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Sintesi
Italiano: J. Keroauc, la prosa spontanea;

Storia dell'arte: Jackson Pollock (l'Action Painting);

Storia: Beat Generation;

Inglese: J. Kerouac (On the road).
Estratto del documento

I.T.S. “MARCO POLO”- PERITI PER IL TURISMO E

CORRISPONDENTE IN LINGUE ESTERE

Sulla strada con il pollice in su

“On the Road”: il libro di Jack Kerouac che fece nascere l’autostop

Di Francesca Tomba 2012

F T 5^D

RANCESCA OMBA

Sommario

Introduzione ............................................................................................................................................................ 4

L’ Autostop di ieri ........................................................................................................................................ 6

La cultura del secondo dopoguerra ................................................................................................................ 8

L’autostop: le origini ........................................................................................................................................... 11

“On the road”: Il libro simbolo del viaggio in autostop .............................................................. 14

Kerouac & the “Beat Generation” .................................................................................................................. 16

On the road: The Bible of the Beat Generation ......................................................................................... 18

Un rotolo lungo come la strada ...................................................................................................................... 20

Arte e letteratura a ritmo del jazz: l’Action Painting di Pollock e la Prosa spontanea di

Kerouac .................................................................................................................................................................... 21

Kerouac arriva in Italia ...................................................................................................................................... 25

L’Autostop di oggi .................................................................................................................................... 30

L’ Autostop ai tempi del Web .......................................................................................................................... 32

I Nostalgici del vecchio autostop ................................................................................................................... 34

Conclusione ............................................................................................................................................................ 36

Bibliografia ............................................................................................................................................................. 38

2

3

Introduzione

L’idea di trattare come argomento di tesina l’autostop girava nella mia mente da un po’

di tempo ispirata da un racconto dei miei genitori a proposito di un loro amico che lo ha

provato di persona e che tutt’ora lo usa per viaggiare. Così mi sono man mano documentata

sulla nascita di questo metodo di viaggiare così spontaneo e avventuroso.

Nel discutere sulla scelta del mio argomento, più di una volta mi sono sentita consigliare

la lettura di un libro: “Sulla strada” di Kerouac. E così, dopo averlo cercato in biblioteca, ho

iniziato a leggerlo senza sosta. Perché la sensazione che dà questo libro è proprio quella di un

viaggio senza fermate, dove hai poco tempo per riprendere fiato e ripartire. Una lettura che

percorre “una strada” dritta dove ad ogni angolo vi sono posti e persone da scoprire. Un libro

che riesce a far percepire la sensazione che si prova a fare l’autostop a chi non l’ha mai

provato. Prima di leggerlo, però, mi è stato utile informarmi sulla biografia di Jack Kerouac e

sulla “Beat generation”, il cui nome è stato coniato proprio da Kerouac. Una generazione

dominate dalla spontaneità e dal caso. La spontaneità della prosa di Kerouac, l’impulsività del

gesto creativo di Pollock e l’istintività con cui i giovani partivano senza nulla in tasca spinti

solo dalla voglia di andare.

L’autostop nacque proprio in quegli anni caratterizzati dall’impulsività, dalla

spontaneità e dalla voglia di avventura.

In anni di studi, non abbiamo mai preso in considerazione l’autostop come uno dei mezzi

di trasporto utilizzati da chi viaggia perché, in effetti, non è un vero e proprio mezzo, è

semplicemente un pollice all’insù ai bordi delle strade, ma che come un’auto ti permette di

viaggiare.

Cos’è allora l’ “AUTOSTOP”? 4

5

L’ Autostop di

ieri

6

7

La cultura del secondo dopoguerra

La diffidenza verso le istituzioni, la centralità dell’esperienza personale,

l’attenzione alla dimensione religiosa, il senso d’insicurezza: sono le caratteristiche

che la contraddistinguono. Dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni ’60, la

cultura è stata fortemente influenzata da fenomeni di costume

che hanno caratterizzato le svolte nei vari settori, da quello

letterario, a quello musicale, da quello figurativo a quello

teatrale. Alla base di questi fenomeni possiamo individuare

una tendenza generale: la contestazione. Tale cultura ha

interessato soprattutto il mondo giovanile, manifestandosi sia

in America sia in Europa con atteggiamenti ribellistici, provocatori, anticonformistici e

trasgressivi. All’origine della rabbia giovanile stava la contestazione del sistema borghese

capitalistico. Essi rifiutavano la loro società, accusata di appiattire l’uomo e mercificare tutto,

anche il pensiero e l’arte.

Un fenomeno europeo di protesta giovanile è stato quello degli “Angry young Men”

(giovani arrabbiati), nato in Inghilterra nel 1957 ed animato da uno spirito trasgressivo nei

confronti della morale tradizionale.

Un similare fenomeno si diffuse in America, una grande nazione che negli anni ‘50

godeva di una tranquillità maggiore rispetto alle nazioni europee, preoccupate di ricostruire

quanto era stato distrutto dalla guerra. In contrasto con la tranquilla vita americana nacquero

nuove culture come la “Beat generation”, con forti

concentrazioni a San Francisco e New York. Il movimento

“beat” da principio non era un vero e proprio movimento, ma

solo ragazzi aventi idee comuni che si riunivano in luoghi isolati

per non disturbare. Si sedevano per terra, a gambe incrociate, a

fumare joint e dividendoselo magari anche tra quindici persone.

Ciò non era per drogarsi, ma era per fumare una specie di pipa

della pace come avevano fatto gli indiani d’America a loro

tempo, per poter scoprire attraverso una esaltazione

momentanea “il perché” di tutte le cose. 8

La società americana di questo periodo era caratterizzata da una moltitudine di

contraddizioni. Per un verso gli USA aveva combattuto in difesa della democrazia contro le

barbarie naziste ed erano considerati simbolo di libertà e giustizia, dall’altro vivevano sotto

l’incubo della guerra fredda. Vi era la paura del comunismo che scatenò una vera e propria

persecuzione contro chi manifestava simpatie per la sinistra, in particolare intellettuali e

artisti. Tutto ciò creò un clima di tensione che fece vacillare l’immagine del paese, da sempre

considerato la culla della libertà.

Si assistette poi al dilagare del consumismo, che prometteva felicità e benessere e

modelli di vita che bandivano attività immorali come il ballo, le relazioni sessuali e le corse in

motocicletta (*). Furono proprio il consumismo e il benessere a generare le prime

insofferenze di una generazione che non voleva la monotonia e la sicurezza dell’americano

medio.

I giovani della “Beat generation” non si riconoscevano in questo tipo di società ed

esprimevano la loro ribellione attraverso il rifiuto dell’insegnamento universitario, la scelta di

un’esistenza vagabonda sulle strade e sui treni d’America, la libertà sessuale, la voglia di una

vita comunitaria, sfrenata e senza regole. Essi, infatti, ritenevano che solo rifiutando in massa

la civiltà moderna fosse possibile salvare l’uomo. In altre parole, occorreva estraniarsi in

modo totale e consapevole dalla società. Si trattava di un atteggiamento volutamente passivo,

che non si proponeva di abbattere le istituzioni per stabilirne altre, ma contrapponeva alla

falsità della società borghese, la chiusura in un proprio mondo solitario. Dietro i loro

atteggiamenti provocatori non c’era la volontà di cambiare la società, ma solo il distacco e la

fuga dai modelli societari di massa. A tutto ciò si reagiva con l’ “assenza” in cui coesistevano la

fuga, il nomadismo ed il viaggio. I “beatnik”, come amavano definirsi, erano pacifisti, non

avevano alcun interesse per il denaro, facevano uso di droghe e amavano la musica jazz. Tutti

questi atteggiamenti trovavano piena espressione nel termine “beat”, che ha il significato di

“battuto” e nello stesso tempo di “beato”. Vuole, cioè, esprimere da un lato il rifiuto volontario

di una società, nei confronti della quale ci si sente sconfitti, e dall’altro la felicità che da

quest’atteggiamento ne deriva. Il rifiuto di una civiltà impregnata di razionalismo sfociava

inoltre, nell’interesse per le filosofie orientali, soprattutto per il buddismo.

La protesta “beat” colpì poi il comportamento e l’abbigliamento. Il linguaggio era aperto

e libero, l’abbigliamento era anticonvenzionale, la capigliatura tendeva a coprire le orecchie.

Vennero anche costruiti luoghi di ritrovo “beat”.

9

Nel 1956 Allen Gisberg, grazie al poeta e proprietario

della libreria e casa editrice “City Light”, Laurence

Ferlinghetti, pubblicò il manifesto della “Beat generation”:

“Urlo”. Un anno dopo Jack Kerouac pubblicò “Sulla strada”,

il libro che ispirò un’intera generazione.

(*)CIAK: ”Una volta questo era un gran bel Paese. Non riesco a capire cosa gli

sia successo”

GEORGE:Non hanno paura di voi. Hanno paura di quello che voi rappresentate.

Quello che rappresentate per loro è la LIBERTA’. Si è vero la libertà è tutto

d’accordo, ma parlare di libertà ed essere liberi sono due cose diverse. Voglio

dire che è difficile essere liberi quando ti comprano e ti vendono al mercato. E

bada a non dire mai a nessuno che non è libero perché allora quello si darà un

gran da fare a uccidere e massacrare per dimostrarti che lo è. Ah Certo ti

parlano e ti parlano e ti riparlano di questa famosa libertà individuale, ma

quando vedono un individuo veramente libero allora hanno paura.

BILLY : Eh! La paura però non li fa scappare!

GEORGE - NO, ma li rende pericolosi

(tratto dal film “Easy Rider” - Dennis Hopper, 1969)

10

L’autostop: le origini

“Io non facevo l’autostop perché ero senza soldi, i soldi me li dava la mamma

se ne avevo bisogno; facevo l’autostop perché volevo conoscere della gente nuova

che altrimenti non avrei mai avvicinato. Sapessi quante storie mi hanno

raccontato questi sconosciuti che incontravo facendo l’autostop.” Jack Kerouac

“Sulla strada” ha ispirato un’intera generazione: la

generazione degli anni 50-60. Anni in cui si vide diffondersi quella

filosofia di vivere alla giornata, di non sapere mai cosa fare

domani. Il libro di Kerouac fu certamente complice della

diffusione di questo pensiero, soprattutto tra i giovani, esaltando

l’immagine dell’energia vitale, della spontaneità nell’arte ma

ancor più nella vita. Ed è forse a Kerouac che dobbiamo la nascita

dell’ ”AUTOSTOP”, il modo più spontaneo e libero di viaggiare.

Non era un mezzo per risparmiare soldi, ma per conoscere gente.

Si saliva su una macchina e si conoscevano persone. Il grande

sogno di quel decennio era proprio quello di comunicare con persone sconosciute liberandosi

da ogni condizionamento e pregiudizio.

Le strade iniziarono a pullulare di giovani che chiedevano un passaggio, alcuni con uno

zaino in spalle, ma c’era anche chi, evidentemente abbastanza squattrinato da non potersene

permettere uno, imbracciava un fustino del detersivo usato come valigia pur di partire. I

cartelli che mostravano agli automobilisti indicavano le mete più strane o semplicemente un

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