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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2008

Titolo: L'india come esempio di sincretismo religioso

Autore: Francesca Paradiso

Descrizione: un viaggio verso una terra lontana spesso nasconde il desiderio di esplorazione di se stessi. uno specchio di religioni, anime e culti di una terra apparentemente distante, ma oggi a me così vicina. poiché è spesso custodita nell'altro, la chi

Materie trattate: filosofia, tedesco, francese, storia, inglese, latino, italiano

Area: umanistica

Sommario: Introduzione " Due fatti appaiono in prima linea nel concetto nostro di nazione agli occhi degli orientali: il campo ristretto della nazione e i suoi fini egoistici e materiali. L'Asia in generale e l'India in specie sono la Patria delle razze e l'Asia ha imparato da secoli che solo le religioni possono unificare gli animi." (Rabindranath Tagore â€" Aspetti e problemi della civiltà  indiana) PerchE' "sincretismo religioso"? Secondo quanto hanno rilevato gli studiosi di indologia, se c'è un popolo la cui cultura spirituale sia subordinata al pensiero religioso è proprio quello indiano. Così persino la più astratta delle scienze, la matematica, ubbidisce presso costoro alle esigenze della loro religione. La stessa cosa dicasi per la fisica e soprattutto per la filosofia. Per l'India si può allora parlare di sincretismo religioso, proprio per come un'immensa varietà  di culti riescano a convivere armoniosamente, abbracciati sotto una stessa bandiera. Ma per religione in India non si intende esclusivamente un credo spirituale, bensì un modus operandi, la scelta incondizionata di uno stile di vita che accompagna l'individuo in ogni suo passo, per tutto il suo cammino: ne costituisce lo sfondo del pensiero e della sua esistenza. Le religioni in India sono molteplici e fortemente differenti l'una dall'altra. Ciò nonostante tra ognuna di esse possono essere riscontrati delle analogie, proprio come in una famiglia fratelli differenti per carattere restano eternamente uniti nel sangue.

Estratto del documento

Introduzione

“ Due fatti appaiono in prima linea nel concetto nostro di nazione agli

occhi degli orientali: il campo ristretto della nazione e i suoi fini egoistici e

materiali. L’Asia in generale e l’India in specie sono la Patria delle razze

e l’Asia ha imparato da secoli che solo le religioni possono unificare gli

animi.”

(

Rabindranath Tagore – Aspetti e problemi della civiltà indiana)

PerchE’ “sincretismo religioso”?

Secondo quanto hanno rilevato gli studiosi di indologia, se c’è un popolo la cui

cultura spirituale sia subordinata al pensiero religioso è proprio quello indiano.

Così persino la più astratta delle scienze, la matematica, ubbidisce presso costoro

alle esigenze della loro religione.

La stessa cosa dicasi per la fisica e soprattutto per la filosofia.

Per l’India si può allora parlare di sincretismo religioso, proprio per come

un’immensa varietà di culti riescano a convivere armoniosamente, abbracciati

sotto una stessa bandiera.

Ma per religione in India non si intende esclusivamente un credo spirituale, bensì

un modus operandi, la scelta incondizionata di uno stile di vita che accompagna

l’individuo in ogni suo passo, per tutto il suo cammino: ne costituisce lo sfondo

del pensiero e della sua esistenza.

Le religioni in India sono molteplici e

fortemente differenti l’una dall’altra.

Ciò nonostante tra ognuna di esse

possono essere riscontrati delle

analogie, proprio come in una famiglia

fratelli differenti per carattere restano

eternamente uniti nel sangue.

Credo primo per anzianità e numero di

seguaci è l’Induismo. 4

INDUISMO

Bagnarsi nelle acque del Gange discendendo dai gradini (ghats) di Uttar Pradesh è uno

dei tanti riti sacri induisti.

Con il termine Induismo si indica convenzionalmente l’intera esperienza religiosa

degli indiani nel suo svolgimento storico fin dalle origini (fissate

approssimativamente intorno al 1500 a.C.). L’accezione scientifica del termine,

tuttavia, denota come Induismo soltanto la religione che, praticata a partire dal VI

secolo a.C., costituisce l’evoluzione di due fasi anteriori dette rispettivamente

Vedismo (dalle origini all’800 ca. a.C., dal nome dei libri sacri, i Veda) , e

Brahmanesimo, (dal nome degli appartenenti alla casta sacerdotale, i brahmani).

Vedismo

Il culto dei Veda trae fondamento da una visione

panteistica, improntata sull’esistenza di innumerevoli

spiriti risiedenti in ogni forma della natura.

Il più importante dio vedico è AGNI, il fuoco, ma il più

popolare è INDRA, signore del tuono e della tempesta,

che porta con se la pioggia preziosa.

Agni : Dio del fuoco. Egli viene raffigurato con 3 gambe, 7 lingue, 7

mani e 2 facce. I due volti corrispondono ai suoi poteri benefici e 5

malvagi. Filosofia:

il velo di maya”

- “ A. Schopenhauer -

Immagine induista di

Maya e del suo velo

ingannatore

माया,

Con il termine Maya (in sanscrito si intendono diversi concetti

māyā

)

metafisici e gnoseologici propri della religione e della cultura induista. Spesso tale

nomenclatura viene associata semplicemente all'espressione Velo di Maya, coniata

da Arthur Schopenhauer nel suo Il mondo come volontà e rappresentazione.

Si tratta di un «velo» metafisico ed illusorio che, separando gli esseri viventi dalla

conoscenza della realtà, impedisce loro di ottenere

moksha, la liberazione spirituale, cosicché essi

rimangono perennemente imprigionati nel samsara, il

continuo ciclo della reincarnazione. Nelle Upanishad

antiche è ben spiegato come le rappresentazioni

fenomeniche, cioè Maya, siano originate da Tempo,

Spazio e Causalità. Consapevoli di ciò, i saggi indù

avevano già trovato la via per squarciarne il velo.

Secondo il credo induista Maya è altresì la madre di Gautama Buddha, da qui

l’evidente somiglianza iconografica con l’idolo Buddista. 6

Sempre nelle Upanishad, Maya è al contempo identificata come l’attività divina

mediante il quale l’Essere supremo (Brahman) può far sorgere e scomparire le

cose, per mezzo del suo potere illusionante.

Similmente alla metafora della caverna di Platone, l'uomo indù (e quindi l'intera

umanità) è presentato come un individuo i cui occhi sono coperti dalla nascita da

un velo, liberandosi dal quale l'anima si risveglierà dal letargo conoscitivo (o

avidyã, ignoranza metafisica) per riuscire finalmente a contemplare la vera essenza

della realtà.

Questo precetto religioso non sarà largamente modificato nella postera filosofia

di Schopenhauer, nella quale appaiono evidenti espliciti riferimenti. Anche per il

filosofo, il fenomeno è infatti l’illusione che

vela la realtà delle cose nella loro essenza

autentica.

“E’ Maya, il velo ingannatore, che avvolge

il volto dei mortali e fa loro vedere un mondo

del quale non può dirsi né che esista, né che

non esista; perché ella rassomiglia al sogno,

rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia,

che il pellegrino da lontano scambia per

acqua; o anche rassomiglia alla corda

gettata a terra, che egli prende per un

serpente.” Arthur Schopenhauer

Da ciò si capisce che per Schopenhauer, la realtà visibile è apparenza o per

l'appunto, illusione. Nulla, a ben guardare, ci garantisce che quanto esista o

accada non sia solo un sogno. Sulla scia di questi pensieri il filosofo scriverà

infatti:

la vita e i sogni sono pagine dello stesso libro”.

La dottrina platonica delle idee e quella kantiana della distinzione tra mondo

fenomenico e mondo noumenico, convergono quindi, a parere di Schopenhauer,

verso un'unica verità fondamentale: il mondo che noi conosciamo tramite

7

l'esperienza sensibile e la conoscenza intellettuale-razionale è pura illusione e ci

rimanda necessariamente a qualche cosa che sta al di là di esso.

Ma alla prospettiva dualistica dell’Illuminismo, egli apporta però sostanziali

correzioni. Il fenomeno è infatti visto come sinonimo di apparenza e non di

parvenza, che comporta il celarsi, al di sotto di una realtà ingannevole, di una

verità attendibile e raggiungibile. Lo stesso noumeno (la cosa in sé), viene per

Schopenhauer risolto in un concetto limite, indispensabile per la definizione

teorica della nozione stessa di fenomeno.

L’essenza della realtà, noumeno, che si nasconde dietro il fenomeno, per Kant

restava quindi inconoscibile. Schopenhauer supera questa visione, presentando la

propria teoria come soluzione al divieto limite del maestro predecessore. Per il

filosofo la verità può essere allora raggiunta. Anche per lui è possibile (come per

gli induisti), squarciare il velo di Maya.

Al di là del sogno e del fenomeno di matrice illuministico - dualistica,

Schopenhauer, analogamente alla dottrina induista è quindi consapevole

dell’esistenza di una verità oltre l’illusione, sulla quale l’umanità non può fare a

meno di interrogarsi. Il desiderio di una tale scoperta è inevitabilmente propria di

ogni individuo, poiché imposta dalla sua stessa natura. L’uomo è infatti un

animale metafisico che, a differenza degli altri esseri viventi, è portato a stupirsi

della propria esistenza e ad interrogarsi sull’essenza ultima della vita.

Ma come avviene ciò?

Se l’uomo fosse soltanto conoscenza intellettuale e razionale non potrebbe mai

uscire dal mondo fenomenico, poiché resterebbe imprigionato nelle forme a

priori dello spazio, del tempo e della causalità. Oltre ad essere un soggetto

conoscente, l'uomo è però anche soggetto corporeo; ed il suo corpo ha una

duplice valenza: se da un lato esso è soltanto un oggetto tra gli oggetti, così da

non poter sfuggire alle leggi della rappresentazione, dall’ altro è però anche la

sede in cui si manifesta una forza assolutamente irriducibile alla rappresentazione,

una forza primigenia espressione di volontà . Tramite l'esperienza corporea

l'uomo può così squarciare il velo di Maya e giungere alla cosa in sé, a quel

fondamento che sta alla base di ogni manifestazione fenomenica della realtà.

I caratteri fondamentali di questa volontà noumenica sono l'unità e l'irrazionalità

(infatti la ragione esiste solamente nel mondo della rappresentazione).

La volontà è altresì: 8

una poiché, non essendo determinata dalle forme a priori della conoscenza,

 sfugge alle condizioni dello spazio e del tempo e quindi al principio di

individuazione: solo il fenomeno si rifrange in una pluralità di individui,

mentre la cosa in sé è unica.

Essa è altresì un'aspirazione senza fine e senza scopo,

 una forza cieca

 inconscia,

 puro istinto,

 pura volontà di vivere .

 9

Bramanesimo

Le rive del Gange a Benares, la capitale religiosa dell’India Induista. Ogni anno

migliaia di persone vengono qui a morire, nella fede che, se le loro ceneri saranno gettate

nel fiume, sarà loro risparmiata la reincarnazione.

La religione acquistò con l’andar del tempo sempre maggiore importanza nella

vita familiare e pubblica. Ciò fu possibile grazie all’azione dei sacerdoti brahmani

che diffusero il Brahmanesimo, assicurando cosi al loro credo un ruolo sempre

più predominante nella scena pubblica nazionale fino ai giorni nostri.

Al culto delle forze della natura il Brahma,Shiv

brahmanesimo sostituisce quello della Trimurti a e Vishnu

(tre corpi), composta da Brahma, il supremo

Dio creatore, da Vishnù (il Dio che conserva la

vita combattendo i demoni) e da Shiva, il Dio

della distruzione e della morte. Analogamente

alla Trinità Cristiana, ognuna di esse è intesa

come manifestazione dell’Assoluto Universale,

che attribuisce alla divinità un triplice aspetto

di creatrice, continuatrice e riassorbitrice in se

della vita. 10

In questi termini l’Induismo può essere allora inteso come una religione nella

quale le molte divinità convivono sia con l’idea di un Dio Sacro Assoluto, sia con

una sua visione impersonale ed omnipervadente. Tale prospettiva spirituale funge

da base filosofica all’articolata concezione della vita pubblica indiana, in cui ogni

singolo è destinato per tutta la vita a recitare un determinato ruolo imposto dalla

società.

La ruota del Samsara Thanka In base alla dottrina del samsara , infatti, ogni uomo

è destinato al momento della morte a reincarnarsi in

un essere di qualità superiore o inferiore rispetto

all’esistenza appena trascorsa, secondo i meriti

accumulati nel precedente corso (il karma). La vita

diviene così per ciascuno un premio o un castigo, che

deve essere accettato passivamente, senza alcun tipo

di esitazione o speranza di redenzione.

Tale credenza religiosa

funge quindi da

spiegazione alla diversa

sorte degli uomini: gli

uni sfortunati, gli altri

felici; gli uni ricchi, gli altri poveri.

Costantemente in balia degli eventi, per il credo

induista, è possibile rinascere anche in un animale,

e da ciò deriva la proibizione di uccidere e di

mangiare carne (lo stesso Gandhi era vegetariano).

Questo atteggiamento fornisce altresì la

giustificazione filosofica alla divisione della società

in classi (varna), cui si appartiene per nascita senza

alcuna possibilità di fuga. la danza cosmica di Shiva 11

Varna

Divisione in

“Dar da bere ad un fuori casta senza infrangere le regole di casta”

Tratta da: “Fhe Editor," June 2003, National Geographic Magazine

Queste, note in Occidente con il termine portoghese di caste, costituiscono le

basi di un’organizzazione sociale fondata su un rigido principio d’ordine.

L’origine storica di tale divisione risalirebbe all’invasione dell’India da parte degli

Ariani, popolazione seminomade indo-europea.

Costoro erano alti e biondi e fieri delle loro caratteristiche razziali, tanto da voler

rimanere separati dal resto della popolazione.

Ecco allora che all’origine di questa divisione vi è stato il desiderio dei popoli

vincitori, poco numerosi rispetto ai vinti, di preservare la purezza della razza

evitando ogni tipo di rapporto con gli abitanti locali, a cominciare dai matrimoni

misti.

Tale spiegazione pare confermata anche dal primitivo significato della parola

varna che significava, appunto, colore. 12

Ovviamente, i vincitori si attribuirono un ruolo di assoluta preminenza,

elevandosi a membri delle tre caste superiori (rispettivamente come sacerdoti

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