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Introduzione
Ho deciso di affrontare il tema della femminilità, attraverso il percorso storico-legislativo che ne caratterizza l’affermazione tra il‘48 e il ’78, in quanto durante questo anno scolastico ho partecipato a esperienze diverse, tutte utili per delineare questo percorso: in primo luogo, la partecipazione al concorso regionale del CE.SE.DI con altre mie compagne di classe, che ha portato all’elaborazione del lavoro “Immigrati in cerca d’asilo. L’Italia oltre la paura”, con il quale abbiamo vinto un viaggio-studio in Polonia. Grazie a questa ricerca e alla visita al Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà di Torino, ho approfondito le mie conoscenze sulla costituzione italiana, la sua nascita e i suoi contenuti, arricchendola con le testimonianze di donne e uomini che hanno vissuto la Resistenza e la deportazione, e la fase di ricostruzione della costituente. Alla fine dell’anno la mia ricerca si è orientata sul tema femminile in seguito alla visione del film di Alina Marazzi “Vogliamo anche le rose”, un documentario in cui immagini di repertorio si univano alle voci di tre donne, rievocate dall’intimità dei loro diari, che avevano vissuto i complessi cambiamenti sociali che dalla fine degli anni ’50 travolsero l’Italia, come buona parte dell’Europa.
Proprio partendo dalla consequenzialità di queste esperienze il mio lavoro si articola secondo tre parti fondamentali:
1. la prima riguarda la nascita della Repubblica e la costituente, il clima interno ed esterno ad essa che determinò la genesi del corpo costituzionale e le sue difficoltà di concretizzazione nella società.
2. La seconda parte evidenzia gli articoli della costituzione volti a riconoscere la parità tra i sessi, conquistata dalla donne attraverso un percorso di riconoscimento sociale del loro ruolo, iniziato dal primo dopoguerra fino alla partecipazione femminile nella resistenza e la loro difficoltà di applicazione concreta.
3. La terza parte analizza come nei vent’anni successivi al 1948, le donne siano scomparse dalla vita pubblica per poi prepotentemente entrare in quella spinta al cambiamento che caratterizza il 1968 e i primi anni 70, formando un movimento unitario, deciso e coeso, che preso decise di staccarsi dalla classica impostazione partitica della politica al maschile, riuscendo in questo modo a sopravvivere e superare il movimento stesso e la sua crisi alla fine degli anni ’70, entrando nella trama della società civile e dell’associazionismo.
Chiara Santoro classe 5C cambiamento,
sociale, aderirono alla proposta di di rottura con il passato esaltata dalle
forze antifasciste riunite a partire dal 1943 nei CLN (Comitati di liberazione nazionale);
essi proponevano che si rifondasse uno stato distante non solo dal fascismo ma anche
dalla tradizione liberale precedente ad esso, che aveva permesso la sua formazione.
Poterono esprimere la loro preferenza in modo libero, dopo anni di violenze e di
regime, usufruendo di un sistema elettorale completamente democratico, essendo
riconosciuto il diritto di voto a tutti i cittadini maggiorenni, e per la prima volta anche
alle donne, che ricordano quel giorno come una grande festa collettiva e una
(“Con quel segno in croce sulla scheda mi pareva di aver
personale presa di coscienza
disegnato uno di quei fregi che sostituiscono la parola fine. Uscii, liberata e giovane,
come quando ci si sente i capelli ben ravvivati sulla fronte” Alba De Céspedes). Nel
referendum popolare per la scelta istituzionale tra monarchia e repubblica, prevalse
quindi quest’ultima, sebbene di poco (12.717.923 voti contro i 10.719.284), e vennero
eletti con sistema proporzionale i deputati dell’Assemblea costituente, un organo
completamente nuovo che doveva assicurare la trasformazione in pratica politica di
rottura
quella scelta di pronunciata dal popolo italiano, e alla difficile opera di dialogo
tra forze politiche molto diverse per ideologia, e stremate da anni di lotta e di
irrealizzazione. La costruzione di una democrazia italiana non era sicuramente un
processo indolore, ma il primo scoglio da affrontare era quello della redazione di una
Costituzione che fondasse il nuovo Stato su solide basi, iniziando il suo percorso sulla
certezza di teoriche linee guida democratiche, propositive e ineliminabili.
L’Assemblea costituente era dunque un’assemblea di partiti, come si addiceva a una
democrazia di massa, che si trovarono a discutere quella base comune che
prescindesse dalle ideologie specifiche per compromettere, promettere insieme una
storia, una realtà, un futuro più giusto al popolo italiano. I partiti maggiori che
composero l’Assemblea costituente furono:
La Democrazia Cristiana (con circa il 40% dei voti)
Il Partito Comunista e il Partito Socialista, che insieme formavano la seconda
formazione per numeri di seggi nell’assemblea costituente, avendo ottenuto
complessivamente il 40% dei voti circa
Tra gli altri partiti, che influenzarono la redazione del testo costituzionale, ricordo:
Il Partito liberale, che nonostante avesse perso il suo ruolo egemone nella
politica italiana, riuscì ad avere una notevole influenza
Il Partito D’azione, che nonostante la sua presenza attiva nella lotta antifascista,
ottenne solo 7 seggi.
Bisogna ricordare che i 150 parlamentari che costituirono l’Assemblea costituente
erano il fior fiore della classe politica e giuridica del tempo e forse anche questa
affermazione aiuta a comprendere come sia stato possibile instaurare un clima di
profonda collaborazione tra partiti di così diversa ispirazione, che permise la
compromesso costituzionale
realizzazione di ciò che oggi è definito . Per Togliatti,
allora segretario del PCI, il compromesso rappresenta il tentativo di “arrivare a
un’unità, cioè di individuare quale poteva essere il terreno comune sul quale potevano
confluire correnti ideologiche e politiche diverse, un terreno comune che fosse
abbastanza solido perché si potesse costruire sopra di esso una costituzione, cioè un
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Chiara Santoro classe 5C
regime nuovo, uno stato nuovo abbastanza ampio per andare al di là anche di quelli
che possono essere gli accordi politici contingenti dei singoli partiti”.
Alle fondamenta delle decisioni della costituente vi è dunque una sorta di “trattato di
pace” tra le forze politiche confliggenti. La Costituzione materiale, individuata da
Mario Dogliani, come quell’ organizzazione concreta che realizza praticamente la
costituzione formale, “il foglio costituzionale”, espressione delle forze politiche e
sociali dominanti che si realizzano nelle istituzioni e nella società civile (concetti che
sembrano rappresentare un’eco marxista), è, nell’esperienza italiana, questo concerto
di voci diverse, questa pluralità che si contrappone concettualmente al monolitismo
fascista, che non si impone per la sua unità interna, ma trae la sua forza proprio dalle
divisioni interne e dal compromesso che ha reso possibile il mantenimento della
diversità nell’unità. Il comune interesse che condusse questo processo a una così
felice realizzazione fu il mantenimento della pace reciproca, il desiderio di non far
precipitare la fragile situazione politica italiana in una guerra civile combattuta.
Ciò che fondò l’effettiva forza della costituzione formale fu quindi la divisione, la
frattura, le discussioni accese per realizzare però un comune interesse, quello del
mantenimento della pace. La eteronomia della nostra Costituzione fu forse proprio alla
base del suo successo e della sua attualità, in quanto frutto di un compromesso attivo
e mai rinunciatario che mirò ad integrare gli aspetti maggiormente utili di ogni
ideologia presente al fine di realizzare uno stato democratico pacificato.
Il compromesso costituzionale nasce quindi dalla presenza costruttiva nell’Assemblea
di tre grandi ideologie: quella cattolica, quella social-comunista e la liberale. La chiave
di volta dell’architrave democratico fu l’abbandono dell’estremismo,
dell’atteggiamento rivoluzionario di stampo marxista da parte delle forze di sinistra e
la ricerca di un umanesimo lontano da ogni confessionalismo. Sempre nelle parole di
Togliatti sono esplicative di questo clima disteso: egli infatti afferma che il suo partito
non voleva una Costituzione Socialista, ma piuttosto una Costituzione liberal-
democratica avanzata.
Questa “idea complessa “ di Costituzione, nasce, oltre che da una formazione
composita della costituente, anche dalla necessità di descrivere una realtà composita,
un quadro sociale pluralista. Ogni semplificazione che fosse stata tentata avrebbe
formato una Costituzione monca, che non avrebbe ottenuto il consenso di tutte le
forze politiche.
Le norme costituzionali però si compongono su due livelli: le norme che esplicitano il
nucleo del compromesso, I principi fondamentali, infatti, proprio perché tali, assumono
un valore indispensabile e sono immutabili e non possono essere sottoposte a
revisione proprio in quanto rappresentano l’identità stessa della Costituzione e
l’intento primo della costituente. Su di essi si conforma la restante parte del corpo
costituzionale e le strutture dello Stato, che possono essere sottoposte ad eventuale
modifica, ma mai contraddire alle radici teoriche della Costituzione stessa.
Nella cornice della costituente venne anche a realizzarsi uno dei più grandi mutamenti
socio-politici del tempo: gli esiti delle elezioni del 2 giugno 1946, chiamato anche
“giorno del protagonismo femminile” diedero coronamento al desiderio, per la prima
volta realizzabile, di partecipazione politica al femminile, del processo di
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Chiara Santoro classe 5C
consapevolezza di sé e del ruolo femminile che le donne avevano compiuto fino a
giungere all’apice della militanza nella Resistenza . Questo primo slancio (che poi
vedremo andò ad esaurirsi fino al 1968) fu rappresentato dalle 21 donne elette nella
costituente, e dall’attenzione che si rileva nelle norme costituzionali per la parità tra i
sessi.
Certamente le donne che parteciparono ai lavori dell’assemblea rappresentavano una
ristretta elite che aveva vissuto durante il fascismo, preparandosi politicamente al
futuro, appartenevano a diverse fedi politiche ma erano tutte unite da una forte
preparazione culturale (la maggioranza avevano conseguito la laurea) e dalla
partecipazione alla resistenza.
Senza dubbio infatti la Resistenza fu il collante capace di dare forma
all’associazionismo e alla partecipazione politica femminile. Il “contributo femminile”,
come viene comunemente definito il fondamentale apporto alle lotte per la
liberazione, è una parte del movimento resistenziale “taciuto”.
La storica Marina Addis Saba, precisa che l'impegno femminile si orientò verso due
direzioni: l'una dettata dalla necessità, fu quella di resistere e di dare assistenza ai
partigiani, attraverso molteplici attività materiali, dalla cura ai feriti, al trasporto di
armi, munizioni e cibo, anche nelle zone più impervie, nei nascondigli dei partigiani, in
mezzo ai monti. L'altra direzione dell'impegno femminile fu quella politica, che ebbe il
suo apice con la creazione nel novembre del 1943 a Milano da alcune donne
appartenenti ai partiti del CLN (tra le quali appare anche il nome di Ada Gobetti) del
Gruppo di difesa della donna e per l'assistenza ai combattenti per la libertà.
Da una stima effettuata a guerra finita, nei GDD costituitisi in tutta Italia si contano
circa 59.000 donne. L’impegno femminile fu aiutato dall’istituzione di questo
movimento, che riuscì a favorire la crescita di una certa coscienza politica e la
consapevolezza del valore strategico che poteva derivare dal coinvolgimento nella
guerra di liberazione. Nell’immediato dopo-guerra queste donne furono infatti il primo
baluardo della nascente democrazia e formarono una prima ondata di partecipazione
femminile ai diritti civili. il frutto più maturo
La nostra costituzione fu infatti, come ricorda Marina Addis Saba, “
della Resistenza” e molti sono gli articoli nella nostra costituzione frutto di queste
battaglie al femminile.
“Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la
ARTICOLO 48
maggiore età[...]”
“Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici
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pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti
dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari
opportunità tra donne e uomini[…].”
Con questi due articoli vengono concretizzate dal punto di vista legislativo le
importanti conquiste femminili avvenute il 2 giugno 1946: il diritto di voto alle donne,
e la loro possibilità di essere rappresentate. In realtà solo con una legge del 1963 si dà
alle donne di eccedere a tutte le cariche pubbliche, senza limiti di mansione o di
carriera. Inoltre viene a identificarsi come funzione regolativa della repubblica quella di
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Chiara Santoro classe 5C
provvedere a una più perfetta parità tra i sessi, individuando con essa un motivo di
possibile sviluppo dello stato. Infatti si può notare come da recenti studi sia stato
dimostrato come le donne raggiungano risultati pari o superiori agli uomini quando
alla base del sistema di assunzione o di attribuzione delle cariche vi è un criterio
oggettivo come quello di un concorso pubblico (per esempio,nella pubblica
amministrazione o nella magistratura), piuttosto che quando si operi alla scelta
attraverso criteri soggettivi (colloqui, attribuzioni per meriti etc..).
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
ARTICOLO 3
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche,
di condizioni personali e sociali.
In cui viene definito il principio di eguaglianza come cardine della democrazia stessa,
distinguendolo da un’idea astratta e totalitaria di uguaglianza, come massificazione e
eliminazione dei non-uguali, ma come diritto alla diversità, come fondamento e forza
di una democrazia attiva. In particolare si nota come la questione della “parità tra i
sessi” sia posta in netto rilievo e nonostante tutto, questo punto è stato di difficile
attuazione pratica.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese .”