La donna protagonista nell’arte
Le opere di Gustave Klimt, pittore austriaco, sono caratterizzate dalla figura delle donne: bellezze dalle forme delicate ìdai visi languidi e dalla torbida sensualità. Donne fatali che assumono valenze simboliche e racchiudono riferimenti a sogni, all’angoscia e alla morte.
La “Femme Fatale” è la donna tentatrice, sensuale e distruttrice di uomini, pericolosa in virtù del proprio potere seduttivo.
Secondo Freud, come scrisse ne “L’interpretazione dei sogni” del 1899, la donna incarna il “disordine” naturale, è custode di ancestrali segreti, è natura infida, sensuale creatura in cui si fondono FASCINUM (= piacere estetico) e TREMENDUM (= sensazioni negative).
Klimt renderà omaggio a questa visone della donna nella Giuditta del 1901 che coperta solo da un sottile velo azzurro è un inno alla bellezza femminile. La donna con la bocca e gli occhi socchiusi , in atteggiamento quasi di sfida, mostra la testa appena tagliata di Oloferne, generale assiro che ebbe la colpa di trattenerla con se al banchetto.
Giuditta I per Klimt è il soggetto simbolo della punizione inflitta dalla donna all’uomo, punizione espiabile solo con la morte (Giuditta decapitò Oloferne); è la donna tagliatrice di teste (come Salomè) nella quale si fondono EROS e THANATHOS, la donna che si fa beffe dell’uomo gareggiando con lui in astuzia e crudeltà e vincendo grazie all’infallibile arme della seduzione.
GIUDITTA
Molti artisti si cimentarono nel ritrarre la figura di “Giuditta” , tra questi Klimt, intrecciando la vicenda di Salomè con quella di Giuditta, torna a dare alla donna un’interpretazione elegante e fine raffigurandola non più come bambina innocente ma come una donna matura.
Dopo la rappresentazione di “Giuditta” nell’omonimo quadro del 1901 Klimt ritornò sullo stesso tema 8 anni dopo, nel 1909, riproponendo un nuovo quadro ritratto a grandezza naturale in cui pone in evidenza la crudeltà e la fredda efferatezza della donna.
LE TRE ETÀ DELLA DONNA
Altro tema trattato da Klimt con protagoniste donne è quello della ciclicità della vita, fondamentale nella definizione di un universo matriarcale. Nel corpo della donna si genera la vita e di conseguenza in essa si deicide il destino mortale del nuovo essere: la lieta speranza e insieme caducità della vita.
La figura della donna madre è celebrata da Klimt, così come da molti altri artisti, in numerose opere ed è letta come l’unica speranza in un mondo che attende di essere distrutto dal germe della devastazione. Klimt, come già detto, riprende molte volte il tema della maternità come ne “Le tre età della donna” del 1905 che forse si può descrivere come la sua migliore rappresentazione dell’ideale stesso di Maternità. Nel dipinto sono rappresentate le tre fasi della vita femminile: l’infanzia, la maternità e l’inevitabile declino verso la vecchiaia.
Le figure sono asciutte, sintetiche e con un decorativismo oggettivo che si materializza in forme e colori che ricordano oro, sete raffinate e pietre preziose. Donne che sono gioielli.
Le figure sono asciutte, sintetiche e con un decorativismo oggettivo che si materializza in forme e colori che ricordano oro, sete raffinate e pietre preziose. Donne che sono gioielli.
VAMPRO
Nel “Vampiro” del 1893-94 la battaglia amorosa tra uomo e donna è più che mai tangibile. La donna attrae a sé l’uomo che non riesce a divincolarsi né a difendersi del suo fascino distruttivo. La donna - vampiro lo attrae a se con i capelli rosso sangue che avvinghiano l’uomo in un abbraccio mortale. Alla fine l’uomo, inerme, viene annientato.
L’amore non è più realizzabile in Munch, esso ha l’odore della sopraffazione. L’uomo e la donna sono forse inconciliabili?
Munch era un “paesaggista di anime”, delineava le figure in modo da descriverne l’essenza. Il mistero femminile che dipinge è multiforme: la donna è vergine, madre, amante, peccatrice e assassina. I tratti dei volti sembrano incisi sulle tele, scavati nel profondo dell’animo ma al tempo stesso appaiono spettrali e intangibili.
La fissione nucleare è donna: LISE MEINTER
La storia presenta molti esempi di donne che hanno fatto grandi scoperte scientifiche.
Accanto a grandi nomi della fisica come Otto Hahn (premio nobel per la fisica nel 1944) si eclissano quelle donne che, alla pari dei loro colleghi, hanno fornito alla scienza e alla fisica un sostanziale contributo. Una di esse è l’austriaca Lise Mainter; essa pose le fondamenta per lo sviluppo sperimentale della fissione nucleare, intuendo che 2 nuclei risultanti dalla fissione dell’uranio hanno massa complessiva inferiore del nucleo di uranio di partenza.
La FISSIONE NUCLEARE: processo chimico - fisico per cui un atomo troppo grande per rimanere coeso si divide dopo essere stato bombardato da NEUTRONI. Il neutrone viene catturato dal nucleo precedentemente colpito; quest’ultimo si divide in due NEUCLIDI instabili, si liberano alcuni neutroni e si sviluppa energia.
Nell’immagine affianco è rappresentata in modo schematico la fissione di un atomo di Uranio 235. Nel momento in cui un neutrone colpisce l’atomo di Uranio 235 esso si divide in nuclei più stabili e libera energia e altri neutroni che a loro volta colpiscono altri atomi di Uranio che generano una nuova fissione.
LISA MEITNER attraverso la nota formula di Einstein (E=mc2) calcolò l’energia che la fissione dell’Uranio 235 produceva.
Nel 1944 Otto Hahn ricevette il premio Nobel per la fisica mentre della donna, costretta a scappare in Svezia per via dei nazisti, non si tenne per nulla conto.
LISE MEITNER viene spesso ricordata come la “madre della bomba atomica”, quando lei fu una convinta pacifista che rifiutò più volte le offerte di lavoro negli USA per la costruzione di armi di distruzione di massa.
Fu proprio con gli epiteti “madre della bomba atomica” e “donna dell’anno” che fu acclamata durante un suo viaggio in America nel 1946, l’anno dopo lo sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
Fino alla sua morte, all’età di 89 anni, si impegnò per l’utilizzo pacifico della fissione nucleare.
Le suffragette e il diritto di voto in Europa
La donna, nella storia della civiltà occidentale, è sempre stata subordinata all’uomo: le differenze tra i due sessi hanno portato l’uomo a prevalere e ad occupare posti privilegiati nella società.
Fin dai tempi antichi la donna è sempre stata considerata un essere inferiore, che si è evoluto in una società prettamente misogina, oppressa dalle convinzioni sociali. Ma nonostante ciò si ricordano donne alfa, dalla forte personalità, influenti protagoniste degli scenari politici o sociali come Cleopatra la più famosa regina d’Egitto, l’eroina francese Giovanna D’arco arsa viva nel 1431 e in seguito divenuta il simbolo della Nazione, la scienziata Marie Curie, premio nobel per la chimica e la fisica che consacrò la sua vita alla ricerca e alla sperimentazione, Rita Levi Montalcini, premio nobel per la medicina, si batté per tutta la sua vita a favore delle donne, Madre Teresa di Calcutta, un’intera esistenza spesa per il prossimo e molte altre.
La popolazione femminile è sempre stata soggetta alle limitazioni e alle restrizioni imposte dagli uomini, esse non hanno mai potuto esprimersi liberamente in campo artistico o musicale e solo nel ‘900 la condizione della donna comincia gradualmente a cambiare. Nascono organizzazioni e associazioni di donne unitesi per combattere contro le discriminazioni della società misogina che da secoli le opprimeva.
