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Sintesi
Estratto del documento

PREMESSA:

L

a donna occidentale, in passato, è sempre stata subordinata

all’uomo e si è evoluta in una società misogina dove era solo

l’uomo a coprire un ruolo attivo e privilegiato.

Già nell’epoca romana imperiale apprendiamo dalle satire di

Giovenale, che il ritratto della donna appare quello di

un’ingannatrice, malvagia e padrona. Non è un caso, quindi, che

della letteratura latina non siano pervenuti nomi femminili se non

quello di Sulpicia, probabile emittente di alcune elegie

Corpus Tibullianum.

appartenenti al

Nel Medioevo la figura femminile cambiò grazie all’influenza della

Chiesa. E’ il periodo in cui si diffonde, soprattutto fra i poeti del

dolce stil novo, l’immagine della donna-angelo. Ricordiamo, ad

esempio, che è proprio una donna, Beatrice, allegoria della virtù

teologica, a guidare Dante nella terza cantica della Divina

Commedia per portare a compimento il viaggio profetico del poeta.

Nei secoli successivi, la figura femminile crebbe d’importanza nel

campo letterario, ma il suo ruolo sociale continuava ad essere

sottovalutato; infatti, alle donne non era ancora permesso di

esprimersi liberamente nel campo dell’arte e della cultura.

Nella seconda metà dell’Ottocento la concezione della donna

femme fatale

apparve distinta in e donna salvifica.

Solamente nel ’900 la situazione ebbe un risvolto positivo: è il

periodo in cui si parla di donna in movimento grazie alla creazione

delle prime associazioni e organizzazioni femminili volte a

combattere le discriminazioni di quella società misogina che le

opprimeva.

L’emancipazione femminile ha avuto il suo culmine nel 1968, anno

in cui milioni di donne accorsero in piazza per reclamare la parità

di diritti e doveri tra i due sessi.

Durante questo lungo percorso, le donne sono sempre state

rappresentate e raccontate per bocca degli uomini. In realtà, pur

3

restando semplice ombra della figura maschile, alcune donne

hanno dato voce ai propri pensieri per “raccontarsi”.

L

a più antica voce poetica femminile,

di cui

L si ha notizia nell’antichità,

appartiene a Saffo. La poetessa

greca nacque a Ereso, sull’isola di

Lesbo, intorno alla seconda metà del

VII secolo a.C. Passò la sua vita a

Mitilene, il centro più importante

dell’isola, dove conobbe e sposò Cercila

di Andro (il nome parlante allude alla

virilità). Le fonti antiche, poi, parlano di

un periodo di esilio in Sicilia, dovuto

probabilmente al coinvolgimento della

sua famiglia in vicende politiche

turbolente. Dalle stesse fonti si apprendono notizie sull’aspetto

fisico di Saffo, descritta come piccola di statura e scura di pelle,

cliché

anche se probabilmente questo non è altro che un letterario

alludente al binomio bruttezza esteriore - bellezza interiore.

Notizia incerta ricopre anche la morte della poetessa che secondo

la leggenda si è precipitata dalla rupe Leucade in seguito a un

amore non corrisposto per il giovane marinaio Faone. Saffo fu la

massima esponente della lirica eolica definita poesia melica,

sviluppatasi a Lesbo e le cui composizioni erano cantate dai poeti

stessi con l’accompagnamento della lira. La sua poesia rispondeva

alle esigenze di una comunità femminile, il tìaso, che la poetessa

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stessa dirigeva. Questa comunità, composta da ragazze

aristocratiche, aveva soprattutto finalità religiose. Il compito di

Saffo, al suo interno, era di educare le allieve, in età da marito, a

un comportamento consono per il costume di quel tempo: era qui

che le fanciulle venivano preparate a sostenere il ruolo futuro di

moglie e madre di un cittadino. A quanto pare, però, il legame tra

Saffo e le sue allieve non era solo di natura spirituale. Simbolo di

questo era il culto per Afrodite, dea femminile dell’amore, venerata

soprattutto per la sua sensualità erotica. L’amore per Saffo era una

“dolceamara invincibile belva”, una gioia sensuale che generava

tormento a causa della precarietà della sua durata; per questo

motivo insegnava alle sue ragazze l’arte di vivere attraverso le

leggi dell’amore puro, la raffinatezza, la capacità di sedurre e

l’eleganza dell’espressione.

A suo parere chi non apprendeva l’arte retorica non solo era

escluso dalla società, ma perdeva anche la propria identità

personale. E questo Saffo, in quanto donna, lo sapeva bene. Ai suoi

tempi la figura femminile s'identificava solo con quella di madre e

moglie destinata a occuparsi della casa e dei figli, senza libertà di

partecipazione alla vita politica e sociale della città. Le donne

erano prive di cultura e non è un caso che le ragazze del tìaso

apprendano solo le regole per essere una moglie fedele e una

madre affettuosa mettendo da parte dottrine come la filosofia o

l'oratoria. Saffo è la prima poetessa che mette in luce la condizione

delle donne da un punto di vista femminile. Forse è per questo

motivo che sulla sua figura ci sono state diverse interpretazioni: ci

è giunta soprattutto l'immagine di un'educatrice talmente legata

alle sue allieve da innamorarsi di loro e da assumere atteggiamenti

che potremmo considerare pre-femministi.

Saffo è il primo esempio di donna di cultura che contro il pensiero

arcaico portò in alto l'importanza del ruolo femminile nella società.

Armata di saggezza e di esperienza cercò di insegnare alle sue

allieve ciò che lei ormai conosceva bene: a nulla serve soffrire per

amore, soprattutto se dall'altra parte c'è un uomo interessato solo

all'onore e alla virtù. Dopo Saffo non abbiamo altri nomi di

poetesse greche interessate all’esaltazione della figura femminile.

5 D

D ovettero

passare secoli prima

che l’immagine della donna

potesse essere rivalutata. E

questo processo fu semplificato

dall'aiuto di figure femminili

forti e capaci di mettere nero

su bianco riguardo alle

condizioni in cui era costretto a

vivere il “gentil sesso”. Fino

alla metà del Settecento le

donne scrivono

prevalentemente per loro

stesse, di nascosto, privatamente, a volte rischiando anche la vita

come nel celebre caso della poetessa di Valsinni, Isabella Morra.

Solo alla fine dell'Ottocento le donne scrittrici escono allo scoperto

alla conquista di un piccolo spazio nella letteratura e nel difficile

mondo editoriale. Le scrittici, infatti, sono costrette spesso a dare

di sé un’immagine trasgressiva, dovendo combattere contro

censure e pregiudizi, conseguenze di un passato che discriminava

il sesso femminile, escludendolo da ogni forma di partecipazione

sociale e collettiva.

L'educazione femminile ottocentesca è utilitaristica e nella

maggior parte dei casi le ragazze raggiungono un livello minimo di

scolarità, che non permette loro il possesso degli strumenti più

elementari per leggere e scrivere. Tra le scrittrici che vissero in

questo clima ancora non emancipato, ci fu Sibilla Aleramo.

