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Sintesi
Storia dell'arte: Bernini (dialettica con avanguardie);

Storia: Totalitarismo - Fascismo (romanità fascista e architettura);

Italiano: Gabriele D'Annunzio e Giosuè Carducci;
Estratto del documento

l’opera in questione è stilisticamente ineccepibile, la sua smisuratezza non sarà formale, ma

storica.

Si comprende come l’idea di rifare una statua secondo le regole del Bernini non sia sbagliato,

ma innegabilmente Kitsch per l’epoca alla quale apparteniamo.

Un altro elemento per definire il cattivo gusto nell’arte è la predominanza nella volontà del

creatore di smuovere la coscienza dello spettatore verso un sentimento già preconfezionato

dall’artista stesso. L’intento del Kitsch è quello di provocare un effetto passionale invece di

consentire una contemplazione disinteressata.

Quando la prefabbricazione e l’imposizione dell’effetto prendono il sopravvento ecco che ci

si affaccia all’esperienza Kitsch.

Chiariamo che trasmettere dei sentimenti non è di per sé un effetto negativo, il cattivo gusto lo

si ha quando l’opera tende continuamente a suggerire l’idea che, godendo di questi effetti, il

lettore stia perfezionando un’esperienza estetica privilegiata. Il Kitsch si vende quindi come

arte senza riserve.

Indubbiamente esiste un doppio filo che collega il Kitsch alla cultura di consumo. Questa

pseudo arte prospera grazie a persone che desiderano godere degli effetti che vengono loro

proposti, anziché impegnarsi in un’opera di fruizione estetica complessa e responsabile.

Questa formatività fine a se stessa tende a post porre le ragione della moda a quelle dell’arte,

dalla quale si crede bisogna solo trarre delle impressioni esteticamente gradevoli oppure

possederla come status-symbol.

Si delinea un nuovo fenomeno, quello che il sociologo americano Dwight MacDonald definisce

Midcult, cioè una cultura che si pone come innovativa, ma che in realtà altro non è se non una

parodia, una depauperazione della cultura aggiornata. Il Midcult sfrutta le scoperte

dell’avanguardia banalizzandole e riducendole a elementi di consumo.

Se il Kitsch è collegato alla cultura di consumo, non si può scindere anche dalla cultura di

massa. Se non altro l’estetica Kitsch è tale proprio perché deve essere compresa da tutti, ciò

denota un appiattimento culturale, dal quale escono sono modelli consunti e già noti ove non

vi è spazio per l’innovazione.

L’ avvento di questa cultura di massa ha i suoi lati positivi e negativi.

Come contro possiamo affermare che essendo i mass media all’interno di un circuito

commerciale sono soggetti alla legge della domanda e dell’offerta, dando al pubblico ciò che

vuole, o peggio, suggeriscono al pubblico cosa deve volere.

Imponendo simboli e miti di semplice universalità riducono al minimo l’individualità, e

diventano una continua ripetizione di ciò che già pensiamo. Inevitabilmente impongono delle

medie di gusto, distruggendo le caratteristiche proprie di un gruppo culturale, questo

livellamento delle coscienze porta ad una visione passiva e acritica del mondo.

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A favore della cultura di massa possiamo portare il fatto che non ha preso il posto di una

fantomatica cultura superiore, ma ha diffuso il suo verbo alle persone che prima non potevano

accedervi. Quello che prima era appannaggio solo delle classi più elevate ora è di pubblico

dominio.

È innegabile che questo forsennato bombardamento di notizie da parte dei mass media si

possa risolvere anche in una formazione, seppur superficiale.

Anche se a volte i prodotti di intrattenimento non sono idilliaci, si può ribattere che da quando

il mondo è mondo le folle hanno sempre amato i circenses. Quello che prima erano i duelli dei

gladiatori ora sono i reality.

La verità è che la problematica è mal posta, non bisogna interrogarsi sulla correttezza

dell’esistenza o meno dei mass media in quanto inevitabilmente essi appartengono ad un

mondo globalizzato.

Bisogna invece chiedersi come sia possibile che questi strumenti possano veicolare dei valori

culturali universali. Per non essere solo cibo culturale per le masse creato da un élite di

produttori, ma che sia cultura esercitata a livello di tutti i cittadini. Inevitabilmente mediata da

personalità di spicco, ma che il rapporto da paternalistico, tra produttore e consumatore, si

muti in dialettico: cosicché gli uni interpretino le esigenze degli altri.

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Kitsch e arte

Si comprende come il Kitsch sia intimamente connesso alle arti figurative. Abbiamo già fatto un

esempio di come un’opera artistica possa cadere nel cattivo gusto per la sua smisuratezza storica.

Analizziamo ora il caso di quando si verifichi la prefabbricazione e l’imposizione dell’effetto da

parte dell’artista sul pubblico fruitore. Un esempio – citato nel saggio La

struttura del cattivo gusto di

Umberto Eco - potrebbe essere

il monumento dedicato alla

beata Ludovica Albertoni nella

cappella Altieri a Roma di Gian

Lorenzo Bernini, l’opera appare

perfettamente in linea con la

sensibilità religiosa del tempo,

infatti la rappresentazione di

esperienze estatiche è

caratteristica di tutto il periodo

barocco. Il monumento è

ricavato arretrando

semplicemente la parete di fondo, in modo da creare una concentrazione spaziale. L’ imboccatura

della cappella crea l’effetto di un palcoscenico, studiato per un punto di vista unico, sul quale la

beata sembra partecipare allo spazio dello spettatore, ma al contempo risulta tanto lontana da

sembrare inavvicinabile. Anche grazie all’utilizzo dei marmi policromi e alla luce direzionata, la cui

fonte è celata all’ osservatore, si delinea una situazione quasi teatrale, in un processo di

unificazione delle arti nel quale la linea di demarcazione fra pittura, scultura e architettura si

assottiglia fino a fondersi.

Per rappresentare questa teatralità l’artista preferisce rappresentare la beata negli ultimi istanti

della sua vita, nel pieno dell’ esperienza estatica. In questo breve momento ella è agonizzante sul

letto di morte, il busto sorretto da cuscini e il capo rivolto all’indietro; la mimica facciale e la mano

sul petto suggeriscono il sensuale, al limite dell’ appassionato, abbandono estatico. L’ultimo

fremito di vita è annichilito dalla marcata ombra dei panneggi, queste grandi pieghe sono assunte

a simbolo della prigione del corpo che limita l’esperienza soprannaturale dell’anima.

Un’altra opera, sempre del Bernini, che ha come soggetto l’esperienza mistica è l’ “Estasi di Santa

Teresa”. Essa si trova nella cappella della famiglia Cornaro nella chiesa di Santa Maria della Vittoria

a Roma. Anche in questa opera il Bernini fonde intimamente l’architettura alla scultura. La Santa è

rappresentata su di una nuvola nell’ atto dell’ esperienza estatica, il corpo ed il viso abbandonati al

sensuale piacere. Un ruolo fondamentale è giocato della luce naturale, che penetra attraverso una

finestrella nascosta creando dei forti chiaro scuri sui voluminosi panneggi della Santa. Il cherubino

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che è colto nell’atto di trafiggere il cuore della Santa con un dardo, è simbolo del penetrante

amore di Dio, il cui splendore divino è rappresentato attraverso dei raggi d’oro che discendono

dalla volta stellata dipinta sulla volta della cappella. Un elemento interessante è dato dalla

rappresentazione, sulle pareti laterali, di alcuni palchetti dai quali si affacciano i membri della

famiglia committente, i quali appaiono come veri e propri spettatori del mirabile e teatrale

spettacolo.

Queste due opere dello stesso autore sono due esempi calzanti di quell’ imposizione dell’effetto di

cui abbiamo sopra detto. Davanti ad essi lo spettatore non deve comprenderne il significato, deve

solamente lasciarsi trasportare dalla fortissima, e a volte esagerata, teatralità della scena.

Proprio su questa facile ed immediata accessibilità dei contenuti si gioca la partita del Kitsch come

simulacro della vera cultura, interessato solo a simulare il sapore della grande arte, diluendo gli

esiti della cultura avanguardistica per darli in pasto alle masse con metodologia industriale. La

fatica e lo sforzo di comprensione richiesti dall’arte vengono accantonati a favore di sensazioni

ingannevoli.

Si oppone a questo sentimento la cultura“d’ avanguardia”, cioè votata alla sperimentazione, che

rappresenta ciò che di più vivo e alto è stato prodotto. Particolarmente interessanti sono le tesi di

Clement Greenberg nel suo saggio Avant-Garde and Kitsch, egli ragiona sulla tendenza radicata

nelle arti d’avanguardia di compiere una riflessione autocritica sulla natura delle arti stesse e sulle

loro possibilità.

Come Kant nella Critica alla ragion pura pone la ragione stessa a soggetto attivo della critica, in

quanto capace di operare autonomamente la critica dei propri fondamenti, Greenberg applica tale

metodo alle discipline artistiche e si chiede quali siano gli strumenti legittimamente propri e quali

no. Se l’ avanguardia pone in evidenza i procedimenti che portano all’opera, ed elegge questi a

oggetto del proprio discorso, il Kitsch invece pone in evidenza le reazioni che l’ opera deve

provocare, ed elegge a fine della propria operazione la reazione emotiva del fruitore.

Greenberg si focalizza sulla pittura, dove occorre secondo lui salvaguardare l’integrità del piano

pittorico abbandonando la rappresentazione dello spazio, per rendere lo spettatore consapevole

della piattezza del quadro (flatness). L’astrazione diventa quindi un momento necessario

dell’autocritica della pittura. Non è più possibile rappresentare gli oggetti o entità riconoscibili

nella loro tridimensionalità, perché alienerebbero la bidimensionalità della tela.

Decade il palcoscenico tridimensionale, l’arte astratta rompe definitivamente con l’illusionismo

della pittura tradizionale. L’ avanguardia diventa una forma autentica di dissenso alla decadenza

generata dal livellamento verso il basso dei valori culturali da parte del Kitsch.

Greenberg è cosciente di come i confini tra l’alta qualità ed il Kitsch siamo labili, il rischio è

rappresentato dalla cultura della nuova middle class, interessata alla cultura per motivi

meramente speculativi. Ecco che grandi artisti ed attori possono cedere alla tentazione degli

enormi profitti garantiti dalla diffusione di massa del Kitsch.

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Kitsch e storia

Quando l’arte deve sottostare alla politica –afferma Milan Kundera nel romanzo l’insostenibile

leggerezza dell’essere- si trasforma in Kitsch, esso elimina dal proprio campo visivo tutto ciò che

nell’esistenza umana è inaccettabile. Nel regno del Kitsch vige la dittatura del cuore, del

sentimento, affinché sia condiviso dalla più larga quantità di persone. In questo senso il Kitsch

diventa l’ideale estetico di tutti gli uomini politici, di tutti i partiti. In una società nella quale

coesistono orientamenti politici diversi la loro opposta influenza si annulla, ma dove esiste un solo

movimento politico che detiene tutto il potere, ecco che si viene a creare il Kitsch totalitario. Il cui

nemico giurato è l’uomo che non vive passivamente l’imposizione sentimentalistica della

propaganda, ma si pone delle domande, queste sono come delle coltellate che squarciano il

fondale dipinto sotto il quale si cerca di imprigionare la massa.

Il Kitsch, proponendosi come cultura mercificata diventa lo strumento privilegiato dalle politiche

fasciste per esercitare il controllo popolare e veicolare contenuti politici di asservimento

mascherati da intrattenimento elegante e raffinato. Mussolini, Hitler, Stalin rinunciano alla cultura

avanguardistica per un arte che riesca ad affascinare le masse, per i loro fini.

Attraverso il Kitsch i regimi totalitari cercano di ingraziarsi i sudditi. Non potendo elevare il livello

culturale delle masse, si limitano a livellarla ad un medesimo livello, comune a tutti. Anche per

l’impossibilità di inoculare un’efficace propaganda all’interno della cultura d’avanguardia essa

stessa viene bandita. Un ulteriore rischio della cultura

“alta” è quello di creare un sentimento di distacco verso la

massa, un pericolo di isolamento che rischierebbe di

minare il consenso popolare necessario all’interno di una

dittatura.

Un esempio lampante ci viene proposto dalla figura di

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