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Introduzione Epifanie,tesina
La seguente tesina di maturità liceo scientifico vuole analizzare le epifanie in Joyce e nella letteratura del primo novecento. I collegamenti che permette di sviluppare questa tesina scientifica sono:
Letteratura - Svevo, Proust e Joyce
Inglese - Joyce
Arte - Surrealismo
Inglese - Joyce
Filosofia - Bergson, Freud
Fisica - Einstein e relatività
X.
Sempre nel Manzoni:
« ...sopire e troncare, padre molto reverendo, troncare e sopire... »
(Alessandro Manzoni. I promessi sposi)
Il celeberrimo motto dei Moschettieri, dal romanzo di Alexandre Dumas padre,
è un altro esempio di chiasmo. Se lo scriviamo in questo modo:
« UNO PER TUTTI
TUTTI PER UNO »
(Alexandre Dumas. I tre moschettieri)
si può notare chiaramente la disposizione a X delle parole: basta infatti
tracciare due linee, una che unisca le parole "tutti" e un'altra che unisca le
parole "uno", per ottenere una X.
L’allitterazione è una figura retorica (dal latino littera, “lettera”) che prevede
7
la ripetizione ad inizio (e meno frequentemente all’interno) di parole, vicino
della stessa consonante (più raramente della stessa vocale), per produrre
oscura e piena di presagi che va ben oltre i confini della città di
Dublino che in tal modo si trasforma in una sorta di città-archetipo
e, ancora oltre, di città-sogno. 8
3. Disintegrazione del tempo nel flusso di coscienza in
Joyce, Svevo e Proust
particolari effetti di suono e di significato. E’ assai usata in poesia, soprattutto
per creare sulla pagina effetti fonici che riproducono le sensazioni di chi scrive
(in tal caso, l’allitterazione è assai vicina alla tecnica del fonosimbolismo e
all’onomatopea) o per sottolineare con particolar forza ciò che il poeta sta
dicendo ai suoi lettori. Spesso l’allitterazione è usata anche nel linguaggio
comune, soprattutto con funzione mnemonica o in espressioni d’uso diffuso.
Tra i molti esempi di allitterazione, si può ricordare quello di Francesco Petrarca
nel primo sonetto dei Rerum vulgarium fragmenta:
“Di me medesmo meco mi vergogno”) (v. 11)
dove l’insistenza sul suono “m” (e sui corrispondenti pronomi personali)
sottolinea la componente intima e narcisistica della poesia petrarchesca e
anche di tutto il Canzoniere. Nella Sera fiesolana di D’Annunzio, la ripetizione
nei primi due versi di “f” ed “fr” vuole riprodurre il fruscio delle foglie al vento.
Questa espressione venne utilizzata per la prima volta dal filosofo americano
8
William James nei suoi “Principi di Psicologia” (1890). Nella sua opera
monumentale egli contrasta fortemente la psicologia tedesca del tempo
sostenendo che non esiste una sensazione semplice, poiché la coscienza è un
continuo pullulare di oggetti e relazioni. La parte più importante dei Principi è
quella relativa a the “stream of thought” nella quale afferma che ogni pensiero
appartiene ad una coscienza personale e pertanto è in continuo movimento,
quindi lo stato mentale di ognuno varia continuamente, di conseguenza non
può essere studiato.
La persistenza della memoria, Salvator Dalì, 1931, New York,
Museum of Modern Art
La grossa novità portata da Joyce dal punto di vista della tecnica
narrativa e già presente in “Gente di Dublino”, sia pure in una
forma destinata ad evolvere sino a modalità estreme nelle opere
successive, è il cosiddetto “flusso di coscienza”, diretta
conseguenza del prioritario interesse che la narrazione rivolge, non
tanto ai comportamenti esterni dei personaggi, quanto piuttosto al
rapporto interno che ciascuno di essi intrattiene con il proprio
mondo interiore, lo stesso, che, in quegli anni, Freud andava
teorizzando come “Io”. E’, dunque, nel flusso di coscienza che
l’epifania trova la propria espressione, una rete di associazioni
mentali, idee, immagini, ricordi, sensazioni, sentimenti propri della
realtà interiore di ogni essere per descrivere i quali il narratore si
astiene da ogni mediazione e necessariamente va oltre la lingua e
la sintassi conosciute e comunemente usate. Occorre, infatti,
arrivare sino alle espressioni più intricate e nascoste dell'animo del
personaggio, delle quali egli stesso neppure è consapevole e
riportarle liberamente, così come si presentano alla mente prima di
essere selezionate e logicamente organizzate in frasi dalla
coscienza, la parte consapevole e razionale della mente, secondo la
teoria di Freud. In “Gente di Dublino” il flusso di coscienza è ancora
reso mediante il monologo interiore. Si tratta di un’associazione
consapevole di idee che riproduce il fluire dei pensieri, delle
sensazioni e dei sentimenti del personaggio, per lo più in prima
persona e senza interventi dell’autore. In tal modo quest’ultimo
apre una finestra sulla vita interiore del personaggio e sui suoi
meccanismi psichici, finalizzata all’autoanalisi del personaggio
stesso, alla presa di coscienza di quanto avviene in lui. Attraverso il
monologo interiore il soggetto porta alla luce, chiarifica e
razionalizza ciò che avviene nella sua mente. Nelle opere
successive Joyce porterà tale scelta linguistica a sempre maggiore
esasperazione, fino ad arrivare al flusso di coscienza estremo di “La
veglia di Finnegan”, in cui l'epifania si dilata e diventa soprattutto
esplorazione delle infinite potenzialità del linguaggio, che dà
significato alla realtà, spesso rendendo la lettura assai difficoltosa.
Lo scrittore giungerà, pertanto, a descrivere libere associazioni di
idee, in cui pensieri e sensazioni del personaggio sono registrati in
presa diretta, senza più il controllo razionale che caratterizza il
monologo interiore. I pensieri sono più intimi, irrazionali, vicini
all’inconscio. Questa tecnica narrativa riproduce l’incontrollato e
inconsapevole affiorare di pensieri, immagini, parole e associazioni
dalla profondità della psiche. L’autore ricorre ad espedienti
espressivi che possano rendere la destrutturazione del pensiero,
quali l’assenza di punteggiatura, la presenza di frasi lasciate in
sospeso, variazioni di registri linguistici e parole provenienti dai
campi semantici più disparati, talvolta inventate: una radicale
sperimentazione linguistica che impiega un registro espressivo
capace di vincere il filtro del simbolismo ordinario e di aderire alla
durata reale della psiche individuale. Nel riprodurre il succedersi
irrazionale di frammenti di pensieri, immagini, sensazioni, il flusso di
coscienza porta alla superficie in modo immediato la sfera
dell'inconscio. Il personaggio può restare fisicamente fermo e
muoversi con la mente a proprio piacimento nel tempo e nello
spazio poichè tali dimensioni spaziali e temporali perdono
consistenza materiale e assumono connotazione del tutto
9
soggettiva . Il tempo, perciò, non è più rappresentabile come una
linea retta ma come una spirale in cui i ricordi assumono diverse
forme e creano nuove realtà, che non è possibile identificare con
quelle originarie. Come dice Stephen Dedalus: “Il passato si
consuma nel presente, e il presente vive solo perché porta in sè il
seme del futuro” : le conseguenze del passato sono nel presente, e,
a sua volta, il presente determina il futuro. Ecco quindi che la storia
dell’Ulisse, benchè narri una vita intera, si svolge nella stessa città
in meno di 24 ore. E’ proprio in quest’opera che si ritrova una delle
migliori rappresentazioni del flusso di coscienza , che già un anno
prima aveva fatto la propria apparizione nel libro “La coscienza di
Zeno” di Italo Svevo.
La focalizzazione d’interesse sul rapporto interno con l’ Io e la
ricerca di verità universali in cui spazio e tempo risultano
completamente destrutturati, elementi che così profondamente
influenzano ed attraversano l’opera di Joyce, rispecchiano, in realtà,
in misura assai significativa la cultura scientifica, filosofica e
letteraria del suo tempo. Il flusso di coscienza ed il fattore tempo
assumono, infatti, importanza centrale, anche nelle opera di altri
grandi autori di quei primi decenni del Novecento. Fra i più
importanti e significativi vanno segnalati Italo Svevo, in Italia e
Marcel Proust in Francia.
Già dal titolo della sua opera più famosa “La coscienza di Zeno” è
facile comprendere come lo scrittore triestino, che aveva conosciuto
Joyce durante il suo soggiorno in Italia, considerasse al centro del
proprio libro non il personaggio, Zeno Cosini, ma la sua coscienza e
i suoi tentativi fallimentari di rappresentarsi in un'immagine stabile
10
di sé. Anche Svevo rinuncia all'uso del narratore esterno ed affida
Un esempio classico di stream of consciousness è allora il cosiddetto
9
“monologo di Molly Bloom” che chiude l’Ulisse: qui il flusso dei pensieri della
donna è riprodotto come una serie casuale ed ininterrotta di ricordi, sensazioni,
percezioni e desideri cui nessuno (né il personaggio né tantomeno l’autore)
pone ordine. Joyce costruisce poi il suo ultimo romanzo, Finnegans Wake
(1939), come la successione delle immagini che appaiono in sogno al
protagonista; la dimensione onirica abolisce del tutto la punteggiatura e la
sintassi, creando una lingua misteriosa, allusiva e completamente inedita.
LA COSCIENZA DI ZENO (1823) Il capolavoro di Svevo, che consacra l’autore
10
come uno dei padri del romanzo moderno, fu scritto per incoraggiamento di
James Joyce, dopo una pausa letteraria di 25 anni. Nel 1925 in Francia, scoppia
invece il racconto al protagonista, Zeno, il quale ripercorre la
propria vita in una sorta di memoriale con funzione terapeutica,
poiché il vizio del fumo stava ormai tormentando la sua esistenza.
Anche in questo romanzo il sentimento del tempo è decisamente
sconvolto perché posto in relazione al flusso di coscienza del
protagonista, al disordine, al fluttuare caotico della sua psiche. Il
tempo, conclude Zeno, “non è quella cosa impensabile che non si
arresta mai. Da me solo da me ritorna”. Il tempo, infatti, è quello
che vive nella coscienza del personaggio, dove il passato si
confonde con il presente, dove tutto ritorna sempre uguale e
diverso rispetto a ciò che è stato. Le vicende sono, infatti,
raggruppate in nuclei tematici (“Il vizio del fumo”, “La morte del
padre”, “Storia del mio matrimonio” etc.) e, non sono narrate
secondo un ordine cronologico lineare, ma secondo il tempo
soggettivo della memoria, facendo numerosi salti avanti ed indietro.
Malgrado le analogie di alcuni aspetti della tecnica narrativa
utilizzata e nonostante la stretta amicizia che legava Svevo e Joyce,
i due scrittori sono, in realtà, profondamente diversi, non solo per
quanto