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Sintesi

Tesina - Premio maturità  2008

Titolo: Filosofia e scienza tra continuo e discreto

Autore: Silvia Carnevale

Descrizione: illustrazione della contrapposizione tra continuità  e discretezza in ambito matematico e fisico, a partire dal pensiero greco per arrivare alle moderne teorie atomiche e alla teoria degli insiemi numerici.

Materie trattate: matematica, fisica, percezione visiva

Area: scientifica

Sommario: La relazione tra continuo e discreto è una delle problematiche più antiche del pensiero umano, in particolare nel campo delle scienze matematiche e fisiche, sia a livello concettuale che concreto. Nello studio dei fenomeni fisici, infatti, si sono sempre contrapposte o affiancate teorie che vedevano la costituzione ultima della materia come un qualcosa di "discreto" e teorie che privilegiavano un'idea di "continuità " dei fenomeni reali. Le categorie del discreto e del continuo sono dunque categorie generali di riferimento di cui ci si avvale per indagare, descrivere o progettare cose. La contrapposizione tra continuo e discreto nel pensiero classico Già  alle origini del pensiero nel mondo greco ci si pose il problema di individuare il principio unificatore, ultimo, della realtà . Tra i primissimi a proporre teorie e modelli furono Talete, Anassimene ed Eraclito, che indicarono degli "elementi" come costituenti fondamentali della realtà : rispettivamente, individuarono tali costituenti nell'acqua, nell'aria e nel fuoco. Empedocle, invece, indicò non uno ma quattro elementi alla base della realtà  (aria, acqua, fuoco, terra) Il compromesso tra discretezza e continuità  nella filosofia pitagorica Fu nello sviluppo del pensiero pitagorico (VI-V secolo a.C.) che la discussione continuo-discreto si presentò pienamente per la prima volta. Per i pitagorici, l'unità  fondamentale della realtà  e il suo costituente di base è il numero. La concezione pitagorica di numero è profondamente diversa da quella moderna: il numero è infatti inteso come entità  fisica dotata di dimensioni (monade). I numeri, questi "punti materiali" si dispongono in ordini geometrici (misurabili) a formare la realtà  tangibile. Lo spazio dei pitagorici è quindi costellato da entità  concrete e discrete, i numeri appunto; i pitagorici, tuttavia, non rinunciano a una certa idea di continuità  dei fenomeni naturali, in quanto ammettono che tra una monade e l'altra ci sia dell'altra materia (diversa dalle monadi stesse), come ad esempio l'aria. La continuità  dell'essere nella scuola di Elea (V sec a.C.) La concezione della continuità  della materia è centrale, e affermata con forza, dalla scuola di Elea, i cui principali esponenti furono Parmenide e Zenone. Partendo dai principi logici di identità  e di non-contraddizione, Parmenide afferma che l'essere è e non può non essere, mentre il non essere non è e non può essere.

Estratto del documento

LICEO CLASSICO “M. PAGANO” ­ CAMPOBASSO

ESAME DI STATO A.S. 2007­2008

Argomento scelto dal candidato

FILOSOFIA E SCIENZA TRA CONTINUO E DISCRETO

­da Pitagora a Dedekind, da Democrito a Rutherford­

Campobasso 18 giugno 2008 Silvia Carnevale, III A

FILOSOFIA E SCIENZA TRA CONTINUO E DISCRETO

­da Pitagora a Dedekind, da Democrito a Rutherford­

CONTENUTI

La contrapposizione tra continuo e discreto nel pensiero classico

Il compromesso tra discretezza e continuità nella scuola pitagorica

• La continuità dell'essere nella scuola eleatica

• La svolta dell'atomismo: la discretezza della materia

• L'espressione letteraria dell'atomismo: il De rerum natura di Lucrezio

• Le prime difficoltà: incommensurabilità di segmenti e paradossi di Zenone

La matematica moderna tra continuo e discreto

Dai paradossi di Zenone al concetto di infinitesimo

• La teoria degli insiemi numerici: discretezza di N e continuità di R

La fisica moderna: un nuovo atomismo

John Dalton: la nuova teoria degli atomi

• La teoria atomica moderna: i modelli atomici di Thomson e Rutherford

Le tecnologie: dal continuo al discreto

I concetti di analogico e digitale

• La digitalizzazione delle informazioni: l'immagine

La percezione visiva continua del discreto

Cenni di percezione visiva

• Lucio Fontana – Concetto spaziale (1952)

• Il puntinismo e Georges Seurat – Una domenica pomeriggio all'isola

• della Grande Jatte (1884­1886)

Campobasso, 18 giugno 2008 Silvia Carnevale, III A

La relazione tra continuo e discreto è una delle problematiche più antiche del pensiero umano, in

particolare nel campo delle scienze matematiche e fisiche, sia a livello concettuale che concreto.

Nello studio dei fenomeni fisici, infatti, si sono sempre contrapposte o affiancate teorie che

vedevano la costituzione ultima della materia come un qualcosa di “discreto” e teorie che

privilegiavano un'idea di “continuità” dei fenomeni reali. Le categorie del discreto e del continuo

sono dunque categorie generali di riferimento di cui ci si avvale per indagare, descrivere o

progettare cose.

La contrapposizione tra continuo e discreto nel pensiero classico

Già alle origini del pensiero nel mondo greco ci si pose il problema di individuare il principio

unificatore, ultimo, della realtà.

Tra i primissimi a proporre teorie e modelli furono Talete, Anassimene ed Eraclito, che indicarono

degli “elementi” come costituenti fondamentali della realtà: rispettivamente, individuarono tali

costituenti nell'acqua, nell'aria e nel fuoco. Empedocle, invece, indicò non uno ma quattro elementi

alla base della realtà (aria, acqua, fuoco, terra)

Il compromesso tra discretezza e continuità nella filosofia pitagorica

Fu nello sviluppo del pensiero pitagorico (VI­V secolo a.C.) che la discussione continuo­discreto si

presentò pienamente per la prima volta.

Per i pitagorici, l'unità fondamentale della realtà e il suo costituente di base è il numero. La

concezione pitagorica di numero è profondamente diversa da quella moderna: il numero è infatti

inteso come entità fisica dotata di dimensioni (monade). I numeri, questi “punti materiali” si

dispongono in ordini geometrici (misurabili) a formare la realtà tangibile.

Lo spazio dei pitagorici è quindi costellato da entità concrete e discrete, i numeri appunto; i

pitagorici, tuttavia, non rinunciano a una certa idea di continuità dei fenomeni naturali, in quanto

ammettono che tra una monade e l'altra ci sia dell'altra materia (diversa dalle monadi stesse), come

ad esempio l'aria.

La continuità dell'essere nella scuola di Elea (V sec a.C.)

La concezione della continuità della materia è centrale, e affermata con forza, dalla scuola di Elea, i

cui principali esponenti furono Parmenide e Zenone.

Partendo dai principi logici di identità e di non­contraddizione, Parmenide afferma che l'essere è e

non può non essere, mentre il non essere non è e non può essere. Delinea quindi le caratteristiche

dell'essere, che non possono implicare il non­essere: l'essere è quindi ingenerato e imperituro,

eterno, immutabile, unico, omogeneo, immobile, finito (in quanto la finitudine è sinonimo di

perfezione). Tra le caratteristiche dell'essere c'è anche l'indivisibilità: ammettere che l'essere sia

divisibile significherebbe ammettere l'esistenza del non­essere come elemento separatore.

L'universo è quindi un Tutto impenetrabile, pieno di materia (continua) che non è possibile

localizzare in punti (coincidenza materia­estensione).

La svolta dell'atomismo (V­IV sec. a.C.)

Una svolta rilevante rispetto al pensiero eleatico si ha con Leucippo e Democrito, primi esponenti

della corrente di pensiero “atomistica” che proseguirà con Epicuro e arriverà a penetrare fortemente

anche nel mondo latino.

