Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Economia aziendale: il TFR
Diritto: la Costituzione
Scienza delle finanze: il sistema pensionistico
Geografia economica: il primo maggio; la sottoccupazione; i sindacati
0“I.T.C. Francesco Redi”
- Montepulciano -
Il diritto al lavoro Nic
ola Rose
Classe V/A I.G.E.A.
Anno scolastico 2009/2010
“L’Italia è una Repubblica democratica
fondata sul lavoro”
Costituzione Italiana – Articolo 1
2
INTRODUZIONE
In questa mia tesina ho trattato il diritto al
lavoro nella società. La scelta di questo
argomento è stata dettata da un mio
particolare interesse e dal ruolo che “il lavoro”
ricopre nella vita quotidiana.
Ho voluto analizzare i traguardi raggiunti dai
lavoratori durante la storia partendo dalla
concezione del lavoro all’inizio del secolo
scorso fino ai giorni nostri. La trattazione di
questo argomento mi ha portato ad
approfondire i vari articoli della nostra
Costituzione che citano il lavoro, unitamente
allo studio dei diritti e doveri del lavoratore.
Inoltre ho voluto soffermare la mia attenzione
sul trattamento dei lavoratori all’interno
dell’azienda, analizzando tutte le spese
sostenute dall’imprenditore per la gestione del
personale. La mia trattazione ha inoltre
analizzato la storia di festività in favore e in
ricordo dei traguardi raggiunti dai sindacati,
come la festa dei lavoratori del 1° Maggio.
Infine ho voluto analizzare i vantaggi della
previdenza sociale sulla vita delle persone al
termine della loro attività lavorativa.
3
La negazione della lotta di classe
A base dell’ideologia nazionalista adottata dal fascismo, stava la negazione del
concetto di lotta di classe. Capitale e lavoro, secondo i nazionalisti, non erano
destinati a un conflitto insanabile, bensì potevano e dovevano cooperare,
purchè assumessero quale criterio direttivo fondamentale del loro
comportamento concreto non i propri interessi particolari, bensì quello,
superiore, della nazione.
Secondo questo principio di fondo (che trovò la propria espressione teorica più
chiara nella Carta del Lavoro) il 2 ottobre 1925 venne siglato a Roma a Palazzo
Vidoni (la sede amministrativa del partito fascista), un accordo tra le
organizzazioni del padronato e quelle dei lavoratori. Le prime riconobbero il
sindacalismo fascista come unico legittimo rappresentante del proletariato e
portavoce delle sue esigenze specifiche; il sindacato, invece, accettò la
rinuncia allo sciopero come strumento di lotta e di rivendicazione economica.
Tale accordo fu poi integrato (il 5 febbraio 1934) dalla legislazione
sull’ordinamento corporativo; in base a esso, i datori di lavoro e i prestatori
d’opera impegnati in un determinato settore economico venivano riuniti in una
corporazione, ossia un’unica organizzazione, il cui scopo era quello di comporre
pacificamente le vertenze tra le parti sociali, tenendo conto dell’interesse
nazionale (considerato superiore a quello delle singole parti, in contrasto tra
loro). All’atto pratico, poiché le maestranze erano rappresentate solo dal
sindacato fascista - e questo, a sua volta, era controllato dallo Stato – sotto il
fascismo i lavoratori non ebbero più alcuna possibilità di esprimere liberamente
la propria voce e le proprie rivendicazioni. Di fatto, le corporazioni furono solo
l’organismo di collegamento tra il governo e i grandi gruppi economici del
Paese, il luogo in cui i due protagonisti, ormai rimasti soli sulla scena, dopo la
cancellazione di ogni potere contrattuale effettivo dei lavoratori, cercavano di
conciliare i rispettivi interessi.
In sintesi, l’affermazione propagandistica del regime secondo cui lo Stato
corporativo rappresentava una terza via rispetto ai modelli comunisti e
capitalistico, non contiene pressoché nulla di vero. L’Italia fascista continuò a
essere uno Stato capitalista, con l’unica significativa differenza (rispetto ai
regimi liberali e democratici) che le organizzazioni sindacali erano state
completamente imbavagliate. Ogni decisione concernente i problemi dei
lavoratori (salario, orario di lavoro, condizioni di vita sul luogo d’impiego ecc.)
poteva essere presa d’intesa tra il governo fascista e gli imprenditori, senza
paura di proteste o di rimostranze: non a caso, nel 1930, i salari in Italia erano i
più bassi di tutta l’Europa occidentale (con la sola eccezione della Spagna).
4
La Carta del Lavoro è uno dei documenti fondamentali del Fascismo: esprime
i suoi principi sociali, l'etica del sindacalismo nazionale e la politica economica
fascista. Sostanzialmente riprende gli elementi più corporativi della precedente
Carta del Carnaro, redatta da Alceste De Ambris.
L'approvazione della Carta del Lavoro
Il documento fu preparato e discusso una prima volta il 6 gennaio 1927, ma
subì una certa difficoltà a vedere la luce, per il dibattito in seno alle
confederazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro. Sebbene esse ritenessero di
dover superare la lotta di classe in favore della collaborazione, le posizioni
rimasero distanti ed il Gran Consiglio del Fascismo fu costretto a mediare le
varie istanze. Imponendo rinunce ad entrambi, il governo riuscì a conciliare le
parti: viene ad esempio respinto il minimo salariale per categoria, ma vengono
accettate indennità di licenziamento, conservazione del posto di lavoro in caso
di malattia ed assicurazioni sociali.
