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Introduzione Città romana tesina
Questa tesina di terza media descrive la città romana e la sua conformazione nella storia della Roma antica. Per realizzare questa tesina mi sono prima recato presso la biblioteca comunale dove ho preso in prestito un interessante libro su Roma, poi ho completato le informazioni utilizzando varie fonti internet.
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Città romana tesina
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Architettura romana
.CARINI MATTEO 1°F Gossolengo
LA CITTÁ ROMANA
Premessa: per realizzare questa ricerca mi sono prima recato presso la biblioteca comunale dove ho
preso in prestito un interessante libro su Roma, poi ho completato le informazioni utilizzando varie
fonti internet.
I ntorno al 200 a.C. i soldati della Repubblica Romana avevano conquistato tutta l'Italia eccetto le
Alpi; nei 300 anni successivi crearono un Impero che si estendeva dalla Spagna al Golfo Persico.
Per assicurarsi il possesso di questo enorme territorio i
soldati romani costruirono dei campi militari permanenti
ma, via via che la necessità di presìdi militari diminuiva,
molti di questi campi vennero trasformati in importanti
città dell'Impero stesso.
I romani sapevano che delle città ben fortificate
servivano al mantenimento della pace e della sicurezza
molto più di tanti campi militari, e sapevano anche che
una città era ben più di un centro commerciale, politico o
religioso: essa era tutte e tre le cose insieme, ma soprattutto doveva essere un posto dove alla gente
piacesse vivere. Poiché le città venivano costruite o in zone completamente disabitate o nei pressi di
villaggi di modeste proporzioni, se ne stabilivano le dimensioni e il numero degli abitanti prima di
iniziare i lavori.
Gli urbanisti (dal latino urbs che significa città, sono tecnici che studiano come e dove debbano
essere costruiti gli edifici all'interno di una città) decidevano lo spazio necessario per le case, le
botteghe, le piazze e i templi, stabilivano quanta acqua sarebbe stata necessaria, il numero e
l'ampiezza delle strade, dei marciapiedi e delle fogne: con questo sistema di pianificazione, cercavano
di soddisfare le necessità di ogni individuo ricco o povero che fosse.
Era convinzione comune che, quando una città raggiungeva il numero massimo di abitanti, fosse
necessario costruirne una nuova da qualche altra parte: si conosceva molto bene il pericolo della
sovrappopolazione. Infatti, se la città si fosse estesa al di fuori delle sue mura, sarebbero sorti dei
grossi problemi circa il reperimento e la distribuzione dell'acqua, l'eccessivo cumulo dei detriti che
avrebbe indebolito tutto il sistema delle fognature e l'inefficienza delle strade nel contenere una
massa eccessiva di pedoni e di mezzi di trasporto.
Per prima cosa quando si intraprendeva la fondazione di una nuova città, bisognava decidere il punto
in cui doveva essere costruita: si privilegiavano zone piane e con una lieve pendenza che assicurava
un buon drenaggio. Un sacerdote esaminava il fegato di uno o più animali, per vedere se il posto era
abbastanza salubre; appurato che gli animali non avevano malattie, si procedeva ad un accurato
sopralluogo nel territorio circostante per verificare che non ci fossero pozzi di acqua stagnante, causa
di malattie virali.
A questo punto l'imperatore mandava soldati e schiavi per iniziare l'opera; questi una volta arrivati
sul posto, alzavano il castrum (campo militare a forma rettangolare o quadrata fatta a scacchiera), che
riproduceva il piccolo la pianta della città e che veniva costruito seguendo lo stesso metodo. Per
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prima cosa, infatti, scavavano attorno ad un'area rettangolare una trincea
protettiva ed erigevano una staccionata. Poi venivano tracciate le due
strade principali, una che correva da Nord a Sud detta il cardo, l'altra da
Est ad Ovest detta decumanus, e nel punto in cui s'incrociavano si
lasciava un grande spazio aperto, chiamato Forum (spiazzo aperto
circondato da edifici e colonnati, centro religioso e politico simile alle
attuali piazze), dove i soldati si potevano radunare e ricevere gli ordini.
Il progetto era fatto prima su carta dagli ingegneri, e prevedeva un'alta
muraglia intorno alla città, con porte fortificate da torrioni da cui
passavano le strade principali. Lungo il perimetro interno delle mura
veniva lasciata una striscia di terreno chiamata pomerium, confine sacro della città entro il quale la
terra era sotto la protezione degli dei.
Nel progetto, inoltre, venivano indicati i servizi necessari per la popolazione, primo fra tutti quello
dell'acqua: veniva stabilito dove costruire l'acquedotto, le fontane, i bagni e i gabinetti pubblici.
Successivamente si pensava alla posizione del mercato centrale alimentare e il centro per
divertimenti composto dal teatro e dall'anfiteatro.
Era stabilito che nessun fabbricato di proprietà privata dovesse essere alto più di due volte la
larghezza della strada su cui si erigevano: questo provvedimento permetteva alla luce del sole di
raggiungere sia la strada che le case.
Nonostante fossero fissati questi regolamenti di edilizia privata, i cittadini erano comunque liberi di
decidere l'aspetto e il carattere delle abitazioni, secondo la disponibilità economica di ciascuno.
I nomi dei proprietari e le dimensioni dei loro possedimenti venivano trascritti sulla mappa e
mandati al catasto (luogo in cui si conservano i documenti relativi alle proprietà) di Roma, mentre
una copia della pianta della città veniva incisa sul marmo e la lapide posta nel Foro, ben visibile a
tutti. Per la realizzazione delle strade, era necessario il contributo
degli agrimensori (tecnici che calcolavano e misuravano le
superfici dei terreni per poi rappresentarle sulle mappe), che
per tracciarle si servivano di uno strumento chiamato groma
(un'asta lunga circa 1,20 m con poggiata sopra una croce,
dalle cui estremità pendevano 4 fili con dei pesi, quando
questi fili si disponevano parallelamente all'asta centrale,
voleva dire che la groma era perpendicolare al terreno,
seguendo la direzione dei bracci della croce si potevano tracciare le strade), che permetteva di
renderle perfettamente perpendicolari tra loro.
Dopo aver tracciato il percorso della strada, venivano scavati ai lati due canaletti paralleli poi
ricoperti da grandi pietre. All'interno si scavava un altro canale ancora
più profondo poi riempito con successivi strati di pietre di diverse
grandezze fino a raggiungere il livello primitivo del terreno. Lo strato
finale costituiva la pavimentazione della strada, ed era lievemente
convesso al centro per permettere alle acque piovane di scolare verso i
bordi. La pavimentazione era formata da pietre piatte che venivano
assestate insieme, facendole aderire l'una all'altra gli interstizi si 2
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riempivano con sassi piccoli e limatura di ferro. Vigevano precisi regolamenti sulla circolazione dei
carri e carrozze che potevano rappresentare un pericolo per i pedoni. I marciapiedi erano alti 15 cm
per evitare che potessero esserci invasioni dei mezzi; in mezzo alla strada venivano posti dei blocchi
squadrati di pietra a poca distanza fra loro, che consentiva noi di passare da un marciapiede all'altro
in tutta sicurezza obbligando i carri a rallentare.
I materiali più usati per le costruzioni erano la pietra, l'argilla, la malta e il legno. Scoperta decisiva fu
quella del cemento o malta, opus caementicium, un impasto fluido
di calce, sabbia ed acqua che veniva colato dentro a casse di legno
per ottenere le strutture portanti, a volte curve. A fare grande
l'architettura romana furono anche il mattone e l'arco, quest'ultimo
preso dagli Etruschi e sviluppato ulteriormente.
L'uso del mattone era privilegiato per la sua maneggevolezza e la
lavorazione a catena, era prodotto in fornaci e ne riportavano il
marchio per garanzia.
L'argilla veniva foggiata in mattoni e tegole in fabbriche vicine ad
Arentium, oggi Arezzo; si estraeva da grandi buche nel terreno, e si plasmava poi in sagome e
dimensioni prestabilite medianti degli stampi di legno. Rimossi questi ultimi, i mattoni venivano
posti a seccare in un luogo riparato e infine cotti. Per legare mattoni e pietre si usava la malta, il
legname usato per la carpenteria e per le travature dei tetti proveniva dalle foreste.
Per lavorare i materiali, gli operai avevano bisogno di una grande varietà di attrezzi. La maggior
parte veniva fatta sul posto, nelle fucine ( per dare forma ai metalli) e nei laboratori.