Con il pensiero democriteo si ha una sorta di “fisicizzazione” del dualismo essere – non­essere

proposto dagli eleatici: l'essere si identifica con il pieno e il non­essere con il vuoto. La riflessione

si focalizza sulla fisica, sulla teoria della materia, distanziandosi così dalla tradizione pitagorica, più

strettamente matematica.

L'idea dell'esistenza dell'atomo è frutto di un procedimento strettamente razionale e deduttivo, a

partire dal problema della divisibilità evidenziata dal paradosso dello stadio di Zenone.

Al contrario degli eleatici, Democrito ammette la divisibilità: la divisibilità all'infinito è ammessa

soltanto in campo matematico; in campo fisico, se si dividesse ripetutamente la materia, essa

finirebbe con il dissolversi nel nulla e si arriverebbe quindi alla non­materia. Bisognerebbe accettare

quindi che la realtà abbia origine dal nulla, che l'essere nasca dal non­essere, il pieno dal vuoto. La

materia è sì divisibile, ma solo entro certi limiti, cioè fino a quando non si raggiungono dei

costituenti elementari: per la prima volta nella storia del pensiero, si intuisce l'esistenza di

corpuscoli fondamentali di materia che vanno a costituire la realtà tangibile. Proprio perché

indivisibili, Democrito chiama tali corpuscoli “atomi” (“indivisibili”). La divisibilità determina

l'accettazione di un elemento separatore, il vuoto, che denoti l'individualità di un atomo: si esce così

dall'equivoco pitagorico di corpuscoli discreti costituenti materia continua e si approda a una piena

concezione della discretezza della materia. De rerum natura

L'atomismo di Epicuro e l'espressione in campo letterario: il di

Lucrezio

Le teorie atomiste non sono limitate alla scuola democritea del V secolo, ma hanno un'ampia

diffusione ed arrivano, in particolare, a costituire la base della filosofia di Epicuro (IV­III sec. a.C.).

Nella filosofia epicurea, l'atomismo non è limitato al campo fisico, ma diventa la base anche delle

teorie etiche: è grazie alla diffusione delle dottrine epicuree che l'atomismo rivela tutta la sua

potenza espressiva, anche in campo artistico­letterario. Il culmine dell'espressione artistica delle

teorie atomiste è rappresentato, nel mondo latino, dal De rerum natura di Tito Lucrezio Caro.

Nel libro I, Lucrezio introduce la teoria degli atomi a partire, come Democrito, dal principio di

eternità della materia: le cose non possono svanire nel nulla e non possono originarsi dal nulla. I

corpi si formano per aggregazione (e si distruggono per disgregazione) di corpuscula minima,

invisibili e immutabili: gli atomi, appunto.

In particolare, prendiamo in considerazione i versi 483­502 del libro I:

Corpora sunt porro partim primordia rerum,

partim concilio quae constant principiorum.

sed quae sunt rerum primordia, nulla potest vis

stinguere; nam solido vincunt ea corpore demum.

etsi difficile esse videtur credere quicquam

in rebus solido reperiri corpore posse.

transit enim fulmen caeli per saepta domorum

clamor ut ac voces, ferrum candescit in igni

dissiliuntque fero ferventi saxa vapore;

cum labefactatus rigor auri solvitur aestu,

tum glacies aeris flamma devicta liquescit;

permanat calor argentum penetraleque frigus,

quando utrumque manu retinentes pocula rite

sensimus infuso lympharum rore superne.

usque adeo in rebus solidi nihil esse videtur.

sed quia vera tamen ratio naturaque rerum

cogit, ades, paucis dum versibus expediamus

esse ea quae solido atque aeterno corpore constent,

semina quae rerum primordiaque esse docemus,

unde omnis rerum nunc constet summa creata.

I corpi sono dunque in parte i principi delle cose

in parte ciò che consta dall'adunarsi dei principi.