Il testo redatto da Carlo Costamagna, riveduto e corretto da Alfredo Rocco, fu
poi approvato dal Gran Consiglio del Fascismo il 21 aprile 1927. Nonostante
non avesse valore di legge o di decreto, non essendo allora il Gran Consiglio
organo di Stato ma di partito, esso fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 100
del 30 aprile 1927.
Porta le firme del capo del governo, dei ministri, dei sottosegretari, dei dirigenti
del partito, dei presidenti delle confederazioni professionali dei datori di lavoro
e dei lavoratori.
Si compone di trenta assiomi, o enunciazioni, numerati con cifre romane.
Dichiara che il lavoro è un dovere sociale e che il suo fine è assicurare, assai
più che la giustizia, la potenza della Nazione, determinando il termine della
lotta di classe.
Essa acquisì valore giuridico nel 1941, quando fu inserita tra i principi generali
dell'ordinamento giuridico, con valore non percettivo ma interpretativo delle
leggi vigenti.
Nel 1942 la Carta del Lavoro venne inserita come premessa e prefazione del
codice civile, a coronamento di tutto l’edificio giuridico e politico dello Stato.
« Nessun documento ufficiale ha mai affermato così chiaramente questa
natura etica dello Stato in generale ed in specie rispetto all’attività economica,
come la Carta del Lavoro nelle sue premesse fondamentali e in tutto lo spirito
che la governa. La Nazione è una unità morale, politica ed economica” [...]. Noi
crediamo di poter liberamente commentare aggiungendo:
Unità politica ed economica, in quanto unità morale” (...). Così si integra e si
illumina il concetto dello Stato...; così pure si integra e si illumina la figura del
5
cittadino... che non è più una entità statica e uniforme..., ma agisce.. e nel
lavoro trova la sua concreta funzione e il suo posto nella vita, l’uomo è
cittadino: al cospetto di quello stesso valore morale in cui consiste la
sua unità »
(Giovanni Gentile, rivista mensile di cultura politica “Educazione Fascista”)
I temi affrontati
Ispirate dalla Carta del Carnaro e dalle esperienze pre-regime del
sansepolcrismo e del sindacalismo rivoluzionario, le tematiche della Carta del
Lavoro fanno riferimento: alla grandezza della Nazione; all'elevazione del
lavoro in tutte le sue manifestazioni e del sindacato come istituzione pubblica;
alla collaborazione tra le forze produttrici della Nazione; alla pari dignità tra
lavoratore e datore di lavoro; all’intervento dello Stato nei rapporti di lavoro e
nelle attività economiche; al miglioramento delle condizioni fisiche,
economiche, culturali e spirituali dei lavoratori attraverso una legislazione
sociale moderna.
La Carta del Lavoro pone quindi le basi per le riforme sociali realizzate dal
Fascismo: gli istituti assicurativi a tutela dei lavoratori, i mezzi di
sostentamento per la vecchiaia, le indennità di disoccupazione, le garanzie in
caso di malattie, le ferie pagate, il massimo di otto ore lavorative, etc.
Commenti
Secondo il Casini (su Gerarchia del 1927) i punti fondamentali e più innovativi
della Carta del Lavoro erano tre. Innanzitutto il riconoscimento delle
Corporazioni, della proprietà privata e il
contratto collettivo di lavoro reso obbligatorio.
La conquista delle ferie pagate e delle
indennità in caso di morte o di licenziamento
sono state definite come:
« pratici benefici che i lavoratori non erano
mai riusciti a raggiungere attraverso i
cartelloni demagogici della democrazia e che
invece allora essi realizzavano, nella perfetta
soddisfazione dei datori di lavoro. » (Giuseppe Bottai)
Edmondo Rossoni in Piazza del
Popolo
(Roma) annuncia la promulgazione
della
.
Carta del Lavoro
Alcuni tra gli ex avversari del fascismo si dichiararono "conquistati" dalla
politica sociale varata dal governo Mussolini.
6
L'ex deputato massimalista Romeo Campanini, scrive una lettera (pubblicata
da Il Popolo d'Italia) dove si dice "pentito": i provvedimenti sociali fascisti lo
hanno costretto "ad un severo esame di coscienza" Lo stesso giornale, il 5
maggio, pubblica una lettera dell'ex redattore capo dell'Avanti Pio Gardenghi:
in essa si esprime l'approvazione per la Carta del Lavoro e si manifesta la
volontà di correggere i vecchi errori. I cattolici nazionali indirizzano a Mussolini
un messaggio dove spiegano perché si sono separati dal partito popolare e
assicurano: la nostra adesione al regime, più che frutto dell'entusiasmo, è
dovuta a meditazione e convincimento. Consensi al regime erano venuti,
soprattutto dagli operatori economici, dopo il discorso di Pesaro dove Mussolini
aveva affermato: "Voglio dirvi che difenderò la lira italiana fino all'ultimo
respiro, fino all'ultimo sangue. Non infliggerò mai a questo meraviglioso popolo
italiano l'onta morale e la catastrofe del fallimento della lira".
7 Articolo1
“L’Italia è una Repubblica
democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione.”
Articolo 4
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le
condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la
propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o
spirituale della società.”
Articolo 35
“La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.
Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad
affermare e regolare i diritti del lavoro.
Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge
nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero.”
Articolo 36
“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo
lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla
famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa e' stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può
rinunziarvi.”
8 Articolo 37
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni
che
spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento
della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e
al bambino una speciale adeguata protezione.
La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi,
a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.”
Articolo 38
“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha
diritto al
mantenimento e all'assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle
loro esigenze di
vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione
involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento