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Sintesi
Filosofia: Friedrich Nietzsche (la morte di Dio)

Latino: Decimo Giunio Giovenale (l'indignazio verso il degrado della società romana)

Italiano: Luigi Pirandello (arte e coscienza d’oggi)

English: James Joyce (Dublin: the centre of decay and stagnation)

Deutsch: Bertolt Brecht (Leben des Galilei)

Français: Jean Paul Sartre (Attraper le temps par la queue)

Storia: la crisi della Bell’Époque

Storia dell’arte: Edvard Munch (L’urlo)
Estratto del documento

Ma come si fa allora a scegliere i valori “giusti”?

La letteratura e la filosofia per anni hanno cercato di darci, o in alcuni casi almeno di suggerirci, un indirizzo

etico, perché fin dall'antichità gli uomini hanno riconosciuto quanto sia importante vivere seguendo una

condotta. Sin da quando esiste la civiltà ci si è resi conto che la nostra vita non può essere considerata un

mero insieme di bisogni biologici: il nostro scopo non è semplicemente quello di mangiare per preservare la

nostra sopravvivenza e permettere la continuazione della specie umana. Ogni uomo ha innanzitutto la

capacità di ragionare, di decidere cosa fare per vivere in modo felice e completo la propria esistenza e per

riuscire a vivere e a stare bene insieme agli altri. È così che inevitabilmente si sviluppa in ognuno di noi il

senso di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, l'idea del bene e del male. Secondo me, dunque, arrivare ad

avere dei forti valori morali a cui ispirarsi nell'agire quotidiano, significa per lo più compiere un percorso che

di giorno in giorno, sbagliando o magari anche soffrendo, ci fa arrivare a capire quello che per ognuno di noi

è importante nella propria vita.

Ovviamente in questo percorso non siamo soli e sono proprio le persone che ci circondano ad influenzare il

nostro cammino, ad indicarci le vie che potremmo seguire e che, poi inevitabilmente influenzano la scelta di

quelli che saranno i nostri valori.

È dalla nostra famiglia che vengono le informazioni più importanti, è dalla scuola che possiamo imparare a

scindere ciò che è buono da ciò che è cattivo, è dalla società che veniamo contaminati da idee, ideologie e

modelli di vita e, ancora, è dall'appartenenza a confessioni religiose che nascono convinzioni e obblighi

morali. E in tutto ciò ogni ragazzo deve compiere delle scelte, deve sviluppare la capacità di stabilire i suoi

valori fondamentali, al di là di ogni imposizione. Un compito non facile che si sono travati ad affrontare

anche i “giovani di ieri”, ma forse con una differenza notevole: oggi, messaggi pubblicitari e società esterna

hanno assunto una influenza maggiore che in passato.

La vera radice del degrado sta nella verticale caduta dei valori di base che ormai da tempo guida l'azione di

chi ha più potere e responsabilità e che dovrebbe, quindi, dare l'esempio ai cittadini. L'esempio dei pochi che

stanno in alto è infatti di una importanza estrema in quanto condiziona fortemente l'azione di chi sta sotto,

cioè delle grandi masse di cittadini comuni. Quando l'esempio è buono e positivo, questi tendono

spontaneamente a seguirlo, ma altrettanto fanno anche quando l'esempio è pessimo. Oggi l'esempio che

riescono a dare gli uomini di potere è molto spesso quello dell'egoismo, della disonestà, dell'avidità, della

mancanza di scrupoli, dell'uso del proprio ruolo e delle risorse pubbliche per fini personali. Pochi si

preoccupano di fare ciò che è giusto anzichè ciò che è conveniente, di fare l'interesse del cittadino anzichè il

proprio.

Un altro fattore essenziale che non si vuole affrontare è quello dei metodi educativi. Anche qui abbiamo un

totale fallimento sia nell'ambito della famiglia che della scuola, dimostrato dal vertiginoso aumento della

crimininalità minorile e della violenza in ambito familiare che si riscontra in molti paesi dell'Occidente.

Anche qui non si vogliono mettere in discussione i valori di fondo che sottostanno a questi metodi, valori che

sono ancora una volta finalizzati non alla formazione interiore dell'individuo, ma piuttosto all'inserimento in

un sistema economico-sociale fondato su criteri pressochè capovolti rispetto a quelli che permetterebbero un

sano ed equilibrato sviluppo dei valori morali. ~ 3 ~

FILOSOFIA Nietzsche e la morte di Dio

«Dio è morto! Dio resta morto! E noi l’abbiamo ucciso!»

[Friedrich Wilhelm Nietzsche]

All’inizio del ‘900 fu l’opera di Friedrich Nietszche (Roecken 1844 – Weimar

1900) a diffondere una denuncia aspra e profetica dell’avvento della crisi.

Denuncia espressa in opere singolari, prevalentemente aforistiche e anche

altamente poetiche come Così parlò Zarathustra, che si potrebbe definire un

poema in prosa.

Al centro dell’opera di Nietzsche sta l’annuncio della morte di Dio, ovvero la

fine di quel sistema di valori che caratterizza la civiltà europea e in particolare la tradizione cristiana. L’esito

ultimo verso il quale precipitava la civiltà europea fu denominato da Nietzsche nichilismo. L’età del

nichilismo, nella quale secondo Nietzsche tutti viviamo, si caratterizza per il venir meno di ogni valore

capace di orientare la vita. Gli individui sono sempre più dominati da istanze edonistiche e utilitaristiche,

nell’illusione che il progresso scientifico, industriale e tecnico possa da solo corrispondere a tutti i bisogni e

a tutte le aspirazioni umane mentre esso diffonde su tutta la terra un universale conformismo di gusti e di

costumi. Al di là della produzione di beni di consumo, l’esistenza concreta degli individui perde ogni senso

e ogni scopo autenticamente vitale.

Nell’opera datata 1882, La gaia scienza, Nietzsche annuncia la morte di Dio, drammatizzandola attraverso il

racconto dell’uomo folle:

[…] Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “ dove se n’è andato Dio?” – gridò

– “ ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come

~ 4 ~

abbiamo fatto questo? Come potremmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la

spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo

sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno

precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo

forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto?” […] “ Dio è morto!

Dio resta morto! E noi l’abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini?

Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri

coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori,

quali giuochi sacri dovremmo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di quest’azione?”

[…] La gaia scienza, aforisma 125.

Dio è morto non è inteso letteralmente, come "Dio è ora fisicamente morto", piuttosto è la maniera usata da

Nietzsche per dire che l'idea di Dio non è più fonte di alcun valore morale o teleologico. «Rompendo uno dei

principali concetti della cristianità, la fede in Dio, cade il tutto: nulla di necessario rimane nelle mani».

La morte di Dio condurrà, secondo Nietzsche, non solo al rifiuto della credenza in qualsivoglia ordine

cosmico o fisico, ma anche al rifiuto dei valori assoluti stessi - al rifiuto di credere in un'oggettiva ed

universale legge morale che lega tutti gli individui. In questa maniera, la perdita di una base sicura della

morale condurrà al nichilismo.

Nietzsche intende per nichilismo la specifica situazione dell’uomo moderno e contemporaneo, che non

credendo più nei valori “supremi” di Dio, della verità, del bene ecc., finisce per avvertire, di fronte all’essere,

lo sgomento del vuoto e del nulla.

Nietzsche propone un’elaborata articolazione all’interno del concetto di nichilismo. Egli distingue, ad

esempio, tra «nichilismo incompleto» e «nichilismo completo».

Il nichilismo incompleto è quello in cui i vecchi valori vengono distrutti, ma i nuovi che subentrano hanno

la medesima fisionomia dei precedenti;

Il nichilismo completo è il nichilismo vero e proprio. Esso può rappresentare un segno di debolezza o di

forza.

Nel primo caso, come espressione del «declino», si ha il nichilismo passivo, che si limita a prendere atto del

declino dei valori e a crogiolarsi nel nulla. Nel secondo caso, si ha il nichilismo attivo, che si esercita come

forza violenta di ditruzione di ogni residua credenza di tipo metafisico.

In conclusione, dal punto di vista di Nietzsche, progettare di vivere senza certezze metafisiche assolute non

significa distruggere ogni senso e norma, ma responsabilizzare l’uomo affinche si ponga come fonte di

valori e significati. Accettare il rischio e la fatica di dare un senso al caos del mondo dopo la morte delle

antiche certezze e delle vecchie fedi: ecco il significato ultimo del superamento Nietzscheano del

nichilismo. ~ 5 ~

Francesco Guccini – sulle orme di Nietzsche

«A volte mi chiedo come “Dio è morto”, scritta nel 1965, piaccia ancora

così tanto e appaia sempre attuale... Il merito però, devo dire, non è del

tutto mio ma degli sponsor di questa canzoni, i razzisti e gli imbecilli che,

a quanto pare, tornano periodicamente alla ribalta.» [Francesco Guccini]

Ho visto

la gente della mia età andare via

lungo le strade che non portano mai a niente

cercare il sogno che conduce alla pazzia

nella ricerca di qualcosa che non trovano

nel mondo che hanno già

dentro le notti che dal vino son bagnate

dentro le stanze da pastiglie trasformate

dentro le nuvole di fumo

nel mondo fatto di città

essere contro od ingoiare

la nostra stanca civiltà.

È un Dio che è morto

ai bordi delle strade, Dio è morto

nelle auto prese a rate, Dio è morto

nei miti dell'estate, Dio è morto.

M'han detto

che questa mia generazione ormai non crede

in ciò che spesso han mascherato con la fede

nei miti eterni della patria e dell'eroe

perché è venuto ormai il momento di negare

tutto ciò che è falsità

le fedi fatti di abitudini e paura

una politica che è solo far carriera

il perbenismo interessato

la dignità fatta di vuoto

l'ipocrisia di chi sta sempre

con la ragione e mai col torto.

È un Dio che è morto

nei campi di sterminio, Dio è morto

coi miti della razza, Dio è morto

con gli odi di partito, Dio è morto.

Ma penso ~ 6 ~

che questa mia generazione è preparata

a un mondo nuovo e a una speranza appena nata

ad un futuro che ha già in mano,

a una rivolta senza armi

perché noi tutti ormai sappiamo

che se Dio muore è per tre giorni

e poi risorge.

In ciò che noi crediamo Dio è risorto,

in ciò che noi vogliamo Dio è risorto,

nel mondo che faremo Dio è risorto! [Francesco Guccini – Dio è morto]

Dio è morto è una canzone scritta nel 1965 da Francesco Guccini ed incisa due anni dopo dai Nomadi.

Il titolo del brano riprende il celebre aforisma di Nietzsche. Essa infatti, non si riferisce alla morte di Dio,

inteso in ambito religioso, ma un Dio che rappresenta tutti i valori che sono venuti a mancare con l'era

moderna. Questo brano è un'opposizione radicale all'autoritarismo, all'arrivismo, al carrierismo, al

conformismo, al perbenismo, al falso moralismo, all'ipocrisia, al consumismo.

La ripresa finale, l'insistenza sulla "resurrezione" di Dio, cioè sull'esigenza di valori etici, non suona retorica

perché se ne avverte la verità profonda, come del resto dimostra una dichiarazione dello stesso Guccini:

«Aggiunsi una speranza finale non perché la canzone finisse bene, ma perché la speranza covava

veramente.»

LATINO 

Decimo Giunio Giovenale l'indignazio verso il degrado della

società romana

«Difficile est saturam non scribere» [Decimus Iunius Iuvenalis]

Giovenale nacque ad Aquino, nel Lazio meridionale, da una famiglia

benestante che gli permise di ricevere una buona educazione retorica. La

~ 7 ~

data di nascita si può indicare approssimativamente fra il 50 e il 60. Intorno ai trent'anni cominciò forse ad

esercitare la professione di avvocato, dalla quale però non ebbe i guadagni sperati. Ciò lo convinse a

dedicarsi alla scrittura, alla quale arrivò in età matura, circa a quarant'anni.

Visse soprattutto all'ombra di uomini potenti, nella scomoda posizione di cliens, privo di libertà politica e di

autonomia economica: è probabilmente questa la causa del pessimismo che pervade le sue satire e dell'eterno

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