Ma quelli che sono i principi delle cose, nessuna forza può

distruggerli: infatti al termine vincono, poiché hanno corpo compatto

­ benché sia difficile credere che alcunché tra le cose

possa trovarsi dotata di corpo compatto.

Passa infatti il fulmine del cielo attraverso i muri delle case

come il grido e le voci: s'arroventa il ferro alla fiamma

si frantumano rocce al feroce calor della fiamma;

sia durezza dell'oro si scioglie al calore,

sia il freddo del bronzo si fa liquido, vinto da fiamma;

si diffonde nell'argento il calore, o il freddo insinuante,

poiché o l'uno o l'altro avvertiamo, tenendo le coppe

com'è prescritto, mentre è versato liquido stillante dall'alto.

A tal punto nulla di solido appare esistere nelle cose.

Ma poiché vera dottrina e natura del mondo

costringe: stammi vicino, mentre in pochi versi spieghiamo

esistere cose dotate di corpo solido ed eterno,

che insegnamo essere i semi e principi delle cose,

da cui tutto il complesso del mondo risulta creato.

Ma l'atomismo non è soltanto l'argomento concettuale del poema di Lucrezio: esso diventa quasi la

poetica, la chiave di lettura del poema stesso. Italo Calvino parla così di Lucrezio:

Nel pulviscolo dorato sospeso nell'aria, quando il buio di

una stanza è penetrato da raggi di luce, Lucrezio

contemplava battaglie di corpuscoli impalpabili, invasioni,

assalti, giostre, vortici... (Spade, Stella, Ori, Spade)

Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati

Il De rerum natura di Lucrezio è la prima grande opera di

poesia in cui la conoscenza del mondo diventa

dissoluzione della compattezza del mondo, percezione di

ciò che è infinitamente minuto e mobile e leggero. [...] La

più grande preoccupazione di Lucrezio sembra quella di

evitare che il peso della materia ci schiacci.

Italo Calvino, Lezioni americane. Leggerezza.

Le prime difficoltà: l'incommensurabilità dei segmenti e i paradossi di Zenone

Le difficoltà dei modelli pitagorico ed eleatico si evidenziano all'interno delle stesse scuole: li

esporremo prendendo come riferimento i “problemi del segmento”.

Per i pitagorici, un segmento è necessariamente costituito da un numero ­grande quanto si vuole, ma

finito­ di monadi: di conseguenza, sarà sempre possibile trovare un sottomultiplo comune a due

segmenti diversi (almeno, la monade stessa). Ma Pitagora, che risolve il problema della misurazione

dell'ipotenusa del triangolo rettangolo, si imbatte nel problema della determinazione dell'ipotenusa

del triangolo rettangolo isoscele.

 2 2 d 2

i= a =l⋅

b

La diagonale del quadrato avrà misura d√2. Dimostrato che il numero √2 è irrazionale, il lato del

incommensurabili.

quadrato e la sua diagonale risultano essere

Tale difficoltà è ulteriormente ribadita dal secondo paradosso di Zenone contro il pluralismo (Il

segmento)

Sia dato un segmento. Possiamo pensarlo costituito da infiniti punti senza dimensioni o da

infiniti punti con dimensioni. Ma se si sommano infinite quantità che hanno per dimensione

zero, si ottiene per risultato lo zero. Viceversa, sommando infinite quantità con dimensioni

otteniamo un oggetto infinito. In ambedue i casi non abbiamo il segmento.

stadio)

e dal primo paradosso contro il movimento (Lo

Supponiamo che il tragitto da percorrere sia un segmento AB. Chi parte da A, prima di

arrivare a B dovrà aver percorso la metà AC dell'intero tragitto; prima di percorrere AC

dovrà aver per­ corso la sua metà AD; prima di percorrere AD dovrà aver percorso la sua

metà AE; e così via all'infinito. Conseguentemente ci si avvicina sempre più a B senza

raggiungerlo mai.

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