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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2008

Titolo: Notturno

Autore: Chiara Di marsico

Descrizione: tesina multidisciplinare con trattazione approfondita di tutte le materie curricolari. inoltre comprende particolari approfondimenti musicali (musica classica),cinematografici e scientifici.

Materie trattate: let italiana,let latina,let inglese,classico latino,divina commedia,storia,filosofia,scienze,fisica

Area: umanistica

Sommario: Introduzione al percorso L'idea di relazionare un percorso disciplinare sul tema del notturno è nata per caso, o meglio, in un momento in cui non pensavo alla scuola. Da diversi anni frequento il conservatorio di musica nella classe di pianoforte e Chopin, col tempo, è diventato il mio "pane quotidiano". La sua musica mi appassiona, mi affascina, mi entusiasma, soprattutto i suoi valzer e i suoi notturni. Proprio suonando un notturno è nata l'idea di questa tesina e subito, spontaneamente, ho trovato i collegamenti con le altre materie, in modo da creare un lavoro che avesse come caratteristica la multidisciplinarietà . In particolare, ho scelto di iniziare spiegando brevemente cos'è il notturno come forma musicale, passando all'analisi di alcuni versi di Leopardi, Pascoli, D'Annunzio e Ungaretti con uguale tema, considerando la poesia come un'arte, come una musica che avvolge l'immaginario poetico. Ho poi analizzato il tema della notte da un diverso punto di vista, attraverso Petronio, il celebre poeta latino del I secolo d.C. e un passo della sua opera, il Satyricon e, in particolare, la favola milesia della Matrona di Efeso, di ambientazione notturna e anche un altro brano di chiara impronta folkloristica (legato al tema dei lupi mannari). Il tema della notte è spesso associato ai sogni e a ciò che essi riescono a trasmetterci: Freud li studiò e ne trasse importanti conclusioni, soprattutto per la cura dei suoi pazienti. Il sogno, inoltre, è anche fonte di ispirazione letteraria: si pensi a Coleridge e a una delle sue opere, il "Khubla Kan"; o ancora, il sogno è magia, come per Shakespeare in "Sogno di una notte di mezza estate", una delle sue più belle commedie, apprezzata ancora oggi. Tuttavia, non mi sono soffermata esclusivamente al tema della notte: ho preso in considerazione anche il suo opposto, il giorno e, quindi, la luce. Ho pensato di inserire un'opera d'arte che, a mio avviso, rispecchia perfettamente questo rapporto intrinseco fra giorno e notte. Si tratta del dipinto "Impero della luce" di Magritte, e poi, ancora, "Notte stellata" di Vincent Van Gogh. Anche nella Divina Commedia c'è la

Estratto del documento

Questi versi appartengono ai “Canti”, la raccolta di quasi tutta l’opera in versi di

(Recanati,1798 – 1837, Napoli). Ci furono due edizioni, quella

Giacomo Leopardi

fiorentina del 1831 e quella napoletana del 1835, ma molte composizioni erano già state

pubblicate. La disposizione delle liriche, in totale, più che essere di tipo cronologico,

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è di tipo stilistico e contenutistico.

Il “Canto è collocato tra i canti del

notturno di un pastore errante dell’Asia” ciclo

corrispondente agli anni tra il 1828 e il 1830.

pisano-recanatese,

L’idea di una simile composizione fu suggerita a Leopardi da un passo di un articolo

pubblicato nel 1826 dal “Journal riferito ai pastori nomadi dell’Asia

des Savants”,

centrale:.

Parecchi tra loro passano la notte seduti su un sasso a guardare la luna, e

ad improvvisare parole molto tristi su certe arie che non lo sono di meno.

Nel Leopardi adombra se stesso e dà la parola ad un

Canto Notturno uomo primitivo,

un semplice ed ingenuo che si rivolge alla esponendo

pastore luna indifferente

sua e di tutto il genere umano, evidenziando il suo

l’infelicità pessimismo cosmico.

Quindi, il pastore ha il compito di esprimere le concezioni leopardiane sulla vita e lo fa

rivolgendo delle domande semplici e spontanee alla luna.

Per quanto riguarda i metri, il canto è diviso in sei strofe libere di endecasillabi e

variamente alternati; tutte le strofe presentano rime al mezzo (soprattutto la

settenari

quarta) e si chiudono con la medesima rima in -ale. In generale, possiamo dire che il

linguaggio è più sobrio e spogli, senza i riferimenti autobiografici che scaturiscono

dall’evocazione della memoria delle illusioni, assente in questo canto.

Nella prima strofa il pastore-poeta propone una riflessione filosofica sulla sua

condizione legata alla natura e al suo volere. Individua un tra la e

parallelismo luna

in particolare il pastore, le cui vite si svolgono sempre nello stesso modo, senza

l’uomo,

possibilità di cambiare. Per l’uomo, questa è fonte di infelicità e

monotonia della vita

di continua sofferenza.

Nella seconda strofa il poeta-pastore anziché dare delle risposte, fa un’accurata

rappresentazione della vita umana davanti alla luna. Si evidenzia l’idea del Leopardi che

l’unica realtà sulla terra sia la Il poeta usa la metafora del “vecchierel

morte. bianco,

proprio per indicare che le vita non è altro che il

infermo, mezzo vestito e scalzo”

“viaggio di uno zoppo e infermo che con un gravissimo carico in sul dosso, per

montagne ertissime e luoghi sommamente aspri, faticosi e difficili, alla neve, al gelo,

alla pioggia, al vento, all’ardore del sole, cammina senza mai riposarsi dì e notte uno

spazio di molte giornate per arrivare a un cotal precipizio o un fosso e quivi

(da

inevitabilmente cadere” Zibaldone).

Nella terza strofa continua la visione negativa, relativamente alla vita dell’uomo, che

nasce a e fin da subito prova e necessita del sostegno e

fatica angoscia sofferenza,

della consolazione che i genitori cercano di dargli. Perché la natura è così crudele da

far nascere un uomo in tali condizioni?

Nella quarta strofa il poeta pone una serie di a cui

domande direttamente alla Luna,

non trova risposta, egli è certo solo del movimento degli astri e della sofferenza a cui

l’uomo è condannato (“a Il pastore, continuando il dialogo-

me la vita è male”).

monologo con la luna, attribuisce ad essa la conoscenza dello scopo dell’esistenza

umana.

Mille cose sai tu, mille discopri,

che son celate al semplice pastore. 8

Nella quinta strofa il pastore cambia il suo interlocutore: non si rivolge più alla luna, ma

al che, perché essere irrazionale, non è afflitto dalla sofferenza, dal dolore o

gregge

dalla che proverebbe invece l’uomo nelle condizioni dell’animale.

noia

Nella sesta e ultima strofa, il poeta crede di intravedere un’altra per

possibile felicità

l’uomo, ma si tratta solamente di un attimo, perché subito ricade nel pessimismo

cosmico: è infelice, secondo lui, non solamente l’uomo, ma tutti gli esseri viventi

nell’universo, dall’animale al filo d’erba. Il pastore, infatti, si rende conto che neanche

per il gregge o per altre forme di vita c’è alcuna speranza di felicità e la nascita non è

altro che l’inizio della sofferenza che non può finire se non con la morte.

Nel “Canto la luna è vista con una doppia valenza: è tanto bella e vicina da

notturno”

invitare al colloquio e alla confessione, ma è, allo stesso tempo, anche fredda e

spettatrice immobile delle miserie umane. 9

GELSOMINO NOTTURNO

Giovanni Pascoli

E s'aprono i fiori notturni,

nell'ora che penso a' miei cari.

Sono apparse in mezzo a' viburni

le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi:

là sola una casa bisbiglia.

Sotto l'ali dormono i nidi,

come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala

l'odore di fragole rosse.

Splende un lume là nella sala.

