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Sintesi

Estratto del documento

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I primi calendari segnavano il trascorrere del tempo, non con il Sole e le stagioni,

bensì con l’alternarsi delle “Lune”. La regolare celebrazione di novilunio e

plenilunio rappresentò per molti popoli un riferimento cardine per il calcolo del

tempo: esistono calendari lunari, basati sulle lunazioni (calendario maomettano), e

altri lunisolari, che cercano di far coincidere i mesi con le lunazioni e le stagioni

solari (calendario ebraico). Ecco perché, nelle società umane di tutto il mondo, la

Luna fu sempre considerata come un personaggio divino: adorata da molti popoli

antichi, a Babilonia era chiamata Sin, in Egitto era nota come Thot, e in Grecia come

Ecate, rappresentata con tre teste, una di leone, una di cavallo ed una di cane.

Nella sfera religiosa l’importanza della Luna è legata soprattutto ai mutamenti

periodici del suo aspetto e dalle connessioni stabilite tra essa e il mondo animale e

vegetale. Il periodico comparire e scomparire dell’astro viene spesso assimilato ad

una vicenda di morte e rinascita; più in particolare, dal contrasto che si crea

osservando che l’uomo, una volta morto, non rinasce, si attribuisce alla Luna

l’immagine della morte.

Secondo molti miti, soprattutto africani, nell’antichità le condizioni umane vennero

radicalmente mutate da un messaggio mandato dalla Luna per mezzo di un animale

(una lepre o una lucertola): esso avrebbe dovuto annunciare agli uomini che essi

sarebbero morti e risorti ciclicamente come la Luna, ma purtroppo per errore

annunciò loro il contrario e da quel momento gli uomini furono irrevocabilmente

soggetti alla morte. Addirittura nelle religioni della Polinesia e della Grecia antica si

credeva che la Luna fosse la sede dei morti.

Molte culture stabiliscono una relazione tra ciclo lunare e ciclo mestruale, entrambi

di 28 giorni, e successivamente una stretta relazione con la sfera sessuale: a volte la

Luna è un essere maschile (come in Sud America, Polinesia ed Indonesia), altre volte

è un essere femminile (Nord America e Africa).

Nelle culture primitive e anche nella moderna cultura europea si trova una valenza

vegetale della Luna, messa in relazione alla crescita della piante e quindi alla

fecondità. L’eclissi lunare risulta essere fondamentale per la spiegazione di alcuni

miti presenti nelle culture primitive: spesso il fenomeno è spiegato con il fatto che un

animale o un essere mitico tenta di divorare l’astro (Groenlandia, Nord e Centro

America, Africa) e in genere si deve reagire provocando rumori per allontanare

l’essere che minaccia la Luna.

Si può poi ricordare la divinità greca Selene, personificazione della Luna in seguito

identificata con Artemide, che pure assunse un carattere lunare. In Egitto tale

carattere era attribuito a Iside (che in età ellenistica diventò Selene) e anche in questo

caso l’immagine della Luna è collegata all’idea di morte e rinascita: il culto di Iside

- 5 -

era un culto misterico che prometteva la resurrezione dopo la morte (secondo il mito

la dea aveva raccolto il corpo smembrato del marito Osiride e l’aveva fatto rivivere).

Poi i Romani mutarono i nomi della divinità lunare greca in Diana, Trivia e Lucina

(da cui poi deriverà Luna), e sostituirono agli antichi sacrifici umani celebrati in

onore della dea della notte, con l’usanza di ululare lungamente nei trivii:

“Nocturnisque Ecate triviis ululata per Urbem”.

Probabilmente è da quest’usanza che nacque la leggenda dell’uomo-lupo, detto

anche licantropo: secondo una credenza diffusa il licantropo (dal greco lykos, che

significa lupo, e anthropos, uomo) o lupo mannaro (dal latino lupus hominarius, che

significa lupo simile all’uomo) era un uomo affetto da una malattia di origine

sconosciuta che assumeva in certi periodi le sembianze di un lupo. Si riteneva che la

peluria del corpo potesse aumentare in modo vistoso e che unghie e denti

assumessero la forma tipica di quelli di un lupo. In queste condizioni il malato era

indotto a vagare per i boschi nascondendosi dagli altri uomini e aggredendo i poveri

sfortunati che incontrava sul suo cammino. Terminata la crisi l’uomo tornava alla

normalità, conducendo una vita normale e non ricordando nulla di ciò che gli era

accaduto. La condizione di lupo mannaro quindi non era considerata una

condizione stabile e permanente, ma temporanea e scatenata da fattori esterni, il più

significativo dei quali è la notte di Luna piena.

L a t i n

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L’autore latino Petronio, durante la stesura del Satyricon, volle inserire il racconto

intitolato Il lupo mannaro all’interno della narrazione:

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Questa storia di licantropia è solo una delle molteplici storie (Il ragazzo di Pergamo,

La matrona di Efeso,ecc...) inserite ed incastonate all'interno del romanzo.

- I l S a t y r

i c

o n -

Pochi capolavori della letteratura mondiale sono segnati da ombre così molteplici e

sovrapposte: del Satyricon sono incerti l’autore, la data di composizione, il titolo e il

significato del titolo, l’estensione originaria, la trama, per non parlare di questioni

meno concrete ma importanti, quali il genere letterario in cui si inserisce e le

motivazioni per cui quest’opera per molti versi eccentrica venne concepita e

pubblicata.

L a t r a

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La vicenda è narrata in prima persona dal protagonista, Encolpio, che racconta una

serie indiavolata di avventure e peripezie, sullo sfondo di un viaggio compiuto

insieme a Gitone, il giovane di cui è innamorato. Ad avvicinarsi al protagonista

dopo varie avventure c’è prima Ascilto e poi Eumolpo, un poeta vagabondo che

presto si innamora di Gitone: quest’ultimo, insieme ad Encolpio e ad Eumolpo

costituirà un nuovo terzetto amoroso. Nell’ultima parte Encolpio tenta di recuperare

la virilità perduta a causa dell’ira del dio Priapo. L’ultima fase del racconto è per noi

più difficile da seguire, per lo stato lacunoso del testo di Petronio.

- 7 -

A u t

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Nessun autore antico ci dice chi fosse il misterioso Petronius Arbiter autore, secondo

la tradizione manoscritta, del Satyricon. A giudicare dalla ridotta traduzione

indiretta del Satyricon, l’opera deve essere stata composta entro la fine del II secolo

d.C., ma niente di più preciso. Se l’autore del Satyricon è il personaggio

rappresentato da Tacito in Annales, 16,17 s. (cosa che oggi appare altamente

probabile), si tratta di T. Petronius Niger, console verso il 62, suicida per volontà di

Nerone nel 66 d.C. D’altra parte, Tacito, che non parla del Satyricon, ci presenta nel

XVI libro degli Annali uno straordinario ritratto di questo personaggio, di nome

Petronio, e considerato da Nerone il giudice per eccellenza dello chic e della

raffinatezza: il suo elegantiae arbiter. L’identità di questo Petronio tacitiano con il

Petronio Arbitro autore del Satyricon è oggi accettata dalla grande maggioranza

degli interpreti, anche se non poggia in realtà su alcuna testimonianza che renda

esplicita l’identificazione.

Altro punto controverso fra gli studiosi è il genere entro cui si può iscrivere il

Satyricon: pare evidente un suo legame con la satira menippea, con la quale

condivide tra l'altro la commistione di prosa e poesia; se ne distacca tuttavia per la

maggiore complessità narrativa. Altri studiosi, come Klebs, vedono nel Satyricon

soprattutto una parodia dell'Odissea omerica; quest’ipotesi tuttavia illumina una

caratteristica del Satyricon, l’abbassamento del mito a livelli parodici, ma non spiega

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