Sibilla Aleramo era in realtà uno pseudonimo utilizzato dalla

scrittrice il cui vero nome era Rina Faccio. La sua vita fu

determinante per le scelte letterarie. Nata nel 1876 ad

Alessandria, si trasferì subito a Milano dove la sua infanzia fu

segnata dal divorzio dei genitori e dal tentativo di suicidio della

madre colpita da malattia psichica. L'atteggiamento della scrittrice

fu decisamente anticonformista tanto che a soli 16 anni decise di

lavorare come bibliotecaria nella fabbrica del padre. Qui fu

stuprata da un uomo e costretta a sposarlo perché incinta. Il

marito si dimostrò subito un tipo manesco e Sibilla Aleramo più

volte tentò di avvelenarsi. In risposta a questa situazione iniziò a

scrivere alcuni racconti e a collaborare con una rivista femminista

6

“Vita moderna”nonostante il suo titolo di studi si fermasse alla

licenza elementare. Riconosciuta la propria vocazione artistica,

affermò di essere diversa dalle altre ragazze, perché capace di

contare su di sé, di avere una sensibilità fuori dal comune. La

scrittura diventa così capacità di osservazione ed analisi,

strettamente legata alla solitudine, al privato. Attraverso la propria

esperienza personale cercò di colmare i vuoti di una mancata

formazione classica ed approfondita, riversando nelle sue pagine le

emozioni personali, la propria vita. Utilizzò la scrittura come

espressione spontanea, immediata ed allo stesso tempo

rappresentazione del proprio io, narrazione privata. Con la penna

realizzò il desiderio incontrollabile di parlare, esprimersi,

denunciare le condizioni della donna. Le fu offerta la direzione

della rivista “Italia femminile” e avviandosi ormai verso la strada

dell'emancipazione, pur contro le percosse del marito, decise di

divorziare pena la separazione dal figlio. Questo fu un avvenimento

che la segnò molto, come è dimostrato dal suo primo romanzo

autobiografico “Una donna”pubblicato nel 1906. Dopo una serie di

relazioni tormentate, si legò, durante la prima guerra mondiale,

allo scrittore Dino Campana. Personalità molto diverse, lui

estroverso e libero pensatore, lei borghese e mondana, la relazione

terminò quando la scrittrice decise di portare Dino Campana da

uno psichiatra. Femminista, pacifista e comunista, la scrittrice

continuò per la sua strada e non si adeguò a ruoli o immagini

femminili tradizionali. Ebbe anche alcune relazioni lesbiche, di cui

la più nota fu quella con l'attrice Eleonora Duse, anche lei di

orientamento bisessuale. Ciò portò intellettuali misogini come

"lavatoio sessuale della

Giuseppe Prezzolini a definire l’Aleramo

cultura italiana". Nonostante le voci maschili a lei avverse,

continuò la sua attività letteraria e pubblicò altri romanzi. Durante

il fascismo firmò il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” e fu

persino arrestata perché a conoscenza dell’attentatore del duce.

Fu scarcerata subito dopo grazie a un colloquio con Mussolini e

così decise di cambiare orientamento iscrivendosi nel 1933

“all'associazione nazionale fascista donne artiste e laureate”. Morì

a Roma nel 1960.

Il suo primo e più importante romanzo fu, quindi, “Una donna”.

L’opera richiamò l'attenzione per il suo tema: si tratta, infatti, di

uno dei primi libri 'femministi' apparsi in Italia. Inizialmente

rifiutato dalle case editrici, riscosse poi così grande successo da

essere tradotto in più lingue. Il romanzo è puramente

autobiografico e la scrittrice vi narra la sua vita dall'infanzia ai

giorni a lei contemporanei. Si sofferma in modo particolare sulle

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figure-chiave che hanno cambiato la sua personalità: il padre

autoritario e poco fiducioso nelle capacità della figlia, tutto proteso

nella sua attività lavorativa; la madre debole e sottomessa, vittima

di un matrimonio sbagliato che l'ha portata a cadere in

depressione; il marito violento e privo di sentimenti che la

costringe a interpretare un ruolo che lei odia, quello di moglie e

madre in cui si annienta il proprio io; il figlio (la ragione più

importante per cui Sibilla Aleramo ha scritto il romanzo) al quale

voleva far capire i motivi del suo abbandono. Con la pubblicazione

del libro ci fu una scissione tra femministe e scrittrici, che, pur

riconoscendo la sua anima femminile moderna, ne prendevano le

distanze, identificando nel bambino l’unica vera vittima. La rivista

femminista “Vita internazionale” la definì addirittura orgogliosa,

egoista e priva di forza, incapace al sacrificio estremo. Ma,

fondamentalmente, in quest’opera prevale la rivendicazione sociale

di un ruolo femminile paritario a quello maschile e Sibilla Aleramo

mostrò al mondo, chiuso nella cultura maschile e maschilista,

quanto anche il punto di vista femminile fosse capace di tramutare

l’essenza di una vita in arte. Con la scrittura ha potuto affermare la

propria identità e nello stesso tempo, con occhio critico, ha

analizzato buona parte dei problemi delle donne della sua epoca.

I n questo “secolo breve” di

I cambiamenti non fu solo la

letteratura a dare libero sfogo

alle donne. Anche nel campo

filosofico la figura femminile

s'impose ad analizzare le

differenze tra i due sessi. Filosofa

per eccellenza ad occuparsi della

situazione della donna fu Simone

de Beauvoir. Nata a Parigi nel

1908 da una famiglia alto

borghese, rivelò subito un grande

interesse per lo studio sia della

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