della terapia contro le malattie mentali è confermato, sulle orme
del Tozzoli, l’ambiente idoneo alla quiete, dove il malato deve essere
trattato con dolcezza, confidenza e affetto, giovandosi dell’attività
mentale rimasta illesa, per rivolgere l’attenzione sulle altre intorpidite.
Per mitigare l’agitazione e la sensibilità dolorosa si ricorre a sedativi,
mentre nei casi di psicosi depressiva, a eccitanti. Il compito di dare
ordine alla mente viene affidato soprattutto al lavoro, per introdurre il
folle in un luogo che rispecchi il più fedelmente possibile la società
esterna, pertanto si ricercano i mestieri adatti alle forze dei malati e
alle loro attitudini, con consigli, esortazioni e ricompense, sollecitando
l’impegno al lavoro agricolo o ai diversi rami dell’artigianato, fino
all’espressione pittorica e poetica. L’ergoterapia viene concepita come
forma di vita sociale, in connessione con gli interessi individuali e
collettivi dei malati, considerati nella loro dignità di uomini da inserire
nella società. Per questo motivo il prodotto del loro lavoro doveva
tradursi in guadagno, da destinarsi in retribuzioni controllate, a
vantaggio degli stessi degenti-produttori. Purtroppo all’atto pratico le
cose stavano in modo assai diverso e il manicomio di Imola, proprio per
la sua maggiore efficienza e specializzazione, realizzava il principio di
istituzione sorta in una società animata da un concetto funzionale e
non etico dell’individuo, bisognosa di una selezione degli uomini quali
meri strumenti di produzione; ormai la finalità dominante era quella di
rinchiudere il maggior numero di psicopatici al minor costo possibile.
Il complesso dell’Osservanza, grazie alla sua struttura,
all’organizzazione degli ambienti e all’uso dell’ergoterapia, veniva
chiamato la “Fiat” di Imola e veniva visto come una città nella città.
2. I RICOVERATI
2.1 Le condizioni sociali e economiche dei ricoverati
I fattori decisivi che determinarono la costruzione del manicomio
furono due: la crescita costante della popolazione e il progressivo
accentramento della terra nelle mani della borghesia. L’aumento della
popolazione e la diminuzione delle terre disponibili, nella società
contadina dell’epoca significavano da un lato la formazione di un
proletario agricolo che metteva sul mercato le proprie braccia,
dall’altro un impoverimento costante delle classi popolari e contadine.
La prova inconfutabile di questo fenomeno sta nell’apparizione, nei
primi decenni dell’Ottocento, della pellagra. Questa si manifestava per
gradi: al primo stadio apparivano ampie screpolature nelle mani e nei
piedi; vi si formavano croste, la pelle diventava rossa o bluastra e
degenerava in scaglie. Questo stadio della malattia poteva durare a
lungo; poi si presentavano diarrea e i primi segni di squilibrio mentale.
Al terzo stadio pellagroso il malato cadeva in uno stato depressivo
profondo, spesso tentava il suicidio; altrimenti inebetiva fino alla
cronicità della malattia o alla morte. La pellagra era dovuta ad un
regime alimentare squilibrato, basato principalmente sul frumento e i
suoi derivati. Questa dieta era tipica dei lavoratori “giornalieri”, che
nell’inverno si cibavano quasi esclusivamente di polenta, di legumi, di
pesci salati e di minestre fatte con cavoli cotti. L’Ottocento fu il secolo
in cui sparì la carne dalla tavola dei poveri. Era la povertà la principale
cliente del manicomio. La mente dei poveri veniva stravolta da ritmi
eccessivi di lavoro, quando c’era, o dall’ angoscia provocata dalla
disoccupazione, specie nei mesi invernali. È quindi evidente che,
studiando la storia di un manicomio, non è possibile prescindere da chi
fossero effettivamente i ricoverati. All’Osservanza inizialmente
entravano soggetti debilitati dalla fatica e dalle privazioni, infatti erano
molto frequenti le dimissioni e le guarigioni, in quanto dopo qualche
mese o un anno la mente veniva “riordinata” e nel frattempo i pazienti
trovavano un vitto abbondante e riposo prolungato all’interno della
struttura. Con l’avvento della prima guerra mondiale divennero
frequenti anche gli internamenti di militari, soldati semplici e qualche
generale, inoltre aumentarono progressivamente sia gli alienati che i
ricoverati in genere, tra cui donne, simulatori e autolesionisti. Dalla
seconda metà del XIX secolo, come riflesso dell’incapacità e della
scarsa volontà di affrontare la questione sociale da parte delle classi
dirigenti, venne attuata una massiccia opera di prevenzione. In
manicomio entrarono vecchi, paralitici, vagabondi e prostitute, da
luogo di” cura e di custodia” il manicomio divenne luogo di reclusione e
le dimissioni si fecero rare.
2.2 Le cartelle cliniche
Le cartelle cliniche dei ricoverati del manicomio dell’Osservanza (dal
1870 al 1950) nel 2010 sono state collocate presso la Biblioteca
Comunale di Imola, nella sezione Archivio Storico Comunale. Grazie alla
disponibilità della dott.ssa Claudia Mita, della Biblioteca di Imola e dei
suoi dipendenti mi è stato possibile consultare alcune cartelle cliniche,
attraverso le quali risultano evidenti le condizioni sociali ed
economiche dei ricoverati.
Ho scelto di consultare le cartelle delle donne e degli uomini usciti nel
1917, ma considerando che gli uomini internati erano prevalentemente
soldati, a causa della guerra in corso, ho scelto di riportare dei dati
riguardanti alcune cartelle di uomini ricoverati nel 1900.
Consultate n° 32 cartelle di uomini usciti nel 1917
Anno di internamento
1909 1915 1916 1917
3% 6%
28%
63%
Motivo internamento
psicosi maniaco-depressiva alienazione mentale frenastenia
malinconia frenosi alcolica confusione mentale
demenza precoce non verificata pazzia ?
3%
3% 31%
16%
13% 19%
3% 9% 3%
Provenienza (provincia)
Forlì Ravenna Bologna Perugia
Agrigento (Girgenti) Pesaro Rovigo Reggio Emilia
Reggio Calabria Foggia Rimini
3% 3%
3%
3%
3% 3% 35%
6%
3% 35%
3% Età
da 10 -19 20-29 30-39 40-49 50-59
3%
9% 16% 28%
44%
Stato civile
celibe coniugato vedovo ?
16%
3% 44%
37%
Professione
soldato colono bracciante
calzolaio operaio imbianchino
fornaio/tabaccaio carrettiere ?
4%
4%
4%
4% 4% 34%
8% 25%
13%
Condizione economica
Povera ?
19% 81%
Cultura
elementare nessuna legge e scrive ?
32%
48% 16%
4%
Motivo uscita
guarito migliorato trasferito non verificata pazzia ?
9%
6% 35%
19% 31%
Consultate n° 15 cartelle di uomini usciti nel 1900
Anno di internamento
1895 1898 1899 1900
7%
13% 13%
67%
Motivo internamento
frenosi pellagrosa frenosi alcolica mania grave malinconia
mania periodica frenosi isterica frenosi sensoria confusione mentale
7%
7%
7% 27%
13% 13%
13% 13%
Provenienza
(provincia)
Forlì Padova Roma S. Marino
7%
7%
13% 73%
Età
15-19 20-29 30-39 40-49 50-59 60-69
7% 7%
14% 29%
14% 29%
Stato civile
Celibe Coniugato
33% 67%
Professione
colono bracciante maniscalco cantante
7% 7% 53%
33%
Condizione economica
povera
100%
Cultura
nessuna elementare
20% 80%
Motivo uscita
guarito migliorato
19% 81%
Consultate n° 40 cartelle di donne uscite nel 1917
Anno di internamento
1903 1910 1913 1914 1915 1916 1917
2% 2% 2% 3%
30% 18%
43%
Motivo internamento
malinconia demenza senile
psicosi maniaco-depressiva psicosi periodica
psicosi confusionale psicosi isterica
eccitamento mentale non verificata pazzia (epilessia)
8% 0%
10%
23% 59%
Provenienza (provincia)
Ravenna Forlì Rimini Firenze
3%
3%
42% 52%
Età
da 1-9 da 10-19 20-29 30-39 40-49 50-59 60-69 70-79
3% 2%
8%
10% 12%
10%
20% 35%
Stato civile
coniugata nubile vedova ?
4%
11% 30%
55%
Professione
casalinga colona massaia maestra sarta operaia
bracciante stiratrice artigiana monaca ?
3%
3%
3%
3% 27%
17%
3% 23%
4% 4% 10%
Condizione economica
povera benestante discreta pensionata
3%
2%
5% 90%
Cultura
nessuna elementare legge e scrive legge ?
8% 31%
42% 19%
Motivo uscita
migliorata guarita trasferimento non verificata pazzia
3%
5%
32% 60%
3 CASI MANICOMIALI ECCELLENTI
3.1 Dino Campana
Dino Campana, nato a Marradi (Firenze)
nel 1885, frequentò il liceo a Faenza, in
Romagna, poi si spostò a Bologna, dove
intraprese gli studi universitari iscrivendosi
alla facoltà di Chimica. Accusò fin
dall’adolescenza diversi disturbi psichici.
Nel 1906, dopo aver lasciato gli studi e
abbandonato Bologna, venne ricoverato
per la prima volta al manicomio
dell’Osservanza di Imola. Uscito nel 1907, sotto la responsabilità del
padre, da questo primo internamento, iniziò a viaggiare e si recò in
Svizzera, in Francia, in Argentina(1908) e in Belgio, dove venne
arrestato e internato nuovamente. Durante i suoi viaggi esercitò i
mestieri più disparati: dal fabbro al suonatore di triangolo, dal
venditore di stelle filanti al fuochista. Imparò quattro lingue(francese,
inglese, tedesco e spagnolo) e questo gli permise di leggere gli autori
stranieri in lingua originale. Tornato in Italia tentò di riprendere gli
studi, ma senza successo perché l’indole, la singolarità dell’esperienza e
il disagio psichico accentuarono il suo isolamento.
L’attività letteraria di Dino Campana iniziò con i suoi viaggi, durante i
quali scrisse dei quaderni, e sfociò in una raccolta, che ebbe come
primo titolo “Il più lungo giorno”. Campana nel 1913, entrato in
contatto con gli intellettuali fiorentini di “Lacerba” e della “Voce”,
diede il manoscritto della sua raccolta ad Ardengo Soffici e Giovanni
Papini. Soffici però lo smarrì durante un trasloco. In seguito alla perdita
del manoscritto, fatto che segnò profondamente il poeta, Campana
dovette riscriverlo completamente, parte a memoria e parte sulla base
di appunti, via via modificandolo; nel 1914 lo pubblicò col titolo di
“Canti orfici” a sue spese e ne vendette le copie per i caffè di Firenze.
Allo scoppio della prima guerra mondiale volle arruolarsi per partire
come volontario, ma venne riformato; nel 1916 iniziò una tumultuosa
storia d’amore con la scrittrice Sibilla Aleramo e nel 1917 subì l’ultimo
ricovero in manicomio, questa volta a Castel Pulci, nella provincia in cui
era nato: vi resterà fino alla morte, avvenuta nel 1932. Durante la sua