Nasce l'erba sopra le fosse.

Un'ape tardiva sussurra

trovando già prese le celle.

La Chioccetta per l'aia azzurra

va col suo pigolio di stelle.

per tutta la notte s'esala

l'odore che passa col vento.

Passa il lume su per la scala;

brilla al primo piano: s'è spento…

E' l'alba: si chiudono i petali

un poco gualciti; si cova,

dentro l'urna molle e segreta,

non so che felicità nuova.

10

La poesia “Gelsomino fu composta da (1855-1912) nel

notturno” Giovanni Pascoli

in occasione delle ed è inserita nella raccolta “Canti

1901 nozze di un suo amico

(1903). La poesia è costruita in modo allusivo su un

Castelvecchio” tema taciuto: la

quel “mistero dell’amore” dal quale nascerà una

prima notte di nozze dell’amico,

nuova vita. Ovviamente, essendo un tema particolarmente sensuale e sconvolgente, il

poeta usa un forte che d’altronde, caratterizza molto l’opera pascoliana. Il

simbolismo,

poeta, immerso in un’atmosfera di trepidazione e smarrimento, coglie il mistero che

palpita nelle piccole cose della natura. Si accorge che nella notte, quando tutto intorno è

pace e silenzio, vi sono fiori che si aprono e farfalle che volano. Questi fiori sono

proprio i chiamati anche “le belle di notte”, e quando il

gelsomini, si aprono di sera

poeta rivolge il ricordo ai suoi cari che, ormai, non ci sono più. Tutto tace, tutto è in

silenzio: “solo Questa casa è proprio quella del suo

in una casa ancora si veglia”.

amico, la casa degli sposi. All’intenso odore del fiore che passa col vento si

accompagna il salire della luce lungo la scala e il suo spegnersi al primo piano con i

puntini di sospensione che alludono al congiungersi degli sposi, ma soprattutto al

mistero della vita che continua a palpitare nel buio.

Infatti, in questa poesia, la natura si identifica nell’evento amoroso attraverso il simbolo

sessuale del fiore che si apre a sera e all’alba racchiude nel suo segreto la gioia della

fecondazione. Il poeta crea attorno all’evento uno sfondo particolare fatto di sensazioni

(gridi, l’odore del gelsomino), (una casa bisbiglia), (le

olfattive uditive gustative

fragole rosse).

Tuttavia, sembra quasi che il poeta provi un certo senso di esclusione dall’amore e

Questo sentimento può essere espresso solo

dalle gioie familiari. indirettamente:

attraverso il pensiero dei propri cari morti, l’immagine dell’ape che torna all’alveare e

non trova una cella libera; queste immagini sono quindi contrapposte a quelle dei nidi

che rappresentano la felicità domestica familiare.

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“NOTTURNO”

Gabriele D’Annunzio

Allo scoppio della D’Annunzio

Prima Guerra Mondiale

si trovava in Francia, ma subito fece ritorno in Italia per

schierarsi nella fazione degli Era talmente

interventisti.

preso dall’ideale che chiese e ottenne di partecipare non

come un normale combattente, ma come organizzatore di

Durante una

azioni eccezionali di marina e di aviazione.

missione su Trieste, avvenuta il 16 gennaio 1916

D’Annunzio si ferì alla testa e perse la vista dell’occhio

Anche il sinistro era lesionato e, per mantenerlo, il

destro.

poeta dovette rimanere a letto per due mesi, al buio,

completamente immobile; inoltre, gli fu prescritto di

parlare pochissimo e sottovoce. Durante questo periodo di

d’Annunzio riuscì però a continuare a scrivere,

cecità,

mediante un’invenzione poco meno che geniale: egli

aveva pensato di farsi preparare dalla figlia migliaia di

i cosiddetti “cartigli”, che gli

sottili striscioline di carta,

consentissero di scrivere senza rischiare di sovrapporre le

righe.

L’asse principale del è costituito dalla L’opera è

Notturno cronaca della malattia.

suddivisa in tre Offerte, secondo un’antica e ricorrente passione dell’autore per le

strutture ternarie, vagamente dotate di un simbolismo mitico-religioso; è poi

ulteriormente suddivisa in circa centoquindici paragrafi o capoversi e questi sono, a loro

volta, suddivisi internamente in ulteriori frammenti (circa duecentocinquanta in tutto),

separati da stacchi grafici che a volte coincidono con veri e propri stacchi narrativi, altre

volte sembra che rispondano ad esigenze ritmiche, per marcare una pausa.

Il nasce come un lungo racconto della malattia attraverso la

Notturno memoria della

Si tratta fondamentalmente di un’opera riflessiva e

vita precedentemente vissuta.

meditativa, in cui la tensione superomistica del D’Annunzio precedente (“Trionfo della

“Le “Il “Forse è superata.

morte”, Vergini delle rocce”, Fuoco”, che sì forse che no”)

Come immagini ricorrenti abbiamo erudite o ad occhi

rievocazioni fantasticherie

aperti, o addirittura comparazioni costruite dal narratore. Ci troviamo di fronte a

sogni

prose di e di pagine per lo più autobiografiche, il cui filo

confessione ricordi,

conduttore è fornito dalla nostalgica rievocazione dell’esperienza trascorsa. Lui, il

“cieco veggente” compie un viaggio nei ricordi, in cui è solo l'occhio interiore ad essere

in grado di aggregare passato, presente e futuro, vita e morte, realtà e sogno: ora i fatti

assumono la valenza e i caratteri della visione, ora del sogno notturno, ora

dell'immaginazione ossessiva.

La lunga notte a letto, viene vissuta da D’Annunzio come il prolungamento infinito

della malattia, quasi una morte fisica. Infatti, in questa condizione di mobilità forzata

D’Annunzio è tormentato dal e dall’insonnia, ed è per questo che in

dolore fisico

alcuni tratti dell’opera descrive se stesso spesso dormiente in una bara, la sua stanza

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come la sua tomba, oscura, chiusa, silenziosa, vuota. Oltre alla descrizione della sua

malattia, un altro tema dell’opera è la visione della guerra come causa della morte.

Ed è proprio a questa, alla morte, alla quale il poeta si riferisce con l’invocazione

“…Perché indicando due situazioni in cui, piuttosto che stare

due volte m’hai deluso?”,

immobile in un letto, avrebbe preferito morire, eroicamente, da soldato, come alcuni dei

suoi compagni.

Gabriele D'Annunzio, "Notturno", 1921, con dedica alla madre, frontespizio della prima edizione -

Milano, Biblioteca Nazionale Braidense

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LA NOTTE BELLA

Giuseppe Ungaretti

Davetachi il 24 agosto 1916

Quale canto s'è levato stanotte

che intesse

di cristallina eco del cuore

le stelle

Quale festa sorgiva

di cuore a nozze

Sono stato

uno stagno di buio

Ora mordo

come un bambino la mammella

lo spazio

Ora sono ubriaco

d'universo 14

La poesia è tratta dalla raccolta “Allegria”, che raccoglie i versi scritti tra il 1914 e il

1919. ”La incarna appieno lo stile della raccolta, caratterizzata dal

notte bella”

dall’ebrezza Sin dai

sentimento panico, di immergersi e identificarsi nell’universo.

primi versi si avverte quest’armonia tra l’individuo e il cosmo; per cui, il poeta si sente

diffuso nel Tutto o assorbe il Tutto in sé. C’è questo canto che suscita un’eco limpida

nel È un momento felice e, quindi, c’è solo il ricordo

cielo pieno di stelle.

dell’isolamento dell’individuo chiuso in sé, triste “sono il

stato uno stagno di buio”:

poeta si è sentito buio e inerte come un’acqua stagnante, si è sentito tagliato fuori dal

contatto con l’universo.

Dal punto di vista del linguaggio poetico, in questa poesia ci sono alcune delle più

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