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Sintesi
Introduzione Mafia e organizzazione tesina


Questa tesina di maturità descrive la mafia e la sua organizzazione. Tesina maturità argomenti: in Italiano Giovanni Verga e l'inchiesta parlamentare Franchetti e Sonnino, in Storia la questione meridionale, in Diritto la normativa sulla confisca dei beni, in Finanza la destinazione dei beni confiscati, in Tecnica la moneta bancaria, in Matematica la regressione e la correlazione, in Informatica l'HTML, in Inglese The USA.

Collegamenti

Mafia e organizzazione tesina


Italiano - Giovanni Verga e l'inchiesta parlamentare Franchetti e Sonnino.
Storia - La questione meridionale.
Diritto - Normativa sulla confisca dei beni.
Finanza - La destinazione dei beni confiscati.
Tecnica - La Moneta Bancaria.
Matematica - Regressione e Correlazione.
Informatica - HTML.
Inglese - The USA.
Estratto del documento

era di £ 0,35. Questi poveri carusi uscivano dalle bocche delle gallerie dove la

temperatura era caldissima, grondando sudore e contratti sotto i gravissimi pesi che

portavano, e uscivano all’aria aperta, dove dovevano percorrere un’altra cinquantina

di metri, esposti a un vento ghiaccio.

Altre schiere di fanciulli lavoravano all’aria aperta trasportando il minerale dalla

basterella al calcarone. Là dei lavoranti riempivano le ceste e le caricavano sui

ragazzi, che correndo le portavano fino alla bocca della fornace, dove un altro operaio

li sorvegliava, gridando questo, spingendo quello, dando ogni tanto una sferzata a chi

correva meno. carusi

La triste condizione dei ci è tristemente nota anche attraverso le pagine

letterarie che lo scrittore siciliano Giovanni Verga dedicò, sempre nell’Ottocento, a uno

di loro, Rosso Malpelo, protagonista dell’omonima novella.

Rosso Malpelo:

La novella racconta la vita di un ragazzo che lavora a una cava di arena , conosciuto

da tutti con il soprannome di Rosso Malpelo, dato il colore rosso dei capelli e appunto

per questo particolare viene giudicato da tutti un giovane cattivo e ribelle , al contrario

è lui ad essere maltrattato .Non si ribella mai ,anzi accetta di essere punito anche se

innocente. Egli lavora presso una cava , dove precedentemente lavorava il padre

prima di morire travolto da della terra durante un lavoro notturno. Il figlio era presente

a questa sventura, e cercò di aiutare il padre grattando la terra a mani nude , ma non

ricevette alcun sostegno da parte degli altri minatori. Fu proprio la perdita del padre ,

mastro Misciu Bestia , a spronare il ragazzo e a farlo lavorare sempre più

intensamente nella cava. In seguito conobbe un ragazzo , detto Ranocchio a causa del

suo modo di camminare, che tenne sotto la sua protezione e che cercò di aiutare nel

solo modo che conosceva : cioè picchiandolo e bastonandolo come con un asino.

Ranocchio era l’unica persona che contasse nella vita del giovane , dopo il padre che

purtroppo era morto ; infatti la madre non lo considerava nemmeno e la sorella lo

picchiava , credendo che si trattenesse parte della paga ricevuta alla cava.

Un giorno mentre scavava Rosso trovò le scarpe del padre ma il corpo fu trovato in

seguito. Del padre furono ritrovati anche i calzoni , il piccone e la zappa , e furono

restituiti a Rosso. Un altro evento che viene narrato riguarda il vecchio asino grigio,

sempre bastonato dal ragazzo per fargli smettere di soffrire , il quale dopo essere

morto fu portato lontano dalla cava e abbandonato come cibo per cani. Anche

Ranocchio si ammalò ma continuò a lavorare finché , un giorno Rosso non lo vide più

venire alla cava e sentì raccontare dagli altri minatori che era morto. Dopo la morte di

Ranocchio , rosso ha perso l’unica speranza di vita che aveva e affronta senza timore

tutti gli incarichi affidatogli, tra cui il verificare una nuova via sotterranea che lo

porterà a smarrirsi per sempre nel sottosuolo della cava e morire come il padre .

Storia

La Questione Meridionale

La questione meridionale fu un grande problema nazionale dell'Italia unita. Il problema

riguardava le condizioni di arretratezza economica e sociale delle province annesse al

Piemonte nel 1860-1861 (rispettivamente gli anni della spedizione dei Mille e della

proclamazione del Regno d’Italia). I governi sabaudi avevano voluto instaurare in

queste province un sistema statale e burocratico simile a quello piemontese.

L’abolizione degli usi e delle terre comuni, le tasse gravanti sulla popolazione, la

coscrizione obbligatoria e il regime di occupazione militare con i carabinieri e i

bersaglieri, creò nel sud una situazione di forte malcontento. Da questo malcontento

vennero fuori alcuni fenomeni: il brigantaggio, la mafia e l’emigrazione al nord Italia o

all’estero. Dopo l’unità d’Italia vi fu un rigetto nei confronti del governo da parte della

povera gente del meridione. Tale rigetto si manifestò fra il 1861 e il 1865 con il

fenomeno del brigantaggio. Il brigantaggio era localizzato in Calabria, Puglia,

Campania e Basilicata dove bande armate di briganti iniziarono vere e proprie azioni di

guerriglia nei confronti delle proprietà dei nuovi ricchi.

I briganti si rifugiavano sulle montagne ed erano protetti e nascosti dai contadini

poveri; ma ricevettero aiuto anche dal clero e dagli antichi proprietari di terre che

tentavano, per mezzo del brigantaggio, di sollevare le campagne e far tornare i

Borboni.

Fra i briganti, oltre ai braccianti estenuati dalla miseria, c’erano anche ex garibaldini

sbandati ed ex soldati borbonici. Non mancavano poi numerose donne audaci e

spietate come gli uomini.

E proprio quest’ultima fu l’artefice della prima strage di Stato, a Portella della Ginestra.

L’1 maggio 1947, una festa a cui partecipavano migliaia di persone, fu interrotta da

una sparatoria che causò 11 morti e 27 feriti. La matrice della strage appare subito

chiara: la voce popolare parla dei proprietari terrieri, dei mafiosi e degli esponenti dei

partiti conservatori e i nomi sono sulla bocca di tutti: i Terrana, gli Zito, i Brusca, i

Romano, i Troia, i Riolo-Matranga, i Celeste, l'avvocato Bellavista che durante la

campagna elettorale aveva tuonato contro le forze di sinistra e a difesa degli agrari.

Vengono fermate 74 persone tra cui figurano mafiosi notori.

All'Assemblea costituente il giorno dopo la strage Girolamo Li Causi, segretario

regionale comunista, lancia la sua accusa: dopo il 20 aprile c'è stata una campagna di

provocazioni politiche e di intimidazioni, durante la strage il maresciallo dei carabinieri

si intratteneva con i mafiosi e tra gli sparatori c'erano monarchici e qualunquisti. Viene

interrotto da esponenti dei qualunquisti e della destra e il ministro degli interni Mario

Scelba dichiara che non c'è un "movente politico", si tratta solo di un "fatto di

delinquenza".

Nel frattempo i fermati vengono rilasciati e si afferma la pista che porta alla banda

Giuliano, il cui nome viene fatto dall'Ispettore di Pubblica Sicurezza Ettore Messana.

L'inchiesta giudiziaria si concentra sui banditi e procede con indagini frettolose e

superficiali: Il 17 ottobre 1948 la sezione istruttoria della Corte d'appello di Palermo

rinvia a giudizio Salvatore Giuliano e gli altri componenti della banda. La Corte di

Cassazione, per legittima suspicione, decide la competenza della Corte d'assise di

Viterbo, dove il dibattimento avrà inizio il 12 giugno 1950 e si concluderà il 3 maggio

1952, con la condanna all'ergastolo di 12 imputati (Giuliano era stato assassinato il 5

luglio del 1950).

Nella sentenza, a proposito della ricerca della causale, si sostiene che Giuliano

compiendo la strage e gli attentati successivi ha voluto combattere i comunisti e si

richiama la tesi degli avvocati difensori secondo cui la banda Giuliano aveva operato

come "un plotone di polizia", supplendo in tal modo alla "carenza dello Stato che in

quel momento si notò in Sicilia" (ivi, pp. 191 s). Cioè: la violenza banditesca era stata

impiegata come risorsa di una strategia politica volta a colpire le forze che si

battevano contro un determinato sistema di potere. La sentenza di Viterbo non

toccava il problema dei mandanti della strage e dell'offensiva contro il movimento

contadino e le forze di sinistra, affermando esplicitamente che la causa doveva essere

ricercata altrove.

Contro la sentenza fu proposto appello e il processo di secondo grado si svolse presso

la Corte d'assise d'appello di Roma (nel frattempo molti degli imputati, tra cui Gaspare

Pisciotta, erano morti). La sentenza del 10 agosto 1956 confermava alcune condanne,

riducendo la pena, e assolveva altri imputati per insufficienza di prove. Con sentenza

del 14 maggio 1960 la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso del

pubblico ministero e così la sentenza d'appello diventava definitiva.

Oggi viene ricordato l’eccidio grazie al “Memoriale di Portella della Ginestra”,

realizzato da Ettore De Conciliis, in collaborazione con Rocco Falciano e Giorgio

Stockel. Ancor’oggi, l’eccidio è una delle stragi meno conosciute ma resta la più

sanguinosa di tutte. Diritto

Normativa sulla confisca dei beni ai mafiosi

(Legge 109/1996)

La legge 109/96 costituisce lo strumento più avanzato di contrasto alla criminalità

organizzata nel campo culturale, sociale ed economico, prevedendo la restituzione

alla collettività di grandi patrimoni accumulati illecitamente e colpendo le mafie in uno

degli ambiti più importanti: la creazione del consenso sociale. Se

l’azione repressiva della magistratura punta ad indebolire le mafie attraverso la

sottrazione delle ricchezze, mettendone in crisi il potere economico, l’azione

costruttiva delle istituzioni e delle forze sociali punta ad indebolirne il consenso e

dunque il potere politico. Il raggiungimento di tale obiettivo è tanto più alla portata

quanto maggiore sarà il numero di beni che sono confiscati ed introdotti nel circolo

virtuoso dell’uso sociale, ma anche quanto migliore sarà l’uso sociale degli stessi. In

altre parole, se da un lato è fondamentale non perdere di vista il dato numerico che

rappresenta un buon indicatore per valutare l’efficienza della giustizia e della

macchina amministrativa, rispettivamente, nel confiscare e destinare le ricchezze

confiscate, dall’altro è indispensabile valutare la qualità dell’uso finale del bene stesso,

poiché da ciò dipenderà l’effettiva efficacia dell’azione di contrasto alla criminalità

organizzata.

Per quanto attiene alle procedure si propone lo snellimento e la semplificazione delle

procedure di confisca ed assegnazione dei beni confiscati mediante la costituzione di

un’agenzia unica che funzioni da cabina di regia e che, dotata di poteri, finanziamenti

e personale tecnico e specialistico adeguato sia in grado di assicurare in tempi certi

che il bene confiscato sia definitivamente consegnato all’assegnatario. Per quanto

riguarda gli enti locali, gli stessi dovrebbero essere vincolati all’attuazione di procedure

di partecipazione e ad evidenza pubblica relative alla progettazione del recupero dei

beni confiscati (es.: concorsi di idee, ecc.) e alla successiva assegnazione (bandi

pubblici, ecc.). Allo stesso tempo, occorrerebbe introdurre forme di sostegno ai comuni

per la progettazione ed il recupero strutturale dei beni oggetto di confisca.

La legge n. 109/96 modifica il processo di assegnazione dei beni confiscati alle mafie,

snellendo sia in termini di steps che di attori istituzionali coinvolti. Di fatto le fasi del

processo di assegnazione dei beni immobili si riducono a tre, mentre il numero di

soggetti coinvolti si riducono a nove. In particolare:

1° Fase:

“Il provvedimento definitivo di confisca e’ comunicato, dalla cancelleria dell’ufficio

giudiziario che ha emesso il provvedimento, all’ufficio del territorio del Ministero delle

finanze (oggi Agenzia del Demanio) che ha sede nella provincia ove si trovano i beni o

ha sede l’azienda confiscata, nonché al prefetto e al Dipartimento della pubblica

sicurezza del Ministero dell’interno.”

2° Fase:

”Il dirigente del competente ufficio del territorio, sulla base della stima del valore dei

beni effettuata dal medesimo ufficio, acquisiti i pareri del prefetto e del sindaco del

comune interessato e sentito l’amministratore giudiziario del bene stesso, formula una

proposta di assegnazione entro 90 giorni dal ricevimento della comunicazione, al

direttore generale del Demanio del Ministero delle Finanze.”

3° Fase:

“Il direttore centrale del demanio del Ministero delle finanze emana, entro 30 giorni

dalla comunicazione (non vincolante) della proposta, il decreto definitivo di

destinazione.” Finanza

La destinazione dei beni confiscati

I beni confiscati alla criminalità organizzata, vengono amministrati dall’ANSBC -

Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Destinazione dei Beni

Sequestrati e Confiscati alla Criminalità Organizzata, con sede a Reggio

Calabria, sotto vigilanza del Ministero dell'Interno. L'Agenzia viene istituita con

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