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Per il mio percorso personale ho voluto dedicarmi a quella che è la mia grande
passione: la musica. Più nello specifico mi sono interessato alla dodecafonia e a
cercare di capire il PERCHÈ oggi questa musica viene solamente accennata nella
programmazione delle grandi stagioni sinfoniche e perché non è particolarmente
amata dal pubblico. La conclusione a cui sono giunto tramite debite ricerche è che il
nostro giudizio su una qualsiasi partitura ascoltata non dipende solo da fattori
puramente estetici, ma anche da fattori fisici e biologici.
LA DODECAFONIA
Purtroppo la grande musica del ‘900 è poco conosciuta, pertanto ritengo opportuno
spiegare cosa sia la dodecafonia senza limitarmi a semplici e banali definizioni, ma
avvalendomi di un’incontro con essa.
Il punto di partenza di tutta la musica fino ad oggi composta è l’armonia.
Tralasciando complesse e lunghe discussioni inerenti l’armonia, per quel che interessa
al fine della mia trattazione, è bene sapere che da sempre la composizione di una
qualsiasi partitura impone che tra le note che la costituiscono si instaurino
determinate relazioni facendo sì che alcuni suoni prevalgano su altri, in una sorta di
ordine gerarchico.
Determinanti in un brano ad esempio sono la tonica (la nota che dà il nome alla
tonalità del pezzo stesso), il terzo grado ed il quinto grado (rispettivamente la terza e
la quinta nota dopo la tonica). Supponiamo ad esempio che il brano sia in do maggiore
(= tonica); il terzo grado è mi ed il quinto è sol.
Il complesso di regole armoniche che si sono stratificate nel corso del tempo hanno
portato ad elaborare risultati di questo tipo:
Mozart, sonata 330 in do maggiore [1773]
con relativo ascolto dei due righi riportati
come possiamo notare in questi due semplici righi, il grande genio di Mozart ci
consente di cogliere le leggi dell’armonia; guardate come si susseguono infatti con
frequenza le note poco fa elencate, soprattutto nel basso.
do mi sol = accordo di Do maggiore
La dodecafonia rifiuta tutto questo, rifiuta queste regole compositive per adottarne
una sola: la composizione deve evolversi sia in senso orizzontale (melodia) che in
senso verticale (armonia) evitando che un suono sia ripetuto prima che gli altri 11 non
siano suonati. Su la prima successione, che prede il nome di serie, prende corpo tutto
il pezzo tramite debite variazioni. Il risultato che si ha è questo
Schönberg, walzer op.25 [1923] 2
con relativo ascolto dei due righi riportati
Come potete notare i numeri che ho utilizzato per riconoscere con semplicità le note
non si ripetono prima che siano stati usati fino a 12.
Il risultato che si ottiene è, esteticamente parlando, poco gradevole. Inutile dire che la
dodecafonia destò numerose critiche quando fece la sua comparsa. Sebbene già dalla
fine dell’800 venivano sempre più usate le dissonanze (si pensi a Wagner), i fruitori di
musica non erano pronti ad un cambiamento così radicale, addirittura la critica salutò
la dodecafonia come pagine nate da un patto con il Diavolo. Tanto più che nel periodo
della seconda guerra mondiale essa venne proibita sia da Hitler (la definiva un’arte
corrotta, ricordiamo poi che Schönberg era ebreo) che da Stalin nei loro regimi
autoritari. Fu solo a partire dagli anni ’50 che si ebbe il boom della musica
dodecafonica.
Resosi conto della fragilità della sua creatura, tanto da affermare
“La musica dodecafonica può resistere ad una critica così poco come la fede stessa e
come qualsiasi altra credenza” [Arnold Schönberg]
Schönberg ritenne opportuno trovare una giustificazione che legittimasse il suo lavoro.
Di qui egli affermò che la musica non è una produzione umana, ma che essa esiste a
prescindere dal fatto che vi sia un essere umano capace di suonarla o ascoltarla.
Secondo il compositore esiste infatti un mondo metafisico, fatto soprattutto di concetti
matematici, in cui tutti i fattori in esso implicati emettono dei suoni. Questi suoni
hanno fra loro determinate relazioni che vanno oltre il senso estetico dell’uomo, dando
luogo quindi ad un’armonia incondizionata e libera.
La capacità (ed il coraggio) del compositore sta nel ricevere dal Supremo Comandante
(Dio) questa musica, evitare di applicarvi i canoni della tradizione, e riportarla agli altri
nel mondo reale. Schönberg era infatti solito affermare:
“Io sono solo il megafono di quest’idea”
Il compositore così assume quasi il ruolo di un vate, che riporta agli altri quello che
solo a lui viene rivelato, e quale migliore protezione offrire alla dodecafonia se non
definirla come qualcosa di preesistemnte e legittimata da Dio?
“Ciò che viene denigrato ci viene dettato, non potete accusare noi delle responsabilità
dell’Altro”
[Anton Webern]
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Tale teoria trova il suo antecedente nella teoria dell’Armonia Celeste dei Pitagorici.
ARMONIA CELESTE DEI PITAGORICI [greco]
Innanzitutto è bene ricordare che i Pitagorici, corrente filosofica sviluppatasi nella
seconda metà del VI secolo a.C., furono i primi a dedicarsi in maniera razionale al
cosmo
problema cosmologico. Se oggi si parla di lo dobbiamo a Pitagora, il primo che
usò questo termine per indicare l’ordine e l’eleganza dell’universo, contrapposto al
disordine ed alla casualità cosmo = armonia universale.
I Pitagorici inoltre furono i primi a sostenere che i pianeti avessero una forma sferica e
ad ipotizzare un sistema eliocentrico, anche se al centro dell’universo non vi è il Sole
ma l’Hestia, il fuoco centrale che fa brillare lo stesso Helios di luce riflessa.
L’ordine dell’universo è dato da relazioni matematiche che danno forma al creato,
accompagnate da armonie musicali in qualche modo ad esse corrispondenti. La ricerca
di queste corrispondenze tra musica ed astronomia è stata oggetto di indagine
filosofica da Pitagora fino a Keplero e forse anche allo stesso Newton.
A tal proposito Pitagora elaborò la teoria dell’armonia delle sfere celesti,
successivamente arricchita dai suoi discepoli e dallo stesso Platone.
Il sistema dei Pitagorici, o Italici secondo la definizione aristotelica, è riassumibile nella
descrizione di Filolao (V secolo a.C., contemporaneo di Socrate, fu il pitagorico che
mise per iscritto le concezioni della scuola, fino ad allora considerate segrete).
Ogni pianeta ruota in senso antiorario attorno
al fuoco centrale, situato al centro
dell’universo. Lo stesso vale per la Terra, la
Luna ed il Sole. Le stelle fisse si trovano tutte
su un'unica sfera, la più esterna e la più pura.
La Terra gira tenendo sempre il lato da noi
abitato rivolto in direzione opposta al fuoco
centrale, ed è per questo motivo che esso si
nega alla nostra vista. L’Antiterra è introdotta
per dare un’ulteriore giustificazione del fatto
che dalla Terra non è mai possibile vedere il
fuoco centrale (va notato che nel sistema
Pitagorico la Terra si muove per la prima volta
nella storia dell’astