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la nascita dei numeri e il loro sviluppo, le loro caratteristiche in ambito matematico e la loro presenza nella vita quotidiana.
Materie trattate: storia antica, matematica, filosofia e biologia.
ordine due. I Maya non crearono venti simboli diversi, ma adottarono un altro sistema:
ogni numero era rappresentato da una combinazione di massimo quattro punti (le unità)
e tre sbarre (ognuna con valore di cinque unità, fig. 10).
Lo zero invece veniva rappresentato con vari glifi, tutti
somiglianti ad una conchiglia, ma la stranezza della
base 18 impediva la sua aggiunta alla destra di un
numero in caso di moltiplicazione per 20. Per questo
motivo il sistema Maya non era destinato a perdurare
nei secoli.
Greci Fig. 10: numeri Maya.
Intorno al XII secolo a.C., gli antichi Greci si stabilirono in vari territori bagnati dal Mar
Mediterraneo e dal Mar Egeo (Grecia, Italia meridionale, Turchia, isole del Mar Egeo).
Grazie alla loro forza e alla loro abilità nella navigazione conobbero un forte sviluppo
commerciale, e estesero le loro conoscenze scientifiche attraverso i frequenti viaggi in
Egitto e in Mesopotamia. Essi consideravano la matematica come la più nobile delle
attività, anche se Platone era solito scinderla nei due rami dell’aritmetica (scienza dei
numeri) e del puro calcolo, con quest’ultimo inferiore alla prima.
Il sistema di numerazione elaborato dai greci era
additivo decimale, e i simboli utilizzati per
indicare le cifre erano le lettere dell’alfabeto
classico, a cui se ne aggiungevano tre
dell’alfabeto arcaico (numerazione alfabetica). Le
stesse lettere indicavano sia le semplici cifre
dall’1 al 9, sia queste moltiplicate per 10, 100 e
1000: il numero 4000, ad esempio, veniva
rappresentato ponendo una specie di virgola o
apostrofo prima del 4 (fig. 11). Per le frazioni il
Fig. 11: numeri greci. metodo utilizzato era il medesimo, ma la virgola
veniva posta dopo il numero. Come è facilmente intuibile questo sistema generava spesso
confusione, soprattutto se i numeri contenevano più di una cifra. Ai greci fu inoltre
precluso il campo dell’algebra, perché non poterono mai tradurre delle proposizioni
verbali con dei semplici simboli. Infatti, “dato che le lettere dell’alfabeto indicavano i
numeri, l’utilizzo delle stesse lettere per designare quantità generiche avrebbe per forza
Number: the Language of Science).
di cose generato confusione” (Tobias Dantzig,
Indiani Fu l’India a offrirci l’ingegnoso metodo per poter esprimere tutti i numeri
attraverso dieci simboli, dove ogni simbolo riceveva
sia un valore legato alla sua posizione che un valore assoluto;
un’idea profonda e importante che ci appare ora così semplice
da farci ignorare il suo vero pregio. Marchese Simon de Laplace
Queste parole riassumono l’incredibile opera svolta dagli indiani, di cui purtroppo
conosciamo molto poco. Questo perché gli studiosi del mondo indiano si sono sempre
interessati agli aspetti culturali, religiosi e filosofici di questa cultura, tralasciando quelli
scientifici. In realtà gli Indiani avevano raggiunto uno stadio piuttosto avanzato in questo
settore, tanto da essere pronti ad affrontare “il profondo paradosso legato all’atto di
nominare l’innominabile”, ovvero utilizzare un simbolo per rappresentare lo zero, cosa di
cui né Egizi né Greci erano stati in grado. Prime tracce della matematica indiana, sotto
Veda,
forma di nozioni di geometria elementare, si trovano nei libri religiosi le cui parti più
antiche sembrano risalire al 1500 a.C.. Grazie ad una trascrizione simbolica dell’abaco essi
acquisirono un’abilità straordinaria nel calcolo, dando poi origine all’algebra e alla
trigonometria. I più eccelsi matematici indiani, ancora famosi, furono Brahmagupta,
Bhaskara e Aryabhata, che scoprì anche un’elegante dimostrazione del teorema di
Pitagora. Ma, ritornando alle parole iniziali, il contributo senza dubbio più importante
dato dagli Indiani alla matematica è stato il
sistema posizionale con dieci segni numerici,
tra cui lo zero, che ha raggiunto la sua forma
definitiva verso il VI secolo d.C.. In questo
modo qualsiasi numero poteva essere
rappresentato con estrema semplicità e
chiarezza, senza il rischio di ambiguità come
nelle numerazioni precedenti. Le cifre indiane
hanno conosciuto uno sviluppo in più fasi,
parallelo a quello della scrittura, dal III
secolo a.C. al XII d.C., dando infine origine
alle cifre moderne (fig. 12).
Citando Georges Ifrah, “la numerazione
posizionale indiana costituisce un sistema Fig. 12: famiglia delle cifre indiane.
perfetto. L’invenzione di quella numerazione,
che oggi è la nostra, rappresenta il gradino più alto della storia della notazione numerica;
da quel momento non era più possibile nessuna ulteriore scoperta in quel settore”.
Arabi
Ma se le cifre moderne sono state inventate dagli Indiani, come mai si sente sempre
parlare di numeri arabi? La storia, in effetti, è piuttosto interessante.
“Tutto ebbe inizio nell’anno 773, quando, alla fine di un viaggio interminabile, una
Madinat al
carovana carica di merci, che veniva dalle Indie, si presentò alle porte della
Salam, la città della pace: Baghdad.” In questa carovana era contenuto un tesoro: il
Siddhanta, un trattato di astronomia scritto un secolo prima da Brahmagupta, in cui erano
contenute le cifre indiane, compreso lo zero. Il califfo Al-Mansur si rese subito conto del
valore inestimabile dell’opera, così ne ordinò la traduzione; volle inoltre che fosse scritto
un altro libro, in modo da diffondere le
meraviglie della numerazione posizionale, lo
zero e i metodi di calcolo indiani. A questo
provvide Muhammad ibn Musa Al-Khuwarizmi, Fig. 13: cifre arabe moderne, di tipo orientale.
uno dei più celebri matematici arabi, con il
Libro dell’addizione e della sottrazione secondo
il calcolo degli indiani Il libro della
e
restaurazione e dell’equilibrio (dal cui titolo arabo, Fig. 14: cifre moderne.
Hisab Al-jabr wa ‘l muqabalah, ha avuto origine il termine “algebra”). Lo stesso nome di Al-
Khuwarizmi, tradotto in latino, è diventato Alchoarismi, poi Algorismi, Algorismus,
Algorismo e infine Algoritmo, dando il nome all’insieme dei passi da compiere per
risolvere un problema.
Da allora le cifre indiane hanno fatto un incredibile viaggio, passando per il medio-
Oriente, l’Africa del Nord e la Spagna moresca. Così si finì per dimenticare che quel
calcolo che si andava diffondendo in tutto il mondo era opera degli Indiani, e ci si ricordò
solo di coloro che lo avevano trasmesso.
Il sistema dei numeri
Numeri reali
Non interi Interi
Irrazionali Razionali Dispari Pari
Algebrici Primi Non primi Primi
Trascendenti Non primi
Complessi
Immaginari +
Reali Immaginari
x
√-1 Reali
I numeri reali
Numeri interi. Sono i numeri più semplici, i primi con cui l’uomo ha avuto a che fare. In
realtà, i primi in assoluto sono stati gli interi naturali, suddivisione degli interi che nello
schema ho omesso. Gli interi naturali si chiamano così perché servono per rappresentare
quantità di oggetti presenti in natura, ad esempio mele e pecore. Sono i numeri di cui, senza
saperlo, si sono serviti i nostri antenati nell’incisione delle tacche sulle ossa; sono anche i
numeri che abbiamo appreso in tenera età, ovvero 1, 2, 3, 4 etc. (la teoria dei numeri nasce
proprio occupandosi dei numeri naturali.) Oltre agli interi naturali ci sono gli interi
relativi, la cui particolarità è l’essere dotati di un segno (+ o -); quando si parla di questi
numeri bisogna tenere conto dello 0, unico numero senza segno che separa i negativi dai
positivi.
Numeri pari. La più semplice suddivisione dei numeri interi, quella tra pari e dispari, ci
sembra oggi così naturale da credere che sia sempre esistita. In realtà fu introdotta da
Pitagora, portato alla classificazione dalla nozione di ordine e di cosmo, e all’epoca fu una
grande novità. Come tutti sanno, questa classificazione nasce dalla divisione più semplice,
quella per due. Tutti i numeri pari sono infatti divisibili per due, per cui spesso vengono
indicati con 2n, mentre i numeri dispari non sono divisibili per due, e vengono quindi
indicati con 2n + 1. La parità si conserva nella moltiplicazione, ma non nell’addizione:
infatti mentre il prodotto di due numeri dispari è sempre dispari e quello tra due numeri
pari è sempre pari, questo non si verifica con la somma.
Numeri primi. Si definiscono così quei numeri che non hanno divisori, eccetto se stessi e
l’unità. Ovviamente, tra i numeri pari solo il 2 è primo, dato che tutti gli altri hanno
sicuramente un divisore, il 2. Ogni numero intero o è un numero primo, oppure deriva dal
prodotto di più numeri primi (è composto): per questo motivo nella teoria dei numeri i
primi sono di fondamentale importanza. A questo punto una domanda sorge spontanea... i
numeri primi sono infiniti? La risposta è sì, esistono infiniti numeri primi, anche se andando
avanti nelle successione dei numeri naturali se ne incontrano sempre più raramente. La
dimostrazione,data da Euclide, procede “per assurdo”: si parte ipotizzando che il teorema
sia falso e si arriva ad una conclusione contraddittoria, dunque il teorema è vero. Altra
questione sollevata da questi numeri è se siano possibili più tipi diversi di scomposizione in
fattori primi, ovvero se ogni numero sia il prodotto di più serie diverse di numeri primi.
Anche in questo caso si è pervenuti ad una risposta (le dimostrazioni sono due), che ha però
esito negativo: esiste uno e un solo modo per scomporre un certo numero in fattori primi.
Carl Friedrich Gauss (1777-1855, fig. 15), uno dei principali matematici di tutti i tempi, cercò
n,
di capire in che modo i primi fossero distribuiti tra i numeri interi. Per ogni numero reale
A A /n
si può indicare con il numero di primi in esso contenuti; il rapporto esprime proprio
n n
n
la “densità” dei numeri primi tra i primi numeri interi. Dopo una verifica empirica
Gauss formulò l’ipotesi che questo rapporto sia
asintoticamente uguale a 1/logn, ovvero che il rapporto tra
A /n n
e 1/logn si avvicini a 1 sempre di più per valori di
n
sempre crescenti. La complessa dimostrazione di questo
teorema fu data più di cento anni dopo, nel 1896, da
Hadamard e de la Vallée Poussin. Oltre a questi problemi
in seguito risolti, permangono molte altre ipotesi
confermate da tutte le verifiche empiriche, ma di cui non è
ancora stata data una dimostrazione vera e propria. Tra
queste vi è la famosa congettura di Goldbach (il termine
“congettura” viene dato ad una affermazione di cui tutti
Fig. 15: Carl Friedrich Gauss. sono convinti, ma che nessuno riesce a dimostrare), il
quale nel 1742 mandò a Eulero una lettera in cui affermava che ogni numero pari è la somma
di due numeri primi. Sono passati due secoli e mezzo, e non si sa ancora se questa
affermazione sia vera oppure no. L’ultima particolarità dei numeri primi riguarda i gemelli,
infatti si definiscono proprio così due primi la cui differenza è uguale a 2, ad esempio 17 e 19,
perché non potrebbero essere più vicini.
Numeri non interi. Dividendo un numero naturale per un altro numero naturale in genere si
ottiene un numero con la virgola, quindi non intero (se il primo numero è un multiplo
del secondo si ottiene ancora un numero naturale). Questo numero può presentare un
numero limitato di cifre decimali (0,123456789) oppure un numero illimitato (0,45666666...).
Se ne presenta un numero illimitato, può essere a sua volta un numero razionale oppure un
irrazionale (in realtà anche i numeri con un numero limitato di cifre decimali sono
razionali, in quanto possono sempre essere scritti come una frazione).
Numeri razionali. Quando dobbiamo misurare qualcosa, sia essa la lunghezza di una
mensola o il nostro peso, scegliamo una unità di misura, per esempio il metro o il
chilogrammo, e ad essa attribuiamo il valore 1. Raramente, nel momento della misura, la
nostra quantità di partenza coincide perfettamente con un multiplo dell’unità di misura
scelta; molto più spesso si trova in posizione intermedia tra un multiplo e il successivo.
Ecco allora che i numeri naturali si rivelano insufficienti, in quanto non sono in grado di
fornirci una misura precisa, e si rende necessaria la suddivisione dell’unità di misura in un
n