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Sintesi

Materie trattate: pedagogia e metodologia della ricerca latino inglese

Estratto del documento

10.1 Composizione dell’opera pag.12

10.2 Il progetto educativo pag. 12

10.3Le principali agenzie formative pag. 13

10.4.Quintilliano pedagogista pag. 14

10.5 Stile pag. 14

11. Charles Dickens pag. 15

11.1 Themes pag. 15

11.2 Style pag. 15

11.3.Plot pag,15

11.4 Characters pag. 16

12.Bibliografia pag. 17 3

1.Cosa si intende per motivazione

Il termine "motivazione" (dal latino motus)

indica un movimento, il dirigersi di un

soggetto verso un oggetto desiderato.

E' un atteggiamento che può avere

riscontri negativi o positivi, un problema

molto complesso in quanto costrutto

multifattoriale nel quale entrano infatti in

gioco diversi aspetti interagenti tra loro:

aspetti emotivi quali le rappresentazioni

• di obiettivi;

aspetti cognitivi come fino l'uso di

• differenti strategie di apprendimento;

aspetti metacognitivi cioè la capacita del soggetto di riflettere sui proprio

• apprendimento o sull'attività di studio;

apetti psicologici: dalla percezione di autoefficacia al concetto di se;

• aspetti didattici legati all'uso di determinati mediatori nel processo di

• insegnamento.

Per l'analisi del problema, dunque,è opportuno utilizzare un'ottica multidisciplinare, in

modo da cogliere l'intero fenomeno nella sua complessità.

2.Storia dalla motivazione:teorie e approcci

In psicologia c'e sempre stato un interesse per i risvolti educativi legati all'istruzione

e all'apprendimento, ma è nei primi anni del novecento con il funzionalista Claparède (in

Europa) e Thorndike (in America), che si incominciano a tradurre i principi sulla natura

e le caratteristiche dell'attività mentale in direttive per l'educazione e

l'insegnamento, cercando di potenziare negli allievi la capacità di sfruttare la mente

nel rapporto con la realtà.

Durante la prima meta del secolo,si svilupperà in U.S.A. la learning theory o teoria del

rinforzo, un'applicazione in campo scolastico degli studi comportamentistici

sull'apprendimento per cui la scuola non è altro che un contesto di apprendimento,

paragonabile a quelli creati in laboratorio per gli esperimenti di condizionamento con

soggetti animali. Essa fa leva sugli aspetti estrinseci della motivazione: il suo assunto

di base, infatti, è che un soggetto è portato ad impegnarsi in un compito o in

un'attività se tale comportamento in passato è stato premiato (con lodi, complimenti,

un buon voto, un regalo, l'approvazione sociale) o se un comportamento alternativo è

stato punito (con un rimprovero, un segno palese di disapprovazione, un voto

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insufficiente). Ciò che conta è il controllo che la scuola riesce ad esercitare su di lui e

il compito dell'insegnante è quello di predisporre l'ambiente che lo circonda.

Molti studiosi hanno cercato di precisare le caratteristiche per cui un buon rinforzo

per presentarsi come motivante deve essere:

contingente alla prestazione, cioè vicino al comportamento;

• specifico, cioè relativo ad un preciso e determinato aspetto della prestazione;

• credibile, cioè non contraddetto da atteggiamenti paraverbali o non verbali;

• appropriato, cioè dato quando la risposta è veramente quella desiderata.

Un rinforzo può invece risultare demotivante quando:

pone l’accento non sull'impegno del soggetto ma sull'approvazione dell'insegnante;

• viene dato a tutti, indipendentemente dalle prestazioni e dal risultato;

Il primo grande teorico della motivazione, conforme ai principi del comportamentismo,

è stato C.L.Hull secondo cui i rinforzi sono efficaci quando appagano il bisogno(need)

motivazionale del soggetto, riducendo l’impulso(drive) generato dal bisogno.

L'interesse per la motivazione scolastica è però cresciuto notevolmente intorno agli

anni '50 - '60 grazie al clima storico-sociale e culturale, segnato dall'affacciarsi dei

movimenti giovanili e dal maturare di una nuova coscienza che porta a considerare i

giovani soggetti sociali attivi. In questo periodo inoltre, nella storia della psicologia, si

è assistito a una vera e propria svolta,che ha portato a riconsiderare i motivi per cui si

studia.

Così si è accumulato un gran numero di lavori su questo argomento ed è sorta la teoria

della motivazione intrinseca che afferma che l'essere umano è naturalmente disposto

ad impegnarsi nell' apprendimento: esistono cioè componenti intrinseche della

motivazione, svincolate da spinte esterne come il desiderio di ottenere un premio o di

evitare una punizione. All'interno di questo filone teorico esistono diverse prospettive

che, pur differenziandosi tra loro, risultano componibili in quanto sono tutte basate

sull'assunto che esistono nell'uomo tendenze "naturali", le quali rendono alcuni compiti

intrinsecamente motivanti.

L’origine delle motivazioni intrinseche,a differenza di quelle estrinseche, il cui

fondamento è di ordine fisiologico, è radicato nel sistema nervoso ed è di tipo

evolutivo. Tale bisogno spingerebbe già il bambino ad esplorare l'ambiente per

ottenere nuove informazioni che gli consentano di superare uno stato di incertezza o

di squilibrio, ad allargare gli schemi di azione e ad applicarli a nuove situazioni, a

scoprire nuove proprietà delle cose e nuove possibilità di azione.

La motivazione intrinseca nascerebbe da due bisogni primari: il bisogno di conoscenza,

inteso come curiosità,come coscienza dei limiti del sapere già posseduto, e volontà di

risolvere le contraddizioni e le lacune degli schemi gia consolidati, e il bisogno di

successo ovvero la capacità di padroneggiare e controllare l'ambiente, di sentirsi

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competenti ed efficaci. Il contributo più importante di questo approccio è stato dato

dallo psicologo canadese Berlyne, il quale, formulò il modello della curiosità di

apprendimento.

La curiosità sarebbe quindi attivata da elementi di novità e complessità dell'ambiente,

incongruenti con le precedenti conoscenze: tali incoerenze ed aspetti nuovi

produrrebbero un conflitto che il soggetto cercherebbe di superare e risolvere,

guidato e sostenuto da una motivazione intrinseca che non richiede incentivi esterni. La

componente della curiosità interagisce con gli obiettivi che orientano il

comportamento del singolo con il giudizio retrospettivo sulle cause dei risultati che un

soggetto ha ottenuto con il valore di attesa di un risultato e con la percezione di

autostima e di autoefficacia.

La riflessione su esperienze e conoscenze precedenti produce curiosità per argomenti

nuovi ed origina problemi che richiedono nuove strategie di soluzione, portando alla

costruzione di nuove teorie e nuove strutture; l'intero processo produce obiettivi e

motivazioni che fanno da mediatori tra l'immagine di sé, le abilità ed i risultati delle

azioni. Secondo alcuni studiosi, al bisogno di conoscenza va associato il bisogno di

padroneggiare e controllare le situazioni, chiamato need for competence. Esso,

presente fin dalla nascita, si manifesta con la tendenza a mettere in pratica, a

esercitare concretamente, le abilità che si hanno, anche se non si padroneggiano

ancora bene. Anche Piaget, da un punto di vista differente, arriva a teorizzarlo

attraverso l'osservazione sistematica di bambini durante il passaggio dalla reazione

circolare secondaria in cui un risultato scoperto casualmente viene ripetuto per

divertimento e generalizzato ad altre situazioni alla reazione terziaria, intorno ai 12-

18 mesi, in cui il bambino applica gli schemi appresi a nuove situazioni, usa nuovi schemi,

scopre nuovi mezzi per giocare: fin dai primi giorni di vita i bambini sarebbero

naturalmente inclini a praticare nuove competenze in vista del loro sviluppo e la pratica

di nuove abilità sarebbe intrinsecamente soddisfacente.

Un ulteriore ed interessante filone della teoria della motivazione intrinseca è

rappresentato dalla prospettiva sulla auto-realizzazione, (need for achievement),

ovvero la tendenza dell’uomo a portare a compimento i propri progetti e a gestirsi in

modo da non apparire ai propri occhi fallito. Secondo gli studiosi che hanno proposto

tale approccio, (in particolare Deci e Ryan) gli uomini hanno bisogno non solo di sentirsi

competenti, ma anche di sentirsi artefici delle proprie azioni e di scegliere

liberamente il compito o l'attività in cui impegnarsi. Alla base di questa prospettiva c'è

dunque il concetto di scelta, svincolata da bisogni o forze esterne, incentivi o possibili

risultati. Se il soggetto si percepisce come causa del proprio comportamento, cioè

come locus of causality, la motivazione sarà stabile o si accrescerà; invece tenderà a

diminuire se il soggetto sente che lo svolgimento di quell'attività è imposto o

controllato dall'esterno. I teorici della motivazione alla riuscita, sostengono che la

spinta ad apprendere sia originata non tanto dalla curiosità o dall'interesse per un

determinato argomento o attività, ma piuttosto dal desiderio di ottenere un successo

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personale, concepito non come prestigio sociale o successo economico, ma come

realizzazione di qualcosa che per gli standard personali è di alto livello. Si tratta

dunque di una spinta motivazionale che apparentemente sembrerebbe estrinseca ma

che non è riducibile al desiderio di ottenere un premio come rinforzo gratificante

l'impegno. Le due tendenze presentano caratteristiche differenti in relazione a

diversi elementi, come il livello di difficoltà del compito o attività in cui il soggetto è

disposto ad impegnarsi, le emozioni provate prima e durante l'attività, le riflessioni

fatte prima e durante l'attività (componente metacognitiva) e gli atteggiamenti

assunti prima e durante l'attività.

3. Il ruolo orientante degli obiettivi nella motivazione

Già a partire dai comportamentismi viene data importanza al ruolo degli obiettivi nella

motivazione, oggi ampiamente indagato dagli studiosi moderni, che in particolare si

soffermano sugli obiettivi come orientamenti che influenzano l’apprendimento.

La distinzione più utilizzata è quella fra obiettivi orientati all’apprendimento ed

obiettivi orientati alle prestazioni.

Nel primo caso, il soggetto si porrebbe il fine principale di incrementare, attraverso

l’impegno, le proprie conoscenze e competenze; nel secondo caso, lo scopo sarebbe

quello di ottenere giudizi favorevoli e/o di evitare giudizi negativi sulle proprie

competenze. Gli studenti con obiettivi orientati all’apprendimento, non temendo di

sbagliare, sarebbero più propensi a cimentarsi con compiti abbastanza difficili, o che

richiedono attivazione di procedure di problem-solving e di pensiero divergente,

interpretando risultati insufficienti come prova dell’utilizzazione di una strategia

inadeguata o di scarso impegno soggettivo.

Al contrario, gli studenti con obiettivi orientati alla prestazione tenderebbero a

scegliere compiti facili, in cui le possibilità di sbagliare sono poche, tali da consentire

loro di dimostrare senza eccessiva difficoltà le competenze acquisite, o

paradossalmente compiti molto difficili, un eventuale insuccesso nei quali può essere

attribuito alla oggettiva difficoltà della prestazione richiesta e non alla propria

incapacità, sarebbero propensi ad interpretare i propri risultati sulla base del feed-

back esterno, a considerare l’insegnante essenzialmente come una figura d’autorità, cui

è affidato il compito di premiare/punire.

4. I punti deboli del modello

Il modello è stato criticato per alcuni aspetti, anzitutto la netta contrapposizione tra i

profili motivazionali. In effetti, nella realtà gli obiettivi di prestazione e padronanza

non possono essere così nettamente distinti: ciò significa che una stessa persona può

possedere in misura più o meno forte la tendenza a sviluppare le proprie capacità

all’interno di un orientamento alla padronanza oppure a confermare le proprie capacità

come è tipico di chi tende a porsi obiettivi di prestazione. Inoltre, questa tendenza

può variare rispetto alle richieste dell’ambiente, oltre che per effetto di specifiche

disposizioni o di ben definiti interessi individuali. 7

5. Gli obiettivi sociali

Alcuni studiosi hanno dato molta importanza agli obiettivi sociali, che possono essere

prevalentemente orientati :

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