Per la costruzione delle mura della città venivano scavate due grandi trincee, la terra di scavo veniva
ammassata al centro di queste diventando un alto bastione che ben presto veniva rafforzato da due
grandi muri, uno su ogni lato. Per rendere la muraglia il più sicura possibile dagli attacchi nemici, la
base del muro scendeva per svariati metri sotto il livello del suolo, così da rendere impossibile
scavare tunnel, poi venivano disposti in cima i merli
(piccoli muretti a distanze regolari), che servivano per
nascondere i soldati mentre tiravano con gli archi.
A garanzia dell’entrata all’interno della città, le mura
avevano delle porte suddivise in tre passaggi: uno
grande per carri e cavalli e due più piccoli per le
persone. A destra e a sinistra venivano inseriti nelle
mura due torrioni che, grazie alla loro sporgenza,
agevolavano i soldati nel contrastare eventuali assalti del nemico. Le tre porte venivano poi chiuse da
pesanti portoni di legno e in alcuni casi anche da grate di ferro scorrevoli e utilizzate al bisogno.
Lungo tute le mura sorgevano, a distanze regolari, altre torri che servivano per la guardia e la difesa
della città.
A questo punto si procedeva con la realizzazione dei servizi.
In principio l'acqua potabile proveniva da diversi pozzi più o meno profondi, scavati dentro le mura
della città. Ma i tecnici sapevano che, con l'aumentare della popolazione, questi non sarebbero stati
sufficienti, servivano gli acquedotti.
Gli acquedotti romani furono costruzioni molto sofisticate, il cui livello qualitativo e tecnologico non
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ebbe uguali per oltre 1000 anni dopo la caduta dell'Impero Romano. L'acqua veniva scelta in
conseguenza di molti fattori: la sua purezza, il suo sapore, la sua temperatura, le sue supposte
proprietà medicamentose, attribuite ai sali minerali contenuti, e la posizione delle sue sorgenti, che
dovevano essere visibilmente pure e limpide, inaccessibili all’inquinamento e prive di muschio e di
canne. Si dovevano esaminare le condizioni generali delle bestie che ne consumavano. Se la fonte era
nuova, i campioni dovevano essere analizzati in contenitori di bronzo di buona qualità per accertare
la capacità di corrosione, l’effervescenza, la viscosità, i corpi estranei e il punto di ebollizione.
Stabilito approssimativamente il percorso che avrebbe dovuto seguire l'acquedotto, si passava a
segnane il profilo su una mappa. Per fare questo lavoro i tecnici si servivano di uno strumento di
legno simile alla attuale livella, ma più grande, il coròbate. Questo poteva dirsi
in esatta posizione orizzontale solo quando i fili a piombo attaccati al ripiano di
legno pendevano parallelamente alle gambe e quando l'acqua che colmava una
vaschetta scavata nel legno non debordava.
A questo punto, stabilito il profilo del terreno, gli ingegneri indicavano dove appoggiare le condotto,
in modo da garantire una pendenza costante per assicurare lo scorrere dell'acqua, considerando che
l’unica forza che agiva sulla acqua e sul suo flusso era quella di gravità.
Prima di essere incanalata, l'acqua passava attraverso una o più vasche dette piscinae limariae, dove
la velocità di flusso rallentava, consentendo al fango e alle altre particelle di depositarsi. Simili
vasche si trovavano anche lungo il corso di molti
acquedotti, per rimuovere qualsiasi impurità.
Lontano dall'area urbana gran parte del percorso
degli acquedotti era sotterraneo: scavando pozzi
verticali veniva raggiunta l'altezza richiesta per mantenere un percorso in discesa, e
quindi il canale, o specus, veniva scavato attraverso la roccia. Per via delle
caratteristiche del terreno, alcune parti del dotto dovevano correre in superficie,
lungo un fosso le cui pareti erano rinforzate con una palizzata. Lungo il percorso
esterno dell'acquedotto ogni 240 piedi (71,28 m) una grossa pietra, detta cippo,
segnalava la presenza del canale sotterraneo, e per evitare danni e inquinamento
doveva essere rispettata una distanza di sicurezza di 15 piedi (1 piede romano = 29,7 cm) per ogni