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Tesina - Premio maturità 2009
Titolo: il tempo e la memoria
Autore: Petruzzelli Annamaria
Descrizione: la mia tesina tratta del tempo in tutte le sue sfaccettature e si ricollega al tema della memoria, prendendo in esame alcuni eventi storici e il film shinder's list.
Materie trattate: Italiano, Filosofia, Storia, Storia Dell'arte, Biologia, Latino, Inglese, Pedagogia, Psicologia
Area: umanistica
Sommario: Italiano: Giuseppe Ungaretti, Il sentimento del tempo, poesia "Di luglio" Primo Levi, I campi di concentramento, Vita nei lager, Confronto tra l'Inferno di Dante e Se questo è un uomo Filosofia: Henry Bergson, Tempo della scienza e tempo della coscienza Storia: la Shoah, Lo sterminio degli ebrei, film Shinder's list Inglese: James Joyce, the stream of consciounsness Storia dell'arte: Salvator Dalì, La persistenza della memoria Biologia: L'encefalo umano, la malattia di Alzheimer Pedagogia: Jean Piaget, lo sviluppo cognitivo Psicologia: La memoria, tipi di memoria Latino: Agostino, le confessioni, il tesoro della memoria
barocca, sia davanti al Colosseo. La sezione centrale dell’opera si intitola LA FINE DI CRONO:
Crono è il padre di Giove ed è proprio il simbolo del tempo. Egli esemplifica gli intendimenti
dell’intera raccolta, ossia quell’eternità che l’uomo, soprattutto attraverso la poesia, cerca
costantemente di raggiungere già in questa vita, ma essa si attuerà soltanto dopo la morte.
Analogie e differenze tra l’ “Allegria” e “Sentimento del tempo”.
Le poesie di “Sentimento del tempo” segnano una svolta fondamentale nella direzione di un ritorno
alla tradizione. La parola poetica utilizzata nell’Allegria, viene immessa nella tradizione letteraria,
che ha i suoi nomi- guida in Petrarca e Leopardi. I due poeti sono vicini ad Ungaretti anche per
quanto riguarda la riflessione sul tempo: Leopardi, infatti, sente la fine di una civiltà giunta al
culmine della sue evoluzione, mentre Petrarca si trova di fronte a un mondo, quello della classicità,
da ripristinare attraverso la memoria dell’antico.
Terminata la guerra, Ungaretti aveva continuato la sue meditazione sulla poesia e sulla condizione
dell’uomo. La prima lo porta al recupero dell’endecasillabo e del settenario, che non si riduce ad
una pura esercitazione stilistica e metrica, ma risponde all’esigenza morale che avverte il poeta di
comunicare agli uomini le sue arcane scoperte, di essere insomma il poeta “veggente”, teorizzato
dai simbolisti. Quanto alla seconda meditazione, sulla condizione dell’uomo, il titolo “Sentimento
del tempo” è fortemente allusivo: sta ad indicare, infatti, il veloce scorrere del tempo, il rapido
fluire delle cose, delle persone amate, che produce, per contrasto, la nostalgia del passato e un più
tenace attaccamento alla vita. Accanto a questo tema del fluire delle cose, appare l’altro tema della
raccolta, scaturito da un avvicinamento di ungaretti alla fede: il sentimento di Dio, in cui solamente
si placa l’angoscia esistenziale del poeta.
Nel “Sentimento del tempo”, Ungaretti evidenzia un altro suo modo possibile di intendere il tempo:
esso è infatti qui sentito come durata, come causa del mutare di tutte le cose, in un processo
continuo di distruzione e rinascita. Nell’Allegria, invece, le singole poesie miravano a fissare
quell’istante in cui si manifesta, in modo quasi magico, il mistero della vita: il tempo viene così
concepito come un’ entità discontinua, un insieme di attimi separati e distinti tra di loro.
L’ “Allegria” privilegiava la prima persona del presente indicativo, proprio per marcare l’esperienza
della guerra, vissuta dal poeta in prima persona; nel “Sentimento del tempo”domina l’indicativo
imperfetto, che ha essenzialmente valore evocativo. Nel “Sentimento del tempo” , il poeta rinuncia
alla frantumazione in versicoli, ma li organizza in strofe costruite su una sintassi che può essere
anche complessa.
Scriverà Ungaretti in proposito: «Non cercavo il verso di Jacopone o quello di Dante, o quello del
Cavalcanti, o quello del Leopardi: cercavo in loro il canto. Non era l’endecasillabo del tale, non era
il novenario, non il settenario del tale altro, era il canto italiano, era il canto della lingua italiana che
cercavo nella sua costanza attraverso i secoli, attraverso voci così numerose e così diverse di timbro
e così gelose della propria novità e così singolari nell’esprimere pensieri e sentimenti; era il battito
del mio cuore che volevo sentire in armonia con il battito del cuore dei miei maggiori di una terra
disperatamente amata». 7
Di luglio (Sentimento del tempo)
Quando su ci si butta lei,
Si fa d'un triste colore di rosa
Il bel fogliame.
Strugge forre, beve fiumi,
Macina scogli, splende,
E' furia che s'ostina, è l'implacabile,
Sparge spazio, acceca mete,
E' l'estate e nei secoli
Con i suoi occhi calcinanti
Va della terra spogliando lo scheletro.
Quando sovviene l’estate,
il bel fogliame assume un triste colore rosa.
Essa distrugge le pareti in cui scorrono i corsi d’acqua, asciuga i fiumi,
sgretola gli scogli, splende,
è come rabbia che si ostina, è implacabile,
aumenta la grandezza dei luoghi, impedisce la visione dei confini,
questa è l’estate che riduce gli occhi a calce, a causa del suo calore,
e rende sempre più nudo lo scheletro della terra.
Analisi del testo
Il “sentimento del tempo” e del suo inevitabile trascorrere riguarda in questa poesia la stagione
estiva, vista come momento che distrugge la natura stessa. Il soggetto è l’estate (v.8). il primo
verso evidenzia un tono di accanimento dirompente, che si traduce nell’uso di un verbo “forte”
associato a particelle monosillabiche (su ci si butta lei), introducendo un ritmo abbastanza
aggressivo. Gli effetti devastanti sulla natura vengono evidenziati nei versi 4-7, che sembrano
scorrere impetuosi e travolgenti. Il periodare è breve, basato su rapide sequenze, sull’unione tra un
verbo e il suo complemento oggetto. Si tratta di ottonari divisi, con perfetta simmetria, in due parti
di quattro sillabe, con accenti che cadono martellanti sulle sillabe dispari.
Dopo l’indicazione del soggetto il ritmo si placa: all’immediatezza dell’azione subentra la
considerazione degli effetti che questa stessa azione ha prodotto nel suo cammino secolare. Il
lento fluire del discorso si racchiude negli esiti di una fissità macabra: dagli “occhi calcinanti” allo
“scheletro” dissepolto.
Questa poesia contiene un esempio significativo del “barocco” ungarettiano, come ricerca di uno
stile più ricco, che corrisponde ad un’idea della natura come interrotto e continuo travaglio. In tale
ambito rientra anche il motivo della metamorfosi, presente nei vv. 2-3; esso è introdotto dal verbo
di movimento “si fa” e consiste nel passaggio dal verde del fogliame al colore di rosa,
accompagnato dall’antitesi “bel/triste”. Lo stile di Ungaretti sembra avvicinarsi a quello della poesia
dannunziana; ma al panismo di D’Annunzio si sostituisce qui il prevalere di un destino di
dissoluzione e di morte. L’elemento decisivo risulta quello di una perplessità esistenziale, di una
sospesa incertezza di fronte al mistero delle cose. 8
PRIMO LEVI : SE QUESTO è UN UOMO
“Se questo è un uomo” è un romanzo autobiografico di Primo Levi e rappresenta la
coinvolgente testimonianza di quanto fu vissuto in prima persona dall’autore nel campo
di concentramento di Auschwitz. Levi diceva testualmente che “ il libro era nato fin dai
giorni di lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri
partecipi”..
Entrato nel 1943 nelle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà, Primo Levi fu catturato
dai tedeschi e deportato nel Lager di Auschwitz, in quanto ebreo. Riuscì però a scampare
allo sterminio e a ritornare così a Torino, la sua città natale.
Il libro è una testimonianza sulla crudeltà non solo fisica, ma anche morale, che mirava
prima di tutto a distruggere la sostanza umana stessa del deportato. “Se questo è un
uomo” non è solo un libro di memorie, un documento, ma è anche uno studio acutissimo
sulle leggi che regolano quella società fuori del comune che è il Lager.
Molte sono le descrizioni di quella realtà cruda, cupa, che lasciano senza fiato e che
portano immediatamente al silenzio e alla riflessione.
Iniziata con la stesura di la vocazione letteraria di Primo Levi ha dimostrato
Se questo è un uomo,
uno spessore artistico ed intellettuale che non può essere semplicemente ridotto alla categoria della
testimoninza episodica, come fu per molti tra gli scampati ai campi di sterminio nazisti.
L'esperienza della deportazione rimase sempre centrale nelle opere di Levi, analizzata con lucidità
di pensiero: la malvagità di cui l'uomo era stato capace non trovò in lui né un facile assolutore né un
superbo inquisitore.
La testimonianza di Primo Levi
“Per mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwithz solo nel 1944, e cioè dopo che il
Governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la
vita media dei prigionieri da eliminarsi, concedendo sensibili miglioramenti nel tenore di
vita e sospendendo temporaneamente le uccisioni ad arbitrio dei singoli.
Avevamo deciso di trovarci, noi Italiani, ogni domenica sera in un angolo del Lager; ma
abbiamo subito smesso, perché era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta più pochi, e
più deformi, e più squallidi. Ed era così faticoso fare quei pochi passi: e poi, a ritrovarsi,
accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non farlo….”
L’inverno nel lager
Con tutte le nostre forze abbiamo lottato perché l’inverno non venisse. Ci siamo aggrappati a tutte
le ore tiepide, a ogni tramonto abbiamo cercato di trattenere il sole in cielo ancora un poco, ma 9
tutto è stato inutile. Ieri sera il sole si è coricato irrevocabilmente in un intrico di nebbia sporca, di
ciminiere e di fili, e stamattina è inverno.
Noi sappiamo che cosa vuol dire, perché eravamo qui l’inverno scorso, e gli altri lo impareranno
presto. Vuol dire che, nel corso di questi mesi, dall’ottobre all’aprile su dieci di noi, sette morranno.
Chi non morrà, soffrirà minuto per minuto, per ogni giorno, per tutti i giorni: dal mattino avanti l’alba
fino alla distribuzione della zuppa serale dovrà tenere costantemente i muscoli tesi, danzare da un
piede all’altro, sbattersi le braccia sotto le ascelle per resistere al freddo. Dovrà spendere pane per
procurarsi guanti, e perdere ore di sonno per ripararli quando saranno scuciti. Poiché non si potrà
più mangiare all’aperto, dovremo consumare i nostri pasti nella baracca, in piedi, disponendo
ciascuno di un palmo di pavimento, e appoggiarsi sulle cuccette è proibito. A tutti si apriranno ferite
sulle mani, e per ottenere un bendaggio bisognerà attendere ogni sera per ore in piedi nella neve e
nel vento…… (Se questo è un uomo)
“Se questo è un uomo” e l’ “Inferno”
dantesco
Il romanzo di Primo Levi tiene costantemente presente l’Inferno dantesco. È evidente una netta
metafora: quella tra LAGER e l’INFERNO.
Analogie tra le due opere.
- viaggio che gli ebrei fanno verso il lager di Auschwitz appare come un viaggio verso il buio,
le tenebre, l’ inferno;
- l’autocarro che trasporta i prigionieri verso il campo di concentramento può essere
paragonato alla barca che traghetta le anime dannate al di là del fiume Acheronte;
- il soldato tedesco che sorveglia i deportati viene chiamato da Primo Levi “il nostro
riprendendo la figura del Caronte dantesco, traghettatore delle anime;
Caronte”,
- sulla porta dell’ Inferno c’era scritto: Sulla porta del Lager di Auschwitz vi
"Per me si va nella città dolente, era la scritta
per me si va ne l’etterno dolore, : ARBEIT MACHT FREI
per me si va t ra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore; IL LAVORO RENDE LIBERI
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e ‘l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate.” 10
antinferno;
- la prima giornata nel Lager viene definita
casa dei morti,
- il Lager viene definito richiamando l’Inferno dove vi sono le anime;
- le pene dei prigionieri ricordano quelle dei dannati: nell’Inferno dantesco gli avari spingono
i massi, i golosi sono oppressi da una pioggia maledetta ed eterna, i lussuriosi sono
tormentati da una bufera;
- Il tumulto, ovvero il rumore che Dante percepisce appena varcata la porta dell’Inferno, può
essere ricollegato alla baracca assegnata a Primo Levi, dove tutti urlavano in lingue mai
sentite prima;
- l’infermeria del Lager, detta Ka-Be, viene paragonata al limbo, un mondo escluso dalle
categorie del bene e del male, privo di punizioni vere proprie: rappresenta forse il momento
di tregua nei lager nazisti;
- al momento di sostenere l’esame di chimica per essere trasferito in laboratorio, Levi si
imbatte nel dottore, che rassomiglia in qualche modo al giudice infernale. Egli riprende in
qualche modo il Minosse dantesco, che assegna a ciascuna delle anime dannate un