Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Il lungo cammino dell'uomo verso la scoperta e la conquista dell'infinito coincide con l'acquisizione della complementarietà tra due concezioni di esso: l'infinito potenziale, "negativo", senza una fine, irrimediabilmente aperto e l'infinito Attuale, "positivo", perfetto e chiuso, perché atto legittimo concepito dalla mente umana. Una tesina multidisciplinare per l'esame di maturità.
Indice
Filosofia
1 Da Pitagora a Euclide
2 L'infinito nel meccanicismo di Galilei
2.1 Il Paradosso dei quadrati
2.2 Il Paradosso della Ruota
3 Il criticismo kantiano
3.1 L'infinito sul piano teoretico: la ricerca del vero
4 Kant e Galilei
4.1 L'infinito sul piano etico: la ricerca del Sommo Bene
4.2 L'infinito sul piano del sentimento: il Sublime
5 Il Romanticismo
6 L'idealismo hegeliano
6.1 L'apriorità
6.2 La legge dialettica
6.3 " La fenomenologia dello spirito"
6.4 Il momento soggettivo: la Fenomenologia
6.5 L' infelicità esistenziale
6.6 La ragione
6.7 La filosofia della storia
6.8 Lo Stato etico
6.9 I limiti del pensiero filosofico dal meccanicismo all'idealismo
Letteratura Italiana
7 Il paradiso nell'infinito leopardiano
8 L'Infinito del "fanciullino" nel Simbolismo pascoliano
9 L'Infinito nell'Umorismo pirandelliano
9.1 Il coraggio della coscienza ne "Il fu Mattia Pascal"
Letteratura Inglese
10 Samuel Beckett
11 The Theory of Absurdity
11.1 Beckett's absurd characters: "Waiting for Godot"
11.2 The real main theme
11.3 The new sight of the audience
12 The Theatre of Absurd
12.1 The Theatre of Absurd and the Sophists
12.2 The role of Beckett's absurd man
Matematica
13 I livelli di Infinito
13.1 Ipotesi generalizzata del Continuo
13.2 L'Assioma della Scelta
13.4 I "Principia Matematica"
Geografia Astronomica
14 La teoria del Big Bang
15 Le due Teorie dell'universo inflazionario
15.1 La Teoria Standard
15.2 La Teoria dell'Universo a Bolle
16 L'età dell'Universo
16.1 La formazione delle stelle
16.2 La radiazione cosmica di fondo
16.3 Ammassi globulari e sorgenti radio quasi stellari (QUASAR)
16.4 I buchi neri
17 Teorie sull'evoluzione e sul destino dell'Universo
18 La materia oscura
Fisica
19 La Relatività Ristretta
19.1 Conseguenze
20 La Relatività Generale
20.1 L'intuizione di Einstein
20.2 Caratteristiche
20.3 Conseguenze
21 L'ipotesi risolutiva: l'Universo parallelo
Storia
22 La guerra di Einstein
22.1 La bomba atomica
22.2 La "guerra fredda"
22.3 Il "Manifesto Russel-Einstein"
III secolo a.C.: Euclide riesce a dimostrare che non può esistere il più grande “numero primo” in
maniera molto semplice. Supponiamo che esista un numero P che sia il più grande di tutti; ora
costruiamo un numero N, ottenuto moltiplicando tutti i numeri primi ad esso inferiori e
aggiungendo, alla fine, il numero “uno”:
N = (2·3·5·7·11·13·17·19·23·29·……·P) + 1
Provando a dividere N per qualsiasi dei numeri primi sopra elencati, esso darà sempre come resto
+1. Ma anche se fosse divisibile per qualche altro numero, questo dovrebbe essere più grande di P,
altrimenti non riusciremmo mai a liberarci del resto +1. Pertanto, questo numero, per il quale
potremo dividere N, senza averlo come resto +1, sarebbe comunque superiore a P. Quindi non può
esistere un numero primo più grande di tutti gli altri numeri primi.
Esistono cinque numeri primi (1,2,3,5,7) tra uno e dieci, invece sono nove tra i cento numeri che
stanno prima di dieci milioni, poi ancora solo tre quelli dopo i dieci milioni. La frequenza dei primi
diminuisce al crescere del numero stesso.
Questa è la legge di rarefazione dei numeri primi: essi diventano, infatti, sempre più rari man mano
che ci si sposta verso l’Infinito. Grazie a Euclide, però, sappiamo che la lista dei numeri primi non
si ferma mai.
2. L’infinito nel meccanicismo di Galilei
Nel 1638 d.C. Galileo Galilei fu posto da un suo allievo, Bonaventura Cavalieri, di fronte ad un
terribile problema, apparentemente impossibile. Nonostante Euclide avesse affermato una cosa
piuttosto ovvia (per le cose finite), vale a dire che una parte è sempre inferiore al tutto, lo scienziato
fiorentino, lavorando con i numeri interi, scoprì la proprietà fondamentale di tutti gli insiemi
infiniti.
2.1 Il Paradosso dei quadrati:
i quadrati sono solo una parte dei numeri naturali. E’ però possibile stabilire una corrispondenza
biunivoca tra N e l’insieme dei quadrati, vale a dire una corrispondenza nella quale ad ogni numero
naturale corrisponda uno ed un solo quadrato.
1 2 3 4 5 6 7 8 ...
| | | | | | | |
1 4 9 16 25 36 49 64 ...
6
I quadrati sono perciò tanti quanti i numeri naturali e ciò significa che una parte può essere “uguale”
al tutto.
2.2 Il Paradosso della Ruota:
due ruote concentriche, tali che la più grande rotoli sopra una retta, toccano con i loro punti due
segmenti di uguale lunghezza.
A B
C D
Facendo fare un giro completo alla circonferenza più grande fino a D, la più piccola arriverà al
punto B. Ma CD = AB.
“Or come dunque può senza salti scorrere il cerchio minore una linea tanto maggiore della sua
circonferenza...”.
Anche in questo caso ciò è dovuto alla possibilità di costruire una corrispondenza biunivoca tra la
circonferenza più grande e quella più piccola (e quindi tra un segmento ed una sua parte propria):
basterà, infatti, proiettare dal comune centro i punti della circonferenza più piccola su quelli della
più grande. Il paradosso sta dunque nella possibilità di stabilire una corrispondenza biunivoca tra un
segmento continuo e una sua parte propria.
“Queste son di quelle difficoltà che derivano dal discorrer che noi facciamo intorno a gl’infiniti,
dandogli quegli attributi che noi diamo alle cose finite e terminate, il che penso che sia
inconveniente…”
L’impossibilità di spiegarlo su basi sperimentali, tuttavia, non impedì allo scienziato di intuire e
accettare l’Infinito Attuale. 7
“Concedo dunque a’ signori filosofi che il continuo contiene quante parti [cioè parti dotate di
misura] piace a loro, e gli ammetto che le contenga in atto o in potenza, a loro gusto e beneplacito;
ma gli soggiungo poi, che nel modo in cui in una linea di dieci canne si contengono dieci linee
d’una canna l'una, e quaranta d'un braccio l'una, e ottanta di mezzo braccio, ecc., così contiene
ella punti infiniti: chiamateli poi in atto o in potenza, come più vi piace, ché io, Sig. Simplicio, in
questo particolare mi rimetto al vostro arbitrio e giudizio[…]”
3. Il criticismo kantiano
Immanuel Kant rappresenta ancora oggi una rampa di lancio verso il concetto di infinito: con il suo
e del razionalismo, oltre al pensiero scientifico
pensiero, che sintetizza le filosofie dell’empirismo
che va a Galilei e Newton, viene raggiunta una visione critica e oggettiva, sia della realtà che
dell’intelletto umano.
Il criticismo kantiano si basa sulla consapevolezza dei limiti conoscitivi dell’uomo, ma anche delle
grandi possibilità della nostra mente: la ragione viene posta nel tribunale della ragione stessa,
laddove questa risulta essere giudice e imputato allo stesso tempo.
3.1 L’infinito sul piano teoretico: la ricerca del vero
Nella “Critica alla ragion pura”, Kant analizza e struttura il pensiero umano, evidenziandone le
facoltà: sensibilità, intelletto e ragione.
Essendo finalizzata la “ragion pura” alla conoscenza delle leggi naturali, Kant analizza il mondo
meccanicistico e deterministico di Galilei, in cui ogni fenomeno si basa su rapporti di causa ed
effetto. Pertanto la scienza è strettamente legata all’esperienza e ciò di cui non si può avere
esperienza è privo di contenuto scientifico: la metafisica non viene, infatti, considerata una scienza.
Nonostante sia Galilei che Kant facciano ricorso a giudizi sintetici a priori, ottenendo entrambi
conoscenze di carattere universale, certo e necessario, i metodi conoscitivi risultano differenti.
- Galilei, fondatore del metodo sperimentale, afferma la necessità delle sensate esperienze e
delle necessarie dimostrazioni. Tuttavia l’esperienza non potrà mai falsificare l’ipotesi,
poiché lo scienziato si affida al Dio-Fede, creatore del mondo tramite un linguaggio
matematico e geometrico, pertanto garante della corrispondenza fra pensiero e realtà.
8
- Kant, invece, affermerebbe che non è scientifico affidarsi a Dio nella formulazione di
leggi, poichè non si può neppure dimostrare su basi sperimentali la sua esistenza. Infatti
l’apriori è, per Kant, radicato nell’uomo e coincide con schemi trascendentali di carattere
universale: le categorie. Attraverso queste ultime l’uomo è capace di universalizzare i
concetti empirici ricevuti dal mondo esterno, ottenendo conoscenze certe.
Tuttavia la stessa ragione umana, secondo Kant, contiene idee di cui non è possibile avere
esperienza: le idee trascendentali. Esse appartengono non più ad un mondo fisico, ma ad un mondo
metafisico, detto no-umeno. Se il senso della ricerca delle cause dei fenomeni è dato dalle categorie,
il nonsenso è così rappresentato dalle idee di anima, mondo e Dio.
Le possibilità della scienza, dunque, sono finite e terminano con l’intelletto umano: oltre questo vi è
l’analisi di ciò che è infinito e in conoscibile, generato da una ragione speculativa e appartenente ad
un mondo logico di cui la scienza non può spiegar nulla.
4. Kant e Galilei
Principale differenza tra Galilei e Kant di fronte al problema dell’infinito (nel campo scientifico) è
l’esistenza di Dio. Se Galilei ne dimostra l’esistenza identificando in esso l’apriori e la validità delle
conoscenze, Kant si definisce agnostico. Non si può, infatti, dimostrare né l’esistenza, né la non-
esistenza di Dio, poiché il suo grado di perfezione supera il nostro e quello dell’intero mondo
naturale, impedendoci di averNE esperienza.
4.1 L’infinito sul piano etico: la ricerca del Sommo Bene
Nella “Critica alla ragione pratica” Kant si cimenta nel problema del Bene, che si ricerca tramite
l’attuazione di una ben precisa morale, basata sulla legge del dovere. Essa definisce un comando
oggettivo, detto del “tu devi”, finalizzato alla realizzazione del bene individuale e del bene comune.
La legge del dovere è un comando proveniente dalla ragione: legata all’apice, essa consente
all’uomo di realizzare la propria libertà e la propria umanità.
Tuttavia l’uomo non potrà mai pretendere di poter applicare questa legge in maniera perfetta,
poiché sarà sempre condizionato dal fenomeno: perseguire un dovere disinteressato, ovvero
finalizzato a se stesso, non è cosa da poco. Per realizzare una morale antiutilitaristica, ripudiando il
e il fariseismo, sono necessarie numerose rinunce e diversi sacrifici.
fanatismo
Il sentimento è uno di questi. Esso viene letteralmente scartato dal mondo etico: nel comando
universale della legge del dovere non c’è spazio per ciò che è volubile e soggettivo.
9
In questo caso la domanda che l’uomo spontaneamente si pone è: “Qual è lo scopo della vita? Che
senso ha seguire la legge del dovere se non potrò mai decondizionarmi completamente dal peccato e
dall’istinto?”.
NONSENSO SENSO
ANTINOMIA
DOVERE FELICITA’
Ebbene Kant analizza profondamente l’antinomia tra la ricerca del Sommo Bene e la legge del
dovere: egli ritiene assurdo vivere un’esistenza per il nulla, per il nonsenso. Pertanto risulta
ragionevole postulare un mondo soprannaturale, di carattere metafisico, in cui l’uomo è capace di
giustificare i suoi sforzi terreni, ma soprattutto di soddisfare il suo irrinunciabile desiderio di
infinito e felicità.
Ed è così che la metafisica, “gettata dalla finestra” nella prima Critica, viene ora fatta “entrare dalla
porta”.
All’interno di questo mondo vi sono due postulati pratici di estrema importanza:
• l’immortalità dell’anima, che garantisce all’uomo di liberarsi totalmente dal peccato e
dall’istinto, realizzando il proprio dovere in maniera
perfetta.
• l’esistenza di Dio, poiché risulta necessario che esista un’entità che giudichi e che
ricompensi le azioni dell’uomo.
4.2 L’infinito sul piano del sentimento: il Sublime
A differenza delle due precedenti opere, la “Critica del Giudizio” non vede la trattazione di alcuna
legge: il comando della ragione lascia spazio al sentimento. In tal modo si rimargina la dicotomia
tra il mondo teoretico ed etico: se nel primo si è compiuta una ricerca nel mondo meccanicistico,
nell’altro questa termina con la creazione di un mondo metafisico della libertà e dello spirito.
Kant abbandona il problema delle cause che regolano i fenomeni e assieme anche il problema
morale: il filosofo tedesco comincia ad interrogarsi sul fine delle cose.
Nella contemplazione della natura, l’equilibrio e la bellezza di ogni cosa generano nell’animo
umano un profondo senso di armonia e di soddisfazione interiore. A livello psicologico si
manifesta, così, un libero gioco tra intelletto e fantasia, giostrato e favorito proprio dal sentimento.
I giudizi che l’essere umano riesce ad esprimere tramite il sentimento sono detti “riflettenti”: oltre
all’appagamento interiore, l’uomo contempla la “forma”, nonché la vera bellezza dell’oggetto.
10
Pertanto anche nella “Critica del Giudizio” Kant mette in luce l’importanza del Soggettivismo: il
Bello è espresso solo ed esclusivamente in funzione del soggetto. Solo coloro che sono provvisti di
idee e che fanno ricorso ai giudizi determinanti (sintetici a priori) per interpretare e conoscere la
realtà, sono anche in grado di apprezzarne il fine. La realtà non è bella in sé e per sé, ma lo è
solamente se e quando l’uomo la contempla e riflette su di essa.
Tuttavia l’osservazione del mondo reale conduce inevitabilmente ad affrontare un’entità infinita e in
conoscibile: il Sublime.
L’atteggiamento critico con cui l’essere umano si pone di fronte ad esso, provoca a livello
psicologico un profondo conflitto interiore. Precisamente sono due i tipi di Sublime che comportano
la triste consapevolezza del limite e della piccolezza umana:
• Sublime matematico, che mette l’uomo innanzi al “dispiacere”, coincidente con l’atto
del pensare all’idea di infinito. Nella consapevolezza dei propri
limiti, tuttavia, l’uomo comprende anche la sua enorme
grandezza, poiché egli rappresenta il solo essere capace di pensare
all’infinito e questo procura il “piacere”.
• Sublime dinamico, che mostra all’uomo, nonostante le ricerche e il metodo conoscitivo