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Introduzione Tesina: la luce
La mia tesina di maturità tratta del tema della luce. Fin dall’origine del mondo, la luce ha sempre accompagnato l’esistenza umana, essa è fonte di vita, è energia, è calore, è gioia, è speranza, essa ci fa percepire i colori e le meraviglie della natura. La sua importanza per la vita umana è tale che viene studiata approfonditamente dal punto di vista scientifico, portandoci a conoscenze sempre più vaste. Ma l’idea alla quale la parola “luce” rimanda nelle nostre menti è anche quella di qualcosa di divino, che va oltre il contingente, qualcosa di immutabile, di essenziale. La stessa idea è quella di cui si è servito Dante nella Divina Commedia: l’immensa luminosità che pervade l’intero Paradiso dantesco, là dove il pellegrino alla fine del suo viaggio rimane abbagliato da quella luce eterna ed infinita che è la manifestazione di Dio. Quindi questo vocabolo, che ricorre assiduamente nella mia tesina, pervade tutte le materie dello scibile umano, da quelle scientifiche a quelle letterarie e filosofiche, fino a giungere all’arte dove esso trova la sua massima espressione. Di qui la necessità di prendere in considerazione, in questa tesina di maturità, di volta in volta, i vari aspetti che sono correlati alla parola “luce”.

Collegamenti
Tesina: la luce
Italiano - La luce nel Paradiso, Ungaretti (Il porto sepolto, Commiato, Mattina); Montale (I limoni, La Bufera).
Latino- Lucrezio (De Rerum Natura).
Storia- La Seconda Rivoluzione industriale.
Filosofia - Il positivismo.
Inglese - Virginia Woolf (Concezione della vita, Gita al faro).
Fisica- La luce e gli spettri.
Geografia astronomica - La luminosità delle stelle.
Storia dell'arte - Impressionismo (la Cattedrale di Rouen).
Luminosità, movimento armonico di danza, canto, caratterizzano questo momento
della visione, che anticipa la perfezione assoluta di Dio. Con il Canto X cominciano le
grandi coreografie luminose formate dalle anime che si rivelano a Dante, nel Cielo del
Sole, come una corona di luci, che danzano in cerchio.
Anche la bellezza di Beatrice si traduce in luce, che corrisponde sia alla luminosità del
suo sorriso che a quella dei suoi occhi. Dante, trasportato dalla forza stessa che fa
ruotare i cieli e dalla luce sempre crescente degli occhi di Beatrice, sale attraverso i
nove cieli e man mano che sale ogni parvenza umana e terrena scompare e le anime
dei beati appaiono come fiamme, splendori, luci, in un clima sempre più rarefatto e
luminoso, fino all’Empireo, dove Alighieri assistito da San Bernardo e non più da
Beatrice, può contemplare la Vergine ed i beati e infine, in un’illuminazione improvvisa
e sconvolgente, immergersi nella visione della luce stessa di Dio.
La luce in alcune opere di Giuseppe Ungaretti
Nella sua prima raccolta L’Allegria, composta da trentadue liriche scritte tutte al
fronte, durante la guerra di trincea, Ungaretti tratta in diverse occasioni il tema della
luce. Il Porto Sepolto
Mariano il 29 giugno 1916
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
5 mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto
Ne “Il Porto Sepolto”, il poeta si immerge in questo luogo misterioso che è simbolo di
“ciò che di segreto rimane in noi, indecifrabile”, l’io più profondo da cui la poesia
stessa trae origine. Il viaggio rappresenta una discesa alle radici della parola poetica e
della vita. L’oscurità assume quindi un valore positivo, un buio da cui si origina la
poesia, mentre la luce diventa dispersione, spargimento dei semi poetici.
In “Commiato” Ungaretti riprende la tematica de “Il Porto Sepolto”. In questa lirica la
parola ricercata dal poeta viene portata in superficie ed essa è sufficiente ad
illuminare il mistero, l’abisso della nostra vita.
Mattina 3
Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917
M’illumino
d’immenso
“Mattina” è una delle poesie più famose di Ungaretti ed è sorprendente come con due
sole parole, il poeta riesca ad esprimere un concetto di dimensioni non misurabili. Il
titolo è molto importante poiché il poeta, durante la guerra, una mattina, viene
abbracciato da una luce molto forte e dunque anche da un calore molto intenso
proveniente dall’alto, e che illumina lo spazio circostante, ma che soprattutto lo fa
risplendere interiormente, riuscendo così quasi a percepire la vastità immensa
dell’infinito.
La luce in alcune opere di Eugenio Montale
Anche nella poesia di Montale, di tanto in tanto, compaiono degli sprazzi di luce che
cercano di lenire temporaneamente il “male di vivere”. Ne sono un esempio:
“I Limoni”, lirica posta subito dopo il prologo nella prima raccolta “Ossi di
seppia”, dove questo male di vivere è sempre in agguato. Il paesaggio
urbano della parte conclusiva della poesia sembra infatti svilire ogni
“illusione” (v.37) di trovare la verità delle cose umane; eppure non viene
meno un bagliore di spranza, quando da un portone semiaperto appare nel
cortile il giallo vivo dei limoni e si accende una luce (“…le trombe d’oro della
solarità…” v.49) che dissolve il gelo del cuore ed evoca un piacevole insieme
di profumi, suoni e colori familiari e festosi che per un istante riconciliano
con la vita. I limoni, infatti, rappresentano il tentativo di entrare in contatto
con l’essenza della realtà ed è in questo senso che essi diventano una sorta
di “talismano soteriologico”, una speranza di salvezza per giungere al
disvelamento della verità che si nasconde all’interno della natura.
“La Bufera”, lirica che dà il titolo alla terza raccolta montaliana. Questo
componimento si apre con la descrizione di una tempesta metereologica in
atto, che è metafora della guerra. In questo scenario si delinea l’immagine
suggestiva del “nido”, cioè l’interno affettivo e domestico, che viene investito
dall’ultima luce, barlume di speranza e segno di pace e salvezza, che si
conserva ancora negli occhi di Clizia. Segue quindi il lampo (“…il lampo che
candisce…” v.10) che illumina le cose e sembra fissarle per l’eternità. Il
lampo diventa così simbolo della verità che si svela per un attimo nell’oscura
tragedia del conflitto bellico. La sua luce allude alla distruzione che porta la
guerra, ma anche alla speranza salvifica (“manna” v.12) proveniente dalla
donna, il cui rapporto con l’autore non è un legame d’amore, ma si inscrive
nella sfera dei rapporti con il luminoso, il quasi divino. 4
Le notizie relative alla vita di Tito Lucrezio Caro sono scarse ed incerte. La
testimonianza più importante è quella fornita da San Gerolamo che nel suo Chronicon,
relativamente all’anno 94 a.C., scrive: “ Nasce il poeta Tito Lucrezio che, divenuto folle
per un filtro d’amore, dopo aver scritto negli intervalli della pazzia alcuni libri di cui poi
Cicerone curò la pubblicazione, morì suicida nel quarantaquattresimo anno di età”.
(Gerolamo Chronicon, ad annum 94 a.C.). I dati forniti dal Chronicon sono stati messi
in dubbio da numerosi studiosi, ma, accettando come vera la notizia della scomparsa
del poeta a quarantatré anni, è stato possibile risalire al 98 a.C. per la nascita e al 55
a.C. per la morte, probabilmente di suicidio causa della pazzia. Il “De rerum natura” è
l’unica opera di Lucrezio ed è un poema epico-didascalico in esametri, suddiviso in sei
libri. Didascalico perché il poeta ha l’intento di diffondere, attraverso la sua opera, la
dottrina filosofica epicurea, l’unica in grado di liberare l’uomo dall’angoscia e dal
turbamento esistenziale; l’aggettivo epico invece si riferisce ai toni con cui Lucrezio 5
celebra Epicuro, filosofo che ha fornito agli uomini un messaggio di salvezza. Il
dedicatario dell’opera è Memmio, il discepolo a cui Lucrezio intende insegnare i
principi dell’epicureismo. L’opera consta di sei libri, divisi in tre diadi: la prima coppia
espone la dottrina atomistica; la seconda diade tratta della vita psichica; gli ultimi due
libri si occupano invece della civiltà umana, del mondo e dei suoi fenomeni.
Il tema della luce assume nel “De rerum natura” un ruolo rilevante, esaltando una
filosofia, quella epicurea, fondata sul controllo di sé, sulla mancanza di turbamenti e di
passioni. Il tema della luce, svolge lungo tutto il poema, una positiva funzione
ideologica, rappresentando la vita in contrasto con la morte, la consapevolezza e la
conoscenza in opposizione all’oscurità dell’ignoranza. Ci sono diversi luoghi
significativi del poema in cui appare esplicita l’immagine della luce, presente sin dal
proemio iniziale.
Aeneadum genetrix, hominum divomque voluptas,
alma Venus, caeli subter labentia signa
quae mare navigerum, quae terras frugiferentis
concelebras, per te quoniam genus omne animantum
5 concipitur visitque exortum lumina solis:
te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli
adventumque tuum, tibi suavis dedala tellus
summittit flores, tibi rident aequora ponti
placatumque nitet diffuso lumine caelum.
[…]
21 Quae quoniam rerum naturam sola gubernas
nec sine te quicquam dias in luminis oras
exoritur neque […] (Libro I, vv. 1-9, 21-23)
Il “De rerum natura” si apre con la luminosa descrizione dell’arrivo della primavera,
emblematizzata dalla figura divina di Venere, che è colei che da vita a “tutto il genere
dei viventi” e permette loro di vedere la luce del sole (lumina solis). Venere è vita,
pace e amore e proprio grazie a lei il cielo risplende di una luce diffusa (diffuso
lumine), quella della primavera, dal momento che la dea ha portato via i venti e le
nubi del cielo. Lucrezio al verso 22 torna ad insistere sull’immagine della luce, che
infonde una sensazione di dolce tranquillità, serenità e pace grazie all’arrivo della
stagione primaverile.
Dopo L’inno a Venere, il proemio prosegue con l’elogio a Epicuro, che viene esaltato
come il salvatore dell’umanità e come l’avversario della religio e dell’oscura ignoranza
6
che opprime l’umanità. All’inizio del proemio del libro III l’immagione della luce è
associata a Epicuro e diventa qui simbolo di vittoria, ma anche di salvezza.
E tenebris tantis tam clarum extollere lumen
qui primus potuisti inlustrans commoda vitae,
te sequor, o Graiae gentis decus, inque tuis nunc
ficta pedum pono pressis vestigia signis,
5 non ita certandi cupidus quam propter amorem
quod te imitari aveo; […] (Libro III, vv. 1-6)
In questo passo Epicuro viene esaltato come colui che ha innalzato la luce al di sopra
delle fitte tenebre che avvolgono l’umanità. Egli infatti ha messo in evidenza i veri
beni, le gioie della vita, che permettono agli esseri viventi, in preda all’ignoranza, al
timore e all’angoscia di raggiungere la verità e quindi il godimento dell’atarassia.
Tu pater es, rerum inventor, tu patria nobis
10 suppeditas praecepta, tuisque ex, inclute, chartis,
floriferis ut apes in saltibus omnia libant,
omnia nos itidem depascimur aurea dicta,
aurea, perpetua semper dignissima vita.
Nam simul ac ratio tua coepit vociferari
15 naturam rerum, divina mente coortam,
diffugiunt animi terrores, moenia mundi
discedunt, totum video per inane geri res.
Apparet divum numen sedesque quietae,
quas neque concutiunt venti, nec nubila nimbis
20 aspergunt, neque nix acri concreta pruina
cana cadens violat, semperque innubilus aether
integit, et large diffuso lumine ridet. (Libro III, vv.9-22) 7
Epicuro è lo scopritore e il padre della verità delle cose e della natura e la sua filosofia
è in grado di illuminare la mente degli uomini mettendo in fuga i terrori dell’animo
umano ed è capace di mostrare le radiose sedi degli dei, illuminate di luce diffusa e
caratterizzate da un’eterna primavera. All’interno del percorso proposto da Lucrezio la
dialettica luce/ombra assume i connotati di una lotta contro l’oscurità della morte, del
timore degli dei e dell’ignoranza che rende gli uomini schiavi. Questa lotta avviene
grazie alla filosofia di Epicuro, filosofo del sapere razionale, identificata nell’immagine
della luce. Secondo Lucrezio quindi, “gli uomini vivono nel buio dell’ignoranza e la luce
che può dissipare le tenebre è soltanto quella della conoscenza scientifica”.
Negli ultimi trent’anni del secolo XIX il sistema dell’economia capitalistica subì una
serie di trasformazioni di tale portata e di tale profondità che questo periodo fu
definito con il termine di seconda rivoluzione industriale. Si modificarono le tecniche
produttive, con la nascita di nuove branche dell’industria e cambiò l’economia nel suo
insieme. Negli anni fra il 1870 e il 1900 fecero la loro prima apparizione una serie di
strumenti, di macchine, di oggetti d’uso domestico che sarebbero poi diventati parte
integrante della nostra vita quotidiana (la lampadina, il motore a scoppio,
l’automobile, il telefono, ecc.). Alla base di questa nuova rivoluzione c’erano i
progressi realizzati dalle scienze fisiche e chimiche lungo tutto il corso dell’800, i quali
vennero messi a servizio dell’industria, grazie allo stretto rapporto creatosi in questo
periodo tra scienza e tecnologia e fra tecnologia e mondo della produzione. Nessun
settore produttivo rimase estraneo all’ondata di rinnovamento tecnologico, ma gli
sviluppi più interessanti si concentrarono in industrie particolarmente recenti, come
quella della chimica, quella della produzione dell’acciaio, assieme ad un altro settore
completamente nuovo come quello dell’elettricità. Quest’ultima, infatti, era oggetto di
studio da oltre un secolo. Fra il 1860 e il 1880, grazie alle scoperte quasi
contemporanee di alcuni scienziati, tra cui il tedesco Werner Ernest Siemens, lo
statunitense Edison, ecc., fu possibile realizzare congegni in grado di trasformare il
movimento di un corpo entro un campo magnetico in corrente elettrica, di