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Impulso al consumo, tesina




Italiano - vita di D'Annunzio, la novella "La Roba" di Verga, canto XI, Paradiso di Dante.
Filosofia - Schopenhauer, Simmel
Storia - Il capitale di Marx (valore d'uso, valore di scambio)
Economia
Estratto del documento

Impulso al consumo

Introduzione

Il fenomeno del consumismo viene spesso ridotto all’acquisto di beni per concedersi uno (o meglio,

una lunga serie) di vizi. Un lusso che ci si permette, forse in maniera azzardata, spendendo soldi che

nemmeno si hanno, o che si potrebbero utilizzare diversamente. Tuttavia non si può dire che la mia

trattazione si limiti a questo: infatti vuole guardare a ciò che viene prima, all’origine del fenomeno.

Come spesso accade, andando ad indagare dove le cose prendono forma, si comprende meglio la

realtà che si vuole affrontare. Ebbene l’uomo è colui che fa da protagonista in questo scenario, dove la

caratteristica dominante è quella di possedere, e con il possesso, logorare ogni cosa. Egli, proprio per

la sua struttura, per la sua fisionomia, cede a questo fenomeno. Se parliamo di ‘cedere’, significa che

c’è qualcuno o qualcosa che offre la possibilità di farlo. Questa è la società, le grandi industrie: che

attraverso la pubblicità, illudono l’individuo a credere che lì risieda una risposta alla loro grande

questione: quella di colmare un desiderio, che da sempre lo caratterizza, di cui è difficile cogliere la

natura e che ancora non ha trovato risposta. Con grande stupore, ho poi visto in molti autori e filosofi

incontrati durante l’anno, la stessa disperata ricerca di colmare questo desiderio; talvolta in maniera

molto simile, tentando di consumare ogni piacere o gli stessi legami umani.

Indice

- introduzione

- casi

> Bernays

> Centri commerciali

- capitalismo e consumo

> il valore della merce (Marx)

> il denaro (Simmel)

- individui e bisogno

- esempi letterari e filosofici

- il ruolo della società

> riferimenti storici

> pubblicità e media

- conclusione

Bibliografia

What is mine is yours (Botsman and Rogers)

Soggettività e denaro (Petrosino)

I centri commerciali (Francesco Occhetta)

Il feticcio della merce (Marx, Simmel, Lukàcs, Benjamin)

La sociologia formale (Georg Simmel)

Il capitale (Karl Marx)

Materie Coinvolte

- Filosofia

- Storia

- Italiano

- Economia Introduzione e casi

"As a person is unlikely to watch two televisions at once,

how did we end up being convinced that

1

we need more than one television per person in our homes?"

(What is mine is yours, Botsman and Rogers)

(200 One dollar bills, Andy Wahrol)

Nel 1917 Bernays, ventiseienne che lavorava per il presidente Wilson, decise di dedicare la vita a quello che

era il suo talento: influenzare le masse nella nascente industria pubblicitaria. Lavorò per Beechnut Packing,

che vendeva pancetta. Per favorire gli acquisti fece una ricerca attraverso la consultazione di alcuni medici.

Risultò che fosse consigliabile iniziare la giornata con una colazione sostanziosa. Bernays diffuse negli studi

medici le conclusioni a cui era arrivato. Le informazioni erano raccolte su un volantino che raffigurava uova e

bacon. Non solo i consumi di eggs and bacon aumentarono, ma diventò la tipica colazione americana.

La grande abilità di Bernays gli permise di aver successo in una campagna pubblicitaria ben più impegnativa

della precedente. Egli lavorò per la American Tobacco company. Con grande ingegno, indusse le donne a

credere che la loro possibilità di indipendenza dagli uomini potesse essere quella del consumo delle

sigarette; infatti era loro proibito fumare in pubblico. Nella parata del 1929 alcune fanciulle, scelte in modo

tale da poter suscitare in chi guardava il desiderio di essere come loro, accesero gentilmente quelle che

vennero poi chiamate freedom torches (le torce della libertà). Le donne ottennero il loro strumento di

emancipazione, e l’American Tobacco company nuovi acquirenti.

L’operazione condotta da Bernays è molto semplice: egli crea da un’esigenza produttiva (vendere sigarette o

bacon) un bisogno (fumare o assumere cibi più sostanziosi la mattina), passando attraverso la promessa

della soddisfazione del desiderio (essere come gli uomini o nutrirsi al meglio per la propria salute).

1 Botsman and Rogers, What is mine is yours (“Se una persona non è in grado di guardare due televisioni

contemporaneamente, come siamo finiti a convincerci che fosse necessario avere una televisione per persona nelle

nostre case?”)

L'interesse iniziale che ha mosso la mia indagine sul consumismo è stata la mostra dell'artista della pop-art

Andy Warhol. Nell'intento di cogliere i caratteri significativi della cultura americana, dà forma ad un'opera,

dove l'oggetto principale è il dollaro.

Warhol era un grande osservatore, ma che il consumo fosse caratteristica dell’America, non è mai stato un

segreto per nessuno. Infatti se pensiamo al fenomeno oggetto dell’argomentazione, subito si proietta nella

nostra mente il tipico americano, newyorkese magari, coperto da borse, che si fa spazio nelle affollate vie

della grande mela.

I centri commerciali stessi sono nati con un messaggio preciso: minimizzare fatiche e costi eccessivi. Tutto

ciò di cui si ha bisogno è rintracciabile in pochi metri, senza dover prendere la macchina. È luogo dove

trascorrere le piovose giornate d’inverno, o quelle troppo afose estive. Il centro commerciale è aperto

sempre. Ci sono musica e luci studiate, per sentir meno la stanchezza e render più piacevole la

permanenza. In un momento di affanno, non mancano i punti ristoro, insomma: i consumi sono più che

favoriti. Ma tutto questo, che a noi sembra quasi scontato, è in realtà solo il prodotto finale. I centri

commerciali nascono infatti come alternativa alla bottega artigiana, al fine di speculare. La struttura era

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caratterizzata da corridoi di vetro che collegavano piazze ad edifici pubblici; quasi “mondi in miniatura” dove

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ci si sentiva protetti e sicuri “tra lo splendore delle luci e lo sfavillio delle merci” . In questo modo viene però

meno la parola di fiducia con l’artigiano, non esiste più un volto a cui attribuire il prodotto, non c’è più chi fa

da garante della qualità: il rapporto diventa tra il consumatore e la marca.

“C’era il rombo continuo della macchina in moto, che portava dentro i clienti, li ammassava nei vari reparti, li

stordiva con mille mercanzie, per poi rigettarli alle casse. Tutto questo, regolato, organizzato con la

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precisione di un meccanismo: una folla di donne spinta dalla forza e dalla logica di un ingranaggio” . Scrive

così Zola in uno dei suoi romanzi, sottolineando la natura di questo luogo come “macchina per vendere”.

Alcuni si recano nei centri commerciali per risparmiare, altri per incontrarsi e passare il tempo insieme: qui è

possibile trovar soddisfazione a tutto, ogni impulso può esser qui placato. Il consumatore deve avvertire gli

spazi come suoi, e per questo ogni cosa è studiata nei dettagli: il personale evita di avvicinarsi al cliente ed è

possibile sentire una comunanza di obiettivi con gli altri presenti, tutti cercano di soddisfare la lista di bisogni

che tengono in tasca, nella borsa, o magari sul tablet. Il centro commerciale deve essere luogo senza tempo,

un luogo dove sentirsi a casa. La fisionomia è dunque dettata da questo orizzonte ultimo. Aumenta la

velocità nell’acquistare e nello scartare, e poi ancora nell’acquistare nuovamente. Vince la novità sulla

durevolezza. I bisogni che spingono all’acquisto sono però falsi, e originati dalla pubblicità. I centri

commerciali faticherebbero infatti a sopravvivere senza i media. Capitalismo e consumo

Il ‘consumare’ è sempre stata una caratteristica del popolo americano. Ho sempre pensato, e gli studi fatti in

questi anni di liceo l'hanno confermato, che il consumatore sia personaggio fondamentale, senza il quale

l'economia non potrebbe procedere. L'economia stessa nasce da un bisogno continuo dell'uomo, che deve

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fare i conti con la scarsità delle risorse; con “la pienezza della possibilità e la limitatezza della realtà” .

Dunque sarà necessario dare un valore alle cose: quelle più rare, più scarse, avranno inevitabilmente più

valore dei prodotti facilmente reperibili. Spesso le cose, come si trovano in natura, non possono soddisfare

un’esigenza; allora interviene la mano umana. L’uomo interviene anche per la sua fisionomia: è fatto per

lavorare. Dunque mette a servizio di altri la sua capacità di lavoro.”La necessità lo costringe a distribuire

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esattamente il proprio tempo fra le sue differenti funzioni” . Non vive da solo, l’uomo, ma si trova in un

contesto in cui c’è bisogno della sua abilità nel trasformare le cose. Il suo desiderio è quello di essere utile.

Questo emerge chiaramente nel medioevo europeo: una spiccata dipendenza personale da qualcuno (servi

della gleba dai padroni).

Il valore delle cose non è determinato solo dalla quantità del bene presente in natura, ma anche da quanto

c’è dietro quel prodotto dell’uomo, quanta forza lavoro l’individuo ha impiegato nella produzione del bene.

Ogni cosa ha dunque un duplice valore:

- il valore d’uso, quello per cui di fatto l’uomo è spinto a plasmare la materia prima, proprio per soddisfare

un bisogno primario; valore che deve stare solo di fronte all’uomo e alla sua necessità. Vi è dunque un

rapporto immediato tra uomo-cosa:

- il valore di scambio. C’è in gioco il rapporto dell’uomo in un processo sociale. “Quel che interessa

2 Benjamin, Parigi, capitale del XIX secolo

3 Codeluppi, Lo spettacolo della merce

4 Zola, Al paradiso delle signore

5 Marx, Il carattere del feticcio della merce e il suo arcano

6 Marx, Il carattere del feticcio della merce e il suo arcano

praticamente in primo luogo coloro che scambiano prodotti, è il problema di quanti prodotti altrui riceveranno

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per il proprio prodotto, quindi, in quale proporzione si scambiano i prodotti” . Questo ultimo valore è

determinato dalla fisionomia stessa della produzione a cui si accennava prima: all’uomo non basta più la

natura, allora la plasma, trasformando la materia prima in merce. A compiere questa trasformazione non è

uno, ma tanti privati, che svolgono il lavoro indipendentemente l’uno dall’altro; in ultima analisi i lavori sono

legati, perché hanno come orizzonte lo stesso prodotto. Il lavoro complessivo, dato dal prodotto di lavori

privati, è di carattere sociale. Questo processo, che coinvolge più soggetti, inciderà sul valore del bene,

provocandone l’aumento. Il fattore che più di tutti prevale nel determinare il valore della merce è il tempo di

lavoro socialmente necessario per la produzione. A dar valore al prodotto è dunque il lavoro che c’è

dietro. Le cose non acquistano più valore per la capacità di rispondere ad un bisogno, ma in nome del fatto

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che sono “l’incarnazione generale del lavoro umano” .

Sorge spontaneo, giunti a questo punto, guardare cosa accade nel momento dello scambio. Ebbene proprio

nel prodotto, vi è un oggettivarsi della forza lavoro impiegata precedentemente. Sembra che ogni scambio

sia equiparabile, poiché ogni merce o servizio sono utili. Ma questo non basta: infatti il pagamento in natura

non è ben quantificabile, mentre in merce (dunque il baratto) non tiene conto del fatto che i bisogni variano

da individuo ad individuo. Nasce così il denaro, che si mette tra l’uomo e le cose, provocando la perdita del

contatto diretto tra l’individuo e l’oggetto del desiderio. Il denaro tende a livellare ogni cosa, per questo

motivo spesso diventa fine ultimo, e non mezzo. Il denaro è privo di identità, è “valore delle cose senza le

cose stesse” , e spesso provoca un disorientamento in chi acquista. Nello scambio di oggetti vi era sempre

senso di privazione, perché ogni cosa appariva insostituibile, mentre se scambiabili attraverso il denaro, le

cose tendono ad apparire come entità astratte. Si guarda al prezzo, non ci si interroga più su quali fattori lo

abbiano determinato: “quando l’interesse si riduce al valore in denaro delle cose, la loro forma, per quanto

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possa aver provocato il suo valore, diviene indifferente.” La cosa si svuota, si sforma, viene ridotta al

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