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Fisica: elettromagnetismo (produzione dell'energia elettrica);
Scienze: valle del Vajont.
L.S.S. Galileo Ferraris di Torino
Il caso “Vajont”
Garzino Matteo
Classe VD
a.s. 2011/2012
Esame di Stato 1
Indice
1. Introduzione
1.1 Trattazione dell'episodio
1.2 Le cause
1.3 Un altro punto di vista
2. Industria energetica in Italia (anni '30 e secondo dopoguerra)
2.1 La ricerca delle fonti energetiche più disponibili
2.2 Tra economia e politica
2.3 Situazione di base, prima del settore idroelettrico
3. Caratteristiche di un impianto idroelettrico
3.1 Funzionamento generale
3.2 Scheda tecnica: gli alternatori
3.3 Scheda tecnica: i trasformatori
4. La diga del Vajont
4.1 Progetto e inizio dei lavori
4.2 La burocrazia e i cambiamenti nella valle
4.3 Le perizie geologiche e i risultati discordanti
4.4 La situazione geologica della valle
4.5 Le prove d'invaso e la tragedia
5. La situazione dopo il disastro e i processi
6. Il ruolo dei giornali nella vicenda
sono trattati argomenti del programma del quinto anno di storia, fisica e scienze 2
1. Introduzione
1.1 Trattazione dell'episodio
Il disastro del Vajont avvenne nella stretta vallata dell'omonimo affluente di sinistra del fiume
Piave, in Veneto, in provincia di Belluno, al confine col Friuli.
Il 9 ottobre 1963, alle ore 22.39, dal monte Toc, sulla sponda destra del torrente Vajont, 260
milioni di metri cubi di terra e roccia franarono a più di 100 km/h (30m/s) nel bacino idroelet-
trico formato dalla diga artificiale situata vicino alla confluenza col fiume Piave. Si sollevò
un'ondata d'acqua di 50
milioni di metri cubi, di
cui circa metà superò in
altezza la costruzione in
cemento armato, della
quale venne danneggiato
solo lo strato superiore.
Tra i paesi sottostanti la
diga, invece, alcuni ven-
nero rasi al suolo (tra di
essi la tristemente celebre
cittadina di Longarone);
anche una parte dei comu-
ni a monte dell'opera ri-
portò dei danni, per la
maggior parte di modesta
entità.
Le vittime furono in totale 1917, di cui 1450 a Longarone e gli altri, lungo la vallata del Piave,
a Castellavazzo, Codissago, Pirago, Faé, Rivalta e Villanova, mentre a monte della diga mori-
rono 158 persone, nei comuni di Erto e Casso.
L'ondata di piena verificatasi sul fiume Piave raggiunse anche Belluno, dove venne distrutta
una borgata e ne fu allagata un'altra.
Quest'evento fu ricordato nel 2008, insieme ad altri quattro disastri evitabili, nell'ambito del-
l'Anno Internazionale del pianeta Terra (International Year of Planet Earth), dichiarato
dall'Assemblea Generale dell'ONU.
1.2 Le cause
Vi sono controversie sulle possibili cause della frana, tuttavia le sponde del Vajont presentano
sicuramente strati di materiale fortemente incoerenti tra loro; un'altra causa probabile sono le
scosse sismiche locali, la cui intensità e frequenza aumentarono in quella zona proprio nel pe-
riodo delle prove d'invaso del bacino.
Dagli atti processuali, inoltre, emerge in modo indiscutibile la responsabilità degli ingegneri,
che hanno realizzato la diga e le prove di invaso senza tenere conto di ciò che già stava acca-
dendo, e della maggior parte dei geologi, che hanno effettuato analisi stratigrafiche molto su-
perficiali, quando non addirittura solo teoriche.
1.3 Un altro punto di vista
Tutto ciò divenne apertamente oggetto di denuncia solamente molti anni dopo la tragedia.
L'unica giornalista che, già dai primi espropri per i lavori nel '56, iniziò a segnalare le ingiusti-
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zie verso gli abitanti dei comuni di Erto e Casso fu Tina Merlin, che però scriveva per un
quotidiano indubbiamente di parte, “L'Unita”, giornale del PCI. Per questo motivo, sebbene le
fonti dei suoi articoli fossero autentiche, non fu ascoltata dagli organi del governo aventi voce
in capitolo.
Ella stessa testimonia, riferendosi in particolare ai suoi articoli precedenti la catastrofe:
“Non volevo certo diventare famosa per un fatto così tragico quando scrivevo contro la
SADE. Volevo semplicemente impedire che questo disastro colpisse i montanari della terra
dove sono nata, dove ho fatto la guerra partigiana, dove ho vissuto tutta la mia vita.”
(“L'Unita”, 11 ottobre 1963).
Tina Merlin, infatti, era stata staffetta per la Resistenza nel bellunese dal 1944 e, come giorna-
lista, fu corrispondente dal 1982 da Belluno, Milano, Vicenza e Venezia.
Dopo il Vajont, tentò di pubblicare il libro “Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastro-
fe”, ma riuscì a farlo solo nel 1983.
Ella difendeva gli interessi delle popolazioni locali, quei montanari che, discendenti dei Cim-
bri, si erano ritagliati dalla montagna pascoli e campi, che sarebbero poi spariti insieme a mol-
te frazioni a causa dell'enorme progetto, senza che i rimborsi per gli espropri fossero suffi-
cienti.
Per capire i motivi che spinsero squadre di tecnici a costruire un'opera così imponente e, in
quel caso, pericolosa, è necessaria una breve analisi della situazione economica dell'Italia nel
campo della produzione di energia durante il '900 fino agli ultimi anni Cinquanta (vedi capito-
lo successivo). 4
2. Industria energetica in Italia (anni '30 e secondo dopo-
guerra)
2.1 La ricerca delle fonti energetiche più disponibili
A causa della maggiore possibilità che l'Italia aveva, rispetto ad altri paesi, di sfruttare l'ener-
gia idroelettrica, si andò creando l'illusione che la nazione potesse essere completamente auto-
sufficiente dal punto di vista energetico. La diga del Vajont venne costruita a partire dal 1956,
ma la SADE (Società Adriatica di Elettricità), che si occupò della realizzazione del progetto,
aveva fatto edificare vari altri impianti idroelettrici già da tempo.
La diffusione delle centrali idroelettriche negli anni '50 e '60, tuttavia, era legata anche alla
mancanza in Italia di fonti energetiche allora fondamentali, tra cui il più importante era ancora
il carbone, almeno per quanto riguarda la produzione di elettricità. La prima centrale italiana
(Milano,1883), addirittura la prima dell'Europa continentale, era, infatti, di tipo termoelettrico.
Tra il 1930 e il 1940, in alcune zone del Sud Italia il settore carbonifero ebbe un grande slan-
cio, con la maggiore produzione concentrata in Sardegna: la più importante area di estrazione
era quella del Sulcis, nel sudovest della regione. L'attività delle miniere di tale zona era con-
trollata, in quel periodo, dall'A.Ca.I (Azienda Carboni Italiani) e, a partire dal 1954, dalla So-
cietà Mineraria Carbonifera Sarda, che nel 1962 avrebbe ceduto all'ENEL la gestione degli
impianti per il piano di nazionalizzazione dell'industria energetica.
2.2 Tra economia e politica
Giuseppe Volpi, il proprietario della SADE, fu ministro delle finanze dal 1925 al 1928 sotto
governo di Mussolini, periodo durante il quale fece varare una legge che assicurava finanzia-
menti a fondo perduto per coprire fino al 50% le spese delle società idroelettriche; egli, inol-
tre, svolse l'incarico di presidente di Confindustria tra il 1934 e il 1943. In quegli anni egli
operò per avvicinare tra loro il fascismo e il capitalismo. Il periodo dei grandi lavori pubblici,
anche in questo campo, iniziò negli anni '30: vennero costruiti sette impianti idroelettrici sul
Piave e sui suoi affluenti, con un contributo energetico di quasi il 7% del fabbisogno di allora.
Dopo la crisi della borsa di Wall Street (1929), infatti, il governo Mussolini decise di appron-
tare un piano per la costruzione di grandi opere pubbliche di utilità, al fine di creare nuovi po -
sti di lavoro e di rilanciare l'economia (seguendo il modello dell'economista inglese Keynes).
Oltre ai sette impianti nominati sopra, la SADE era intenzionata a costruirne un altro, di di-
mensioni ben più grandi.
La valle del Vajont presenta, a monte del punto in cui il torrente affluisce nel Piave, una gola
unica molto stretta e profonda, unica in tutte le Alpi per le sue dimensioni: fu questo il luogo
che venne subito scelto per il nuovo progetto. 5
3. Caratteristiche di un impianto idroelettrico
3.1 Funzionamento generale
Un impianto idroelettrico trasforma l'energia meccanica dell'acqua (ossia la somma della sua
energia potenziale e di quella cinetica) in energia elettrica. Le parti che lo compongono si pos-
sono raggruppare in due categorie:
- opere idrauliche, volte a controllare e dirigere il flusso dell'acqua, oltre a raccoglierla
- macchinari per la produzione di energia elettrica, situati all'interno di una centrale
Il processo di trasformazione dell'energia avvie-
ne secondo le seguenti fasi:
1) l'acqua viene accumulata in un bacino, le
cui pareti possono essere naturali (come
nel caso della valle del Vajont), per mez-
zo di uno sbarramento artificiale, cioè
una diga. Attraverso l'uso di tale serbato-
io si può garantire un flusso continuo e
costante di acqua alla centrale e se ne può
regolare l'intensità
2) il fluido viene convogliato nelle opere di
derivazione, che possono essere canali a
pelo libero oppure condotte in pressione
(di sezione circolare)
3) nel primo caso, l'acqua giunge ad una va-
sca di carico, nel secondo caso, ad un
pozzo piezometrico: quest'ultimo ha lo
scopo di evitare che sbalzi di pressione
dovuti all'apertura o alla chiusura delle valvole di controllo possano deformare le con-
dutture (fenomeno dei “colpi d'ariete”)
4) passando nelle condotte forzate, l'acqua aumenta la propria energia potenziale a causa
del salto compiuto
5) l'acqua giunge alla centrale, dove avviene e viene controllata la produzione di energia
elettrica. Essa mette in rotazione una o più turbine (organi rotanti, ognuno dei quali è
formato sostanzialmente da una ruota munita di palette opportunamente sagomate per
raccogliere il flusso idrico)
6) ogni turbina mette in rotazione un alternatore (vedi par. 3.2)
7) l'elettricità è immessa nei cavi della rete ad alto voltaggio
8) l'acqua viene reimmessa nella rete idrica del luogo, ossia viene scaricata in un corso
d'acqua attraverso opere idrauliche di restituzione.
3.2 Scheda tecnica: principio di funzionamento degli alternatori
Un alternatore genera una corrente variabile nel tempo per intensità e segno secondo una fun-
zione sinusoidale. Esso sfrutta il fatto che un campo magnetico variabile nel tempo ne genera
uno elettrico.
Una spira di materiale conduttore è immersa in un campo magnetico e ruota al suo interno,
con un asse di rotazione perpendicolare alle linee di campo: la linea del filo racchiude una
certa superficie nello spazio. A causa della rotazione, la quantità di superficie esposta varia e,
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assieme ad essa, cambia anche il valore del flusso di campo magnetico che la attraversa in
ogni istante, secondo la legge
BS cos
B
dove B è l'intensità del campo magnetico, S è l'area della superficie e α è l'angolo compreso
tra il piano della superficie e la direzione del campo magnetico. La legge di Faraday-
Neumann-Lenz esprime la forza elettromotrice come la derivata del flusso rispetto al tempo,
cioè dΦ BScosα
B
f . e . m dt Δt
dove il campo elettrico generato dalla corrente varia in fase con quello magnetico se il circuito
non presenta resistenze, mentre il periodo di variazione dei due campi è sempre lo stesso.
La corrente che percorre la spira giunge a un anello collettore per ognuna delle due estremità
della stessa, dalle quali passa, attraverso lamine metalliche dette spazzole, al circuito primario
della rete elettrica.
3.3 Scheda tecnica: principio di funzionamento dei trasformatori
Come già detto nel paragrafo precedente, un campo magnetico variabile nel tempo ne genera
uno elettrico. Un campo elettrico, tuttavia, ne genera sempre uno magnetico. Nel caso di una
corrente alternata, quindi, si ha una serie di campi elettrici e magnetici, perpendicolari tra loro
e detti “concatenati”.
In un trasformatore si ha una situazione di questo tipo: esso è formato da un nucleo di metallo
ferromagnetico (un materiale, cioè, che conduca il magnetismo in modo più efficace possibi-
le) e da due avvolgimenti di filo, detti “primario” e “secondario”, appartenenti a due circuiti
distinti. Nell'avvolgimento primario passa la corrente in arrivo da un generatore. Il campo ma-