Sintesi
Il Fascismo

Il problema delle origini del fascismo è tuttora una questione aperta, anche se tutti concordano nell’attribuire al ceto medio la base del consenso attribuito a Mussolini. Lo storico Renzo De Felice distingue la storia del duce in due fasi: quella del fascismo-movimento, ovvero dalla fondazione dei Fasci, e del fascismo-regime, ovvero quando il regime cadde.
Proprio questa distinzione gli permise di individuare un tipo di ceto medio emergente, costituito da insegnanti e impiegati, che da una parte era schiacciato dalla borghesia, e dall’altra dal proletariato organizzato e socialista.
Questo particolare tipo di ceto medio era stato interventista prima della guerra. Esso aveva militato nell’aviazione e addirittura tra i marinai.
Arrivata la pace, questo ceto non si era adattato al ritorno alla normalità, della quale aveva avvertito già da prima le frustrazioni.
Frustrante era stata innanzitutto la conclusione dei Trattati di pace che, non solo avevano assegnato all’Italia la città di Fiume, ma avevano anche messo in discussione l’assegnazione della Dalmazia, contro le promesse del Patto di Londra.
Facendosi interprete dello sdegno nazionalista, il poeta-soldato Gabriele D’Annunzio coniò l’espressione “vittoria mutilata” e arrivò addirittura a occupare Fiume.
Giolitti sistemò invece la questione facendo proclamare Fiume”Stato libero”; poi fece prendere a cannonate il quartier generale di D’Annunzio e lo fece sgomberare.
Quanto alla Dalmazia, fu il presidente Wilson a negarla all’Italia.
Giolitti, gliela cedette nel 1920 con il Trattato di Rapallo. Agli occhi dei ceti medi emergenti, il tradimento era ormai totale.

Le aspirazioni dei ceti medi emergenti non furono l’unica causa dell’ascesa del fascismo.
L’altra fu che, sia politicamente che economicamente, in quegli anni l’Italia andava alla deriva.
La guerra aveva fatto emergere la debolezza dell’economia. Nel 1918-19 le uscite dello Stato furono tre volte superiori alle entrate. Un’inflazione galoppante tagliò il valore dei salari.
Il risultato fu un Biennio rosso costituito da un’ondata di scioperi degli operai dell’industria tra il 1919 e il 1920 che raggiunse il culmine quando, esaltati dai successo della Rivoluzione Sovietica, 500.000 operai del Nord si organizzarnono in consigli di fabbrica.
Nelle campagne le Leghe rosse organizzarono scioperi e occupazioni delle terre che fecero praticamente fallire un intero anno di raccolti.

I governi liberali che si succedettero nei pochi anni precedenti all’affermazione del fascismo si dimostrarono incapaci di comprendere quanto il conflitto e le riforme avessero cambiato la situazione politica.
Giolitti, continuò a ragionare in termini di “rimpasti” e di “coalizioni” che avevano funzionato finché, tra opposizione e maggioranza non vi erano radicali divisioni di principio.
La legge del suffragio universale, fece emergere invece i partiti di massa, molto meno disposti a farsi coinvolgere in trattative personali.
Tali partiti erano:
Il Partito socialista. Era particolarmente forte nelle città industriali del Nord e della Romagna.
Il Partito popolare, fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo. Riuniva i cattolici che avevano un forte sostegno nelle campagne ed erano molto vicini ai socialisti.
Nelle elezioni del 1920 i popolari ebbero 100 seggi alla Camera e si allearono con i liberali, ma la coalizione ebbe breve durata: la tradizione laica, addirittura anticlericale dei liberali, entrò quasi subito in rotta di collisione con le richieste dei cattolici e Giolitti restò isolato in Parlamento.
I nazionalisti gli rimproveravano già la cessione della Dalmazia, mentre gli agrari e gli industriali lo accusarono di nuovo di lassismo per i suoi mancati interventi contro gli scioperanti.
Di questa progressiva debolezza del governo, ormai prossimo alla paralisi, approfittò un “uomo nuovo”: Benito Mussolini.

Mussolini era romagnolo figlio di un fabbro, ma si era diplomato maestro elementare; era diventato giornalista, socialista e pacifista.
Poco prima della guerra si era trasformato in interventista e aveva fondato un suo giornale “Il Popolo d’Italia”.
Aveva un carattere irruento, un suo fascino personale, una cultura disordinata e una straordinaria capacità di parlare in pubblico attanagliando l’uditorio.
Nel 1919 si unì a un gruppo formato prevalentemente da ex combattenti e dopo fondò i Fasci di combattimento, che era una associazione di persone che vogliono affermare la disciplina con la forza. Il suo scopo era il potere in quanto tale e proprio l’indefinitezza dei Fasci fu probabilmente la chiave del suo successo.

Ai Fasci Mussolini diede una struttura molto aperta in cui l’elemento essenziale erano i capi locali chiamati Ras, li vestì con una camicia nera e un Fez e nel 1920 li portò a Bologna e li scatenò contro i braccianti socialisti.
Ne nacque una sparatoria e nella confusione tirarono sulla folla, dei loro compagni e ne uccisero alcuni. Pochi giorni dopo ammazzarono tre fascisti.
Questi episodi, noti come fatti di Palazzo Accursio sono considerati l’atto di nascita del fascismo.
Grazie a questo scontro Mussolini si presentò come il tutore dell’ordine contro gli scioperi.
Il padronato accettò e nelle casse dei Fasci cominciò a piovere il denaro.
 
Nel 1921 gli iscritti al movimento di Mussolini, che intanto si era trasformato in Partito nazionale fascista, e che cominciarono a chiamare “duce” il suo capo, erano 152 000.
A quel punto gli eventi precipitarono. Giolitti non riusciva a governare. Nel tentativo di ottenere una maggioranza stabile, costituì un’altra coalizione, i Blocchi nazionali, in cui accolse anche i fascisti.
Le elezioni del 1921 portarono al Parlamento 35 deputati fascisti e diedero a Mussolini una patente di legalità che con le sole azioni delle squadracce non avrebbe mai ottenuto.
Giolitti non  riuscì a formare la maggioranza e diede le dimissioni.
Le camicie nere intensificarono le loro aggressioni e Mussolini condannò le violenze ma contemporaneamente firmò il patto di pacificazione con i socialisti e rinnegò la violenza dei fasci che tanto aveva favorito.
Nessuno però riusciva a fermare le squadre, non obbedivano neanche al loro capo che, dopo il “patto”, consideravano un rinnegato.
A salvare Mussolini intervennero gli errori della sinistra. Il primo si era già  verificato nel Gennaio del 1921, quando durante il Congresso di Livorno, dal Partito socialista si separarono in gruppo torinese di Antonio Gramsci e quello napoletano di Amedeo Bordiga che obbedendo agli ordini di Lenin fondarono il Partito comunista d’Italia.
Il secondo fu lo sciopero generale legalitario.
Esso offrì invece un occasione d’oro a Mussolina che si riappacificò con le camicie nere e ordinò la loro mobilitazione. I fascisti invasero molte città tra cui Milano e esautorarono tutti i consigli comunali retti da socialisti. Il Partito fascista arrivò dopo quei fatti a 300 000 iscritti.
 

Mussolini approfittò di quel momento di eccezionale fortuna per organizzare una Marcia su Roma, che avrebbe dovuto consistere nell’occupazione della capitale.
In realtà, fascisti divisi in quattro colonne si misero disordinatamente in marcia, chi in treno, chi su camion, chi in bicicletta. L’esercito, schierato intorno a Roma sarebbe stato in grado di disperderli facilmente, ma qui entrò in azione il re, Vittorio Emanuele III, che ordinò di smantellare i posti di blocco e di lasciar passare. Tre giorni dopo invitò Mussolini a costituire un nuovo governo.
I fascisti celebrarono la marcia come un trionfo.
Qualche giorno dopo, nel presentare alle camere il suo ministro, Mussolina pronunciò un discorso e cominciò da qui, la fine del fascismo-movimento.
Mussolini non era andato al potere sull’onda del moto rivoluzionario, bensì di un compromesso tra fascismo e classe dirigente tradizionale.
Ciò costrinse il duce a barcamenarsi tra intransigenti, che aborrendo il sistema parlamentare volevano la “seconda ondata” per assicurarsi la totale vittoria, e fiancheggiatori, che chiedevano invece la “normalizzazione” per garantire la conservazione del sistema tradizionale e dei propri privilegi.

Nelle elezioni del 1924, le azioni dei ras e delle loro squadre fecero ancora comodo al duce, che aveva di fronte non solo la scomoda alleanza con i popolari, ma anche l’opposizione socialista e comunista. Le camicie nere, esercitarono minacce sugli elettori, sia durante la campagna elettorale sia durante le votazioni.
Poche settimane dopo Giacomo Matteotti, con eroico coraggio, denunciò queste illegalità in un infuocato discorso alla Camera.
Dopo ciò, alcuni fascisti, sequestrarono Matteotti e lo picchiarono a morte. Poi seppellirono l’imbarazzante cadavere alla periferia di Roma.
Il ritrovamento del corpo, due mesi dopo, suscitò un ondata di indignazione in tutto il paese. Tutti i deputati dell’opposizione abbandonarono per protesta il Parlamento e si riunirono altrove. Questo gesto fu poi chiamato “secessione dell’Aventino”.
Intanto però il Parlamento, aveva smesso di funzionare. Mussolini capì allora che gli si stava offrendo un’altra ottima occasione e decide di mostrare nuovamente il lato feroce della sua personalità politica.


Mussolini licenziò tutti i deputati dell’opposizione, sostituendoli con deputati fascisti.
Poi nel Gennaio 1925, mise fuori legge tutti i partiti indipendenti, i sindacati e le altre associazioni non fasciste; imprigionò i comunisti e istituì la censura sulla stampa.
Quindi rimosse alcuni ostacoli che limitavano il suo potere.
Quindi i suoi interventi principali furono:
Il ridimensionamento del potere del re
Il governo per decreti. Mussolini emanava leggi senza farle approvare dal Parlamento
L’abolizione dei sindacati con le Corporazioni. Le Corporazioni, era un’organizzazione che invertiva il rapporto tra dirigente e lavoratore.
La Carta del lavoro del 1927 sancì la nuova formula basata sul principio della “collaborazione di classe” e dell’”armonia” tra i diversi fattori produttivi.
Nel 1926 le Leggi fascistissime segnarono il definitivo tramonto della legalità attraverso:
L’abolizione del diritto di sciopero
L’istituzione del tribunale speciale, che introdusse la pena di morte e il carcere a vita
La fondazione dell’OVRA (Organizzazione per la Vigilanza e la repressione
dell’Antifascismo).
Da quel momento tutti gli oppositori furono dichiarati genericamente “antifascisti” e messi a tacere.
Molti andarono in esilio, ma solo il grande filosofo liberale Benedetto Croce, protetto dalla sua notorietà internazionale, divenne un punto di riferimento per tutti i giovani intellettuali che non aderivano al regime.

Intanto il Partito fascista veniva dotato di una serie di istituzioni parallele.
Gli ufficiali della Milizia, che aveva inglobato e riorganizzato le camice nere, avevano gradi equivalenti a quelli dell’esercito; i giudici del Tribunale speciale affiancarono e controllarono quelli dei tribunali ordinari.
Il Partito, a sua volta, fu posto sotto lo strettissimo controllo di Mussolini: dal 1926 i membri del Gran Consiglio furono nominati dal duce. I rivali vennero rimossi dal loro incarichi.
In pochi anni la burocrazia crebbe a tal punto che non fu più possibile muovere un passo senza un permesso, una carta bollata o un timbro. Con il proliferare degli uffici e l’ammucchiarsi delle pratiche, proliferò anche la corruzione.

La Chiesa cattolica, guidata da papa Pio XI, aveva stabilito la “politica di buon vicinato” che aveva dato grandi soddisfazioni a entrambi.
Nel 1923 il governo Mussolini aveva varato una riforma scolastica nota come riforma Gentile. Oltre ad avere risistemato l’intera organizzazione degli studi, la riforma aveva introdotto l’insegnamento della religione nelle scuole elementari e gli esami di Stato al termine di ogni ciclo di studi. Entrambi i provvedimenti furono accolti con grande soddisfazione dalla Chiesa.
In cambio, nel 1923, il Vaticano aveva imposto le dimissioni dal governo ai ministri del Partito popolare e quelle di segretario del partito a don Sturzo.
Queste reciproche gentilezze portarono nel 1929 alla firma dei Patti lateranensi, chiamati anche Concordato, che segnarono la riconciliazione tra lo Stato e la Chiesa.
Il Concordato si articolò sui seguenti punti:
Il papa riconobbe l’esistenza dell’Italia con Roma capitale;
L’Italia riconobbe a sua volta la Città del Vaticano come Stato indipendente;
La religione cattolica fu riconosciuta religione ufficiale dello Stato;
Alla Chiesa fu pagata una forte indennità in titoli di stato come risarcimento per la perdita dello Stato pontificio;
Da quel momento, portando a Mussolini il consenso dei cattolici, la chiesa divenne uno dei pilastri del potere di Mussolini. Ora del fascismo-movimento, del suo anticlericalismo e delle sue aspirazioni rivoluzionarie non vi era più traccia.
Si era nel pieno del fascismo-regime.

Mussolini avrebbe voluto costruire uno Stato totalitario. A differenza di Stalin e Hitler, ci riuscì però, solo in parte.
Ci riuscì in quanto il governo non fu più controllato da nessuna istituzione democratica liberalmente eletta e abolì tutte le libertà politiche e civili.
Ci riuscì inoltre tenendo le masse in uno stato di costante mobilitazione attraverso una martellante propaganda attuata prima di tutto attraverso la censura, che controllava tutte le notizie, anche le più innocenti.
Anche le scuole elementari furono indottrinate attraverso il testo di Stato.
Bambini e adolescenti erano inquadrati in organizzazioni giovanili di carattere paramilitare.
Lo spirito militaresco era fomentato da continui richiami alla gloria dell’antica Roma imperiale.
Il massimo strumento propagandistico erano tuttavia i discorsi del duce.
Fotografie e cinegiornali diffondevano la sua immagine di uomo atletico e sprezzante del pericolo, affettuoso con i bambini, terribile con gli avversari.
Nel suo studio di piazza Venezia, la luce rimaneva accesa tutta la notte, per far credere agli italiani che egli vegliava e lavorava costantemente per la patria.

Tuttavia, Mussolini non riuscì a realizzare quel totalitarismo assoluto al quale aspirava e che caratterizzò altri regimi contemporanei.
Il duce non riuscì a diventare un capo carismatico: fu un capo popolare, ma non fu mai ritenuto onnipotente, onnisciente e immune da errori.
Soprattutto, trovò sulla sua strada due ostacoli che Hitler e Stalin non avevano o che spazzarono via.
Per primo, c’era la chiesa che, pure essendo politicamente dalla sua parte, attraverso la propria organizzazione, continuò a svolgere presso i giovani un’opera educativa autonoma rispetto alle direttive del regime.
Per secondo invece, c’era il perso ingombrante della monarchia. Al re competevano il comando delle forze armate, la nomina dei senatori e il conferimento dell’incarico al capo del governo.
Quello del duce. Per questi motivi, è stato definito un “totalitarismo imperfetto”. Tale “imperfezione” non sembrò pesare a Mussolini fino al 1938, quando l’alleanza con la Germania cominciò a diventare in motivo di un’emulazione ossessiva nei confronti di Hitler.

Mussolini puntò molto sul tema dell’economia per costruire l’immagine di un’Italia vincente e fino al 1925-1926 riuscì a raggiungere quest’obiettivo.
Il lancio della “battaglia del grano” raddoppiò la disponibilità di cereali; la bonifica delle Paludi Pontine, tra Roma e Latine, rese coltivabili 60 000 ettari di terreno ed eliminò la malaria della zona; il completamento dell’Acquedotto Pugliese fornì acqua potabile per l’irrigazione.
Inoltre il forte ribasso dei salari imposto dalle Corporazioni, la fine degli scioperi e altre opportunità fornite al capitalismo privato, favorirono la ripresa industriale.
Dopo quella data però l’economia cominciò a declinare e la crisi raggiunse l’Italia.
In realtà Mussolini non capiva nulla di economia e i suoi collaboratori non furono da meno.
Dal 1925 il duce passò bruscamente dal liberismo al protezionismo.
L’intento era di proteggere le industrie nazionali dalla concorrenza, ma la conseguenza immediata fu che si perse l’incentivo a ridurre i costi e ad aumentare l’efficienza degli impianti.
Ci fu anche la fondazione dell’Iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale), con il compito di salvare con il denaro pubblico banche e aziende in difficoltà.
Grande enfasi fu data alla battaglia per la lira. Considerando “disonorevole” una lira svalutata, con una serie di manovre finanziarie essa fu portata al grande obiettivo di “quota 90” (90 lire per una sterlina inglese), che fece scendere in costo delle materie prime importate, ma ebbe un effetto drammatico sulle esportazioni e sulla nascente industria turistica.

Dopo il 1929, a causa degli effetti della Grande depressione, la situazione economica divenne addirittura disastrosa tanto che, a metà degli anni Trenta proprio quando sull’Europa e sul mondo si addensava la minaccia della guerra, l’Italia stava già toccando il fondo.
I salari erano i più bassi d’Europa e il reddito medio italiano era la metà di quello francese.
Altrettanto arretrato era il livello di nutrizione. Caffè, tè e zucchero erano considerati generi di lusso.
Mussolini lanciò anche una martellante campagna demografica, fornendo incentivi alle famiglie numerose e imponendo una tassa sul celibato e altri provvedimenti che fecero salire il tasso di natalità e portarono la popolazione da 38 milioni a 44 milioni nel giro di 18 anni.
Nel 1936 il regime non riuscì a impedire una svalutazione della lira che fece aumentare il costo della vita del 20% e Mussolini fu costretto a fingere di volere ottenere con ciò un popolo più forte e più resistente,

La Guerra d’Etiopia del 1935-1936 fu lo sblocco del disastro economico del fascismo. Essa si terminò con la conquista di Addis Abeba e la nascita dell’impero coloniale italiano. La guerra nel corso della quale gli Italiani ricorsero a feroci rappresaglie e all’uso di gas asfissianti, accrebbe la popolarità di Mussolini nel paese, ma gli alienò le simpatie delle democrazie occidentali.
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