Nel 1903 Emmeline Pankhurst, con l’appoggio delle due figlie, fonda in Inghilterra un’organizzazione il cui fine è di avere il riconoscimento del suffragio universale femminile, le sue seguaci furono chiamate in modo dispregiativo Suffragette.
Per farsi ascoltare, le donne fecero scioperi della fame, s’incatenarono ai lampioni per non essere portate ve durante le dimostrazioni e sommersero il parlamento britannico di richieste scritte.
Esasperate, nel 1911 le donne passarono dalle manifestazioni alle lotte violente: fracassarono vetrine dei negozi, intasarono le cassette postali con la marmellata e incendiarono due stazioni ferroviarie.
Centinaia di suffragette furono ferite negli scontri con la polizia: diverse decine furono arrestate proclamarono lo sciopero della fame in segno di protesta contro le dure condizioni nelle carceri. Le forze dell’ordine le nutrivano a forza mentre l'opinione pubblica cominciava a indignarsi per quelle forme di vera e propria tortura.
Nel 1913, una delle suffragette più attive, Miss Emily Davison, arrivò a suicidarsi in pubblico gettandosi sotto gli zoccoli del cavallo di re Giorgio V durante il derby dell'ippodromo di Epsom.
La lotta delle donne è solo all'inizio: il diritto al voto in Inghilterra venne riconosciuto nel 1918.
Nel nostro paese solo nel 1919 le donne ottennero l’emancipazione giuridica, anche il Papa Benedetto XV si pronunciò favorevole al diritto di voto alle donne.
Ai primi nuclei venutisi a formare nei primi del ‘900 ricordiamo Anna Kuliscioff anarchica, rivoluzionaria e medico italo - russa, fu una dei principali fondatori ed esponenti del Partito Socialista Italiano.
Il 9 maggio 1923, Benito Mussolini, durante il IX congresso dell’Alleanza internazionale pro suffragio femminile, promette di concedere il voto amministrativo e poi politico alle donne. In seguito il diritto di voto femminile fu revocato dal regime fascista e perse valore anche quello maschile.
Il 30 gennaio 1945, il Consiglio dei Ministri dell’Italia Libera presieduto da Bonomi approvò il decreto legge Gasperi - Togliatti, che prevedeva il diritto di voto esteso a tutti gli italiani che avessero 21 anni compiuti. Le donne votarono, per la prima volta, il 2 giugno 1946,dopo la seconda guerra mondiale, per l'elezione dell’Assemblea costituente e per il Referendum per la scelta tra monarchia e repubblica.
Negli Stati Uniti il movimento per il suffragio sorse nel 1848 quando Elizabeth Cady Stanton redasse una dichiarazione dei diritti della donna; non ci fu bisogno di manifestazioni violente, come accadde nel Regno Unito, gli americani più evoluti riconobbero che la donna aveva diritto al suo voto come lo stato del Wyoming aveva già concesso, mentre lo stato di New York escludeva dal voto le donne e i criminali.
Nel 1920 le donne americane ottennero il diritto di recarsi alle urne e nel 1921 votarono per l’elezione del nuovo presidente.
Dietro la satira antifemminista di Giovenale l'amarezza sconsolata di un cuore ferito.
La satira antifemminista è un vero e proprio genere letterario che ha, nel poeta latino Decimo Giunio Giovenale, uno degli esempi più illustri.
Nella satira VI, così ampia da occupare tutto il secondo libro, egli prende a bersaglio le donne: nobili e plebee (ma soprattutto le prime), dotte e incolte, giovani e meno giovani; con una virulenza e una vena di sottile sadismo che ne ha fatto un unicum nel suo genere, e un vero e propriotopos in cui si concentrano tutti gli umori antifemministi possibili e immaginabili.
La sua indignatio (che occupa le prime 7 satire) era destata dall’estrema rilassatezza dei costumi provocata dall'aumento del benessere e dall'arrivo, in Roma, insieme alle spoglie di tanti nemici vinti, di usanze, costumi, religioni e pratiche sociali, che avevano travolto l'antica sobrietà (mos maiorum) e sanità dei Quiriti (= endoetnonimo, nome di un popolo che è generato e/o utilizzato dalla stessa comunità cui si riferisce), annegandola in un mare di lussi e di sprechi quasi inverosimili.
In un simile contesto «tradizionalista», la polemica di Giovenale si appunta con particolare accanimento, indugiandovi con tratti di autentica ferocia, sul malcostume delle donne, forse con una intensità proporzionata alla idealizzazione che della casta matrona aveva fatto la prima età repubblicana, dipingendola come un autentico angelo del focolare.
Giovenale mette al bando l’immoralità e i vizi delle donne; descrive, come esempio, l’insaziabile lussuria di Messalina, prima moglie dell’imperatore Claudio.
Ecco perché, tra i comportamenti delle donne - specialmente nobili - che particolarmente lo irritano e lo spingono a incrudelire, vi sono quelli di recente importazione esotica, particolarmente orientale, come il gusto delle attività sportive «virili» o come la partecipazione, ostentata e volgare, ai banchetti serali, dall'alto del triclinio, introducendosi in ambienti e situazioni che erano state di esclusiva pertinenza maschile.
Non c'è espediente letterario di cui Giovenale non si avvalga per disegnare il ritratto più ripugnante possibile della donna del suo tempo; ma senza scordare il modello delle Satire di Orazio, spesso in bilico fra denuncia e derisione, ma più vicino alla seconda: come nella figura della vecchia di ottantasei anni che ancora freme di lascivia, e sussurra all'amante dolci parole in greco, per mostrarsi erudita (altro dettaglio che esaspera il poeta, supremo odiatore della donna pseudo intellettuale), che ricorda non poco la Canidia oraziana.
Giovenale rimprovera alle donne oltre che una sfrenata lussuria, la superbia, se non addirittura la crudeltà: come quando ordinano di mettere in croce uno schiavo per qualche mancanza da nulla, o di far battere con le verghe i vicini, perché hanno osato fare un po' troppo rumore, disturbando il suo sacro riposo.
L’ideale femminile di Giovenale,tradizionalista, è un ideale regressivo, egli vorrebbe vedere la donna chiusa nella domus, a filare la lana e a occuparsi della prima educazione dei bambini. Gli storici credono che l’invettiva di Giovenale verso le donne non derivi solo dalla perdita del mos maiorum ma anche da una segreta ferita mai cicatrizzata, una ammirazione delusa (e, forse, derisa) all'origine dei suoi versi più taglienti.
Giovenale descrisse grottesche situazioni raffiguranti figure femminili in atteggiamenti promiscui di fronte alle divinità, beffeggiate dalle stesse donne, com’è narrato nella satira VI dai versi 300 ai versi 334.
Da questo stralcio di satira si crede si dev'essere ricordato Apuleio (di Madaura) nel suo romanzo Asinus aureus, più d'un secolo dopo, dove il protagonista, trasformato in asino, deve, tra le tante peripezie, subire l'estrema umiliazione di soddisfare le voglie insaziabili di una dissoluta matrona; e anche il pericolo di essere, poi, ritenuto responsabile, se la sciagurata ne dovesse rimanere ferita a morte.
Bisogna precisare che non esistono dati biografici certi che avvalorino la tesi che il poeta fosse divenuto misogino a causa di qualche ferita d'amore o, in generale, da una disillusione nei confronti dell'altro sesso.
La Satira VI sembra contenere - oltre la cornice storico-culturale contingente, e la relativa critica al lusso e alle mollezze importati dall'Oriente - un grido di dolore per l'impossibilità di stabilire un rapporto armonioso fra uomo e donna.
La donna, gode ad esercitare un potere sull'uomo, non solo quando ama, ma anche quando non ama: nel primo caso, tiranneggiando l'amante o il marito; nel secondo, tormentando il pretendente infelice, per il puro e semplice piacere di imporre il suo dominio e sentirsi padrona della situazione, nonché per avere una conferma del proprio irresistibile potere di seduzione.