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Sintesi
Sintesi Into the wild tesina


La seguente tesina di maturità scientifica parte dall'analisi del film Into the wild per analizzare la ricerca della felicità. Un matrimonio, dei figli, un lavoro ben retribuito, una bella casa, una macchina costosa. Questi sono alcuni degli imperativi della società moderna, nella quale solo quando si è in possesso di tutte, o della maggior parte di tali cose, ci si può reputare davvero realizzati, dei vincenti. C’è anche chi rifiuta tutto ciò e dice:
“C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. L’essenza dello spirito di una persona è la passione per l’avventura. La gioia di vivere deriva dalle nuove esperienze, dall’avere un orizzonte in continuo cambiamento, dal trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo”.
Queste parole sono tratte da una lettera scritta da Christopher Johnson McCandless. La sua storia, pubblicata da Jon Krakauer nel gennaio del 1993 sulla rivista “Outside”, colpì profondamente il cuore di numerose persone, tra cui il mio. Alcuni lettori ritenevano il ragazzo un idiota imprudente, un folle, uno stupido, un giovane che aveva preso troppo sul serio Jack London. Altri invece, specialmente coloro i quali ebbero la possibilità di conoscere Chris durante il suo viaggio, capirono che il continuo viaggio del ragazzo andava ben oltre la vita nei boschi e nei deserti privato di ogni agio. Tutte le volte che al giovane veniva chiesta la ragione del suo errare, egli rispondeva citando Tolstoj:
“Voglio il movimento, non un’esistenza quieta. Voglio l’emozione, il pericolo. Avverto dentro di me una sovrabbondanza di energia che non trova sfogo in una vita tranquilla”.
“Chris viaggiava nella natura selvaggia per non essere avvelenato dalla società” racconta la sorella del ragazzo, Carine. Ciò che lo spinge in Alaska è infatti il bisogno di libertà assoluta: solo una volta abbandonate le convenzioni potrà trovare lo scopo della sua esistenza e non di quella che la civiltà gli impone. Il suo viaggio fisico attraverso il tempo e lo spazio, ben presto acquisisce un carattere più astratto ma di gran lunga più importante, poiché diventerà un percorso verso il raggiungimento del bene più prezioso: la felicità. La tesina affronta il seguente tema attraverso un percorso multidisciplinare.


Collegamenti

Into the wild tesina


Italiano - Pirandello e Il fu Mattia Pascal.
Filosofia - Heidegger e la vita autentica.
Inglese - Jack Kerouac e il suo viaggio On the road.
Arte - Paul Gauguin e l'esperienza a Tahiti e analisi di Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?.
Estratto del documento

dal ”si fa”. In questo caso l’uomo si perde nella massa, le sue scelte

non sono autonome e il conformismo lo porta alla dimensione più

superficiale della vita umana: la chiacchiera. In tali condizioni

l’individuo si trova a vivere una “vita inautentica”, tuttavia le nostre

decisioni possono nascere anche da un profondo contatto con la

propria interiorità e l’uomo arriva così a intraprendere una “vita

autentica”.

Christopher Johnson McCandless rifiutando di accettare le

convenzioni sociali fa una scelta dettata dal proprio io. La sua

volontà non segue la massa; le sue idee, le sue scelte, non sono

basate su quelle che prendono le altre persone. Ciò che compie il

ragazzo, secondo il pensiero di Heidegger, è vivere una “vita

autentica”, intrapresa ascoltando la propria voce interiore.

PAUL GAUGUIN A TAHITI

Circa 100 anni prima dell’inizio del

viaggio di Chris un altro uomo,

divenuto poi uno dei pittori più famosi

della storia dell’arte, optò per una vita

nelle terre estreme. Quell’uomo era

Paul Gauguin.

Nato a Parigi il 7 giugno del 1848, il

giovane pittore abbandonò la Francia

all’età di un anno poiché il padre,

redattore del giornale repubblicano

“Le national”, dovette lasciare lo

Stato per volere di

Napoleone III. La famiglia si

imbarcò per Lima, in Perù,

tuttavia durante il lungo

viaggio Clovis, il padre,

perse la vita. Nonostante il

lutto, per il giovane artista

questi primi anni furono 6 La visione dopo il sermone

particolarmente lieti tanto che, una volta adulto, cercherà in altri

luoghi le sensazioni che provate in Sud America. La famiglia tornò in

Francia nel 1855, Gauguin completò gli studi e nel 1865 trovò lavoro

come marinaio per poter viaggiare intorno al mondo. Nel 1871 si

stabilì a Parigi dove iniziò una carriera come uomo d’affari presso

l’agenzia di cambio Bertin. In questi anni la sua vita scivolò liscia sui

binari delle convenzioni borghesi, l’uomo, tuttavia, cominciò ad

interessarsi fortemente all’arte,

comprando ad esempio molti quadri impressionisti ed iniziando a

dipingere ispirandosi ad essi. La passione per la pittura lo catturò

sempre di più e fu questa a convincerlo, nel 1883, ad abbandonare

famiglia e lavoro per andare alla ricerca di un significato da

esprimere attraverso i suoi quadri. Per questo tipo di “inchiesta”

Gauguin sentiva il bisogno, come Chris McCandless, di attuare una

fuga dalla civiltà moderna e dalla cultura occidentale per ritrovare

un’autenticità perduta, una terra vergine e feconda in cui trovare sé

stesso ed un tipo di arte “primitiva e selvaggia”. La prima meta dei

suoi viaggi fu la Bretagna, che visitò più volte per via delle tradizioni

e della spiritualità che ancora sopravvivevano in quei luoghi e che

lui ritrasse nei suoi dipinti, come in “La visione dopo il sermone”.

Gauguin non si accontentò però di quanto aveva trovato in quel

remoto, ma ancora troppo occidentale, angolo della Francia e così,

nel 1891, decise di partire alla volta di Tahiti. Il piano iniziale

prevedeva di tornare nel 1893 a Parigi con l’obiettivo di far

conoscere il lavoro di quei due anni. La società deluse un’altra volta

le speranze di Gauguin: la critica percepì le opere dell’artista come

tele “barbare” e “ultraselvagge”; gli impressionisti, che un tempo lo

ritenevano uno di loro, lo sdegnarono: Renoir e Monet pensarono

che Paul avesse frainteso le loro ricerche e Monet in particolare

arrivò a dire:

“la piccola chiesa (riferito all’impressionismo) è divenuta oggi una

scuola banale che apre le porte al primo imbrattatele venuto”.

Gauguin, stanco dell’occidente, decise di partire per l’ultimo

viaggio, ancora verso quelle terre selvagge e incontaminate che

tanto l’avevano affascinato anni prima.

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“Un’epoca terribile si prepara per l’Europa e per la generazione che

viene… Tutto è marcio, gli uomini e le arti. Laggiù almeno, in un

cielo senza inverno, su una terra dalla fecondità meravigliosa, il

tahitiano deve solo alzare un braccio per raccogliere il cibo”.

Questi ultimi anni di vita sono per l’artista i più intensi: nel 1896 fu

ricoverato perché malato di sifilide, nel 1897 morì la figlia Aline e il

pittore iniziò a porsi più e più volte domande come “da dove

veniamo?”, “chi siamo?”, “dove andiamo?” ma senza trovare mai

risposte e tentando più volte il suicidio. È in questo clima che

nacque la sua opera più famosa e il cui titolo riprende quei tre

interrogativi destinati a non trovare risposta. Le condizioni di salute

peggiorarono e dipingere si fece sempre più difficile. Nel 1901

decise di trasferirsi ad Hiva Oa, nell’arcipelago delle Marchesi per

rigenerare la propria arte attraverso terre ancora più incontaminate,

ancora più selvagge; tuttavia la malattia aveva preso il sopravvento

e la morte lo raggiunse l’8 maggio 1903.

DA DOVE VENIAMO? CHI SIAMO? DOVE

ANDIAMO?

Negli angoli superiori sono riportati il titolo e la firma di Gauguin. In

basso a destra c’è un bambino che dorme e vicino a lui tre donne,

delle quali due guardano lo spettatore, come se attendessero le

risposte alle tre domande che compongono il titolo. Al centro un

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tahitiano che coglie un frutto, probabile rimando al Cristianesimo

(Eva per il gesto, Cristo per la posizione). Vicino al bambino che

mangia vi è un animale simile ad un daino, probabile allusione al

Buddhismo (Buddha si incarnò come “re dei daini” quando ottenne

la virtù dell’abnegazione). Dietro il daino troviamo un idolo

raffigurante la dea Hina (divinità polinesiana della Luna). Sulla

sinistra è possibile osservare due persone, delle quali una è

un’anziana che si porta le mani al volto perché ancora riflette su

quelle tre domande ma non trova risposte. Alla sua sinistra è

presente un uccello bianco, simbolo della vanità delle parole.

Con questo quadro, realizzato di getto nel 1897 senza disegni

preparatori, Gauguin ha voluto rappresentare diversi momenti della

vita umana, dalla nascita alla vecchiaia, attraverso elementi

polinesiani. Il dipinto presenta inoltre un carattere ambiguo, da un

lato raffigura un paradiso naturale calmo, dall’altro inserisce figure

tormentate dalle domande esistenziali che ogni uomo degno di tale

nome si pone, alle quali non è dato trovare risposta. Tale ambiguità

è voluta dal pittore stesso, che dichiara:

“il mio sogno non si lascia catturare, non ha alcuna allegoria, fa a

meno di qualsiasi libretto. Il miglior modo per leggere l’opera è

avvicinarvisi senza alcuno schema interpretativo e lasciarsi

catturare dalla sua magia evocativa”.

JACK KEROUAC E IL SUO VIAGGIO ON THE

ROAD

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Jack Kerouac

Jack Kerouac Neal

Cassady

Circa 40 anni prima di Chris, un altro ragazzo aveva deciso di

lasciare l’università per mettersi in viaggio sulle strade, asfaltate o

meno, degli Stati Uniti. Quel ragazzo si chiamava Jack Kerouac e,

sebbene all’epoca non ne fosse consapevole, con On the road e il

racconto del suo errare contribuì enormemente alla nascita di uno

dei movimenti culturali più importanti del panorama della

letteratura inglese del dopoguerra: la Beat Generation. Come il

giovane McCandless, anche lo scrittore, originario del

Massachusetts, decise di abbandonare gli studi e di far attendere la

vita che la società aveva da offrirgli, per intraprendere un viaggio.

L’atteggiamento che spinse l’autore a mettersi in strada tuttavia è

diverso da quello di Chris e lo si può vedere da una riflessione

personale presente in On the road:

“Credevo fermamente in una buona casa, in una vita sana e

corretta, nel lavoro, nella fede e nella speranza. Ho sempre creduto

in queste cose e con un certo stupore mi resi conto di essere una

delle poche persone al mondo che credevano davvero in queste

cose, ma non andavano in giro a farne una tediosa filosofia

borghese”.

Jack Kerouac viaggiò dunque per il puro piacere di farlo, non vi era

alcun intento di critica sociale nella sua scelta, ma la semplice

volontà di divertirsi e di non cadere in un vivere monotono e noioso.

“Le uniche persone che mi interessano sono i pazzi, i pazzi della

vita, pazzi delle parole, quelli che vogliono tutto e subito, quelli che

non sbadigliano mai e non dicono mai cose banali… ma bruciano,

bruciano, bruciano come candele romane nella notte”.

Uno di questi “pazzi”, forse quello per eccellenza, era Neal Cassady,

il ragazzo con il quale Kerouac viaggiò lungo gli States e fino in

Messico tra il 1947 ed il 1950. In questi anni Jack e l’amico, insieme

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a qualche compagno d’occasione e diversi autostoppisti aggiuntisi

lungo la strada, percorsero enormi distanze sempre con lo stesso

spirito:

“Quello che volevo era fare un altro magnifico viaggio… E che

viaggio si rivelò! Partii solo perché avevo voglia di muovermi e per

vedere cos’altro avrebbe combinato Neal”.

Con questa mentalità Kerouac abbandonò ogni luogo che raggiunse

per dirigersi verso la successiva meta, ma per loro essa aveva un

significato particolare:

“Ti aspetti sempre di trovare qualcosa di magico alla fine della

strada. Stranamente Neal e io l’avremmo trovato prima di arrivare

alla fine”, prima sì, perché nella loro mentalità la destinazione non è

la meta, ma la fine del viaggio. Il “magico”, come dice l’autore, si

trova prima, su una strada che per loro è la vita stessa, dovunque

essa conduca:

“Jack dobbiamo andare e non fermarci mai finché non arriviamo.

1Per andare dove amico?

1Non lo so ma dobbiamo andare”.

About 40 years before Chris’s story, another boy decided to leave

the college and started travelling on the roads, paved or not, of the

United States. That guy’s name was Jack Kerouac and, although in

that period he was unaware of that, with On the road and the telling

of his travelling he enormously contributed to the birth of one of the

most important cultural movements of post-war english literature’s

panorama: the Beat Generation. As the young McCandless, also the

writer, native of Massachusetts, chose to stop studying and keep

the life that society had chose for him waiting in order to start his

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journey. However the attitude that induced the author to set forth is

different form Chris’ one and you can see that in a personal

reflection written in On the road:

“I believed in a good home, in sane and sound living, in work, faith

and hope. I have always believed in these things. It was with some

amazement that I realized I was one of the few people in the world

who really believed in these things without going around making a

dull middle class philosophy out of it”.

This means that Jack Kerouac travelled for the sheer pleasure of it,

there was no intent of social criticicism in his choice, but simply the

willingness to have fun and not to fall into a monotonous and boring

living.

“The only people for me are the mad ones, the ones who are mad to

live, mad to talk, mad to be saved, desirous of everything at the

same time, the ones who never yawn or say a commonplace thing,

but burn, burn, burn like fabulous yellow roman candles exploding

like spiders across the stars”.

One of these “mad ones”, perhaps the quintessential, was Neal

Cassady, the guy with whom Kerouac travelled across the States

and down to Mexico between 1947 and 1950. In these years Jack

and his friend, along with some occasional partners and many

hitchhikers who joined them along the way, drove for miles and

miles, always with the same attitude:

“What I wanted was having another wonderful journey… And what a

journey it turned out to be! I left only because I wanted to move and

see what else Neal would have combined”.

With this mentality Kerouac left every place he reached to head to

the next destination. The word “destination” had a particular

meaning to them:

“You always expect to find something magical at the end of the

road. Strangely Neal and I would have found it before the end”,

before, because in their opinion the destination is not the goal, but

the end of the journey. The “magical”, as the author says, is before,

on a road which is life itself to them, wherever it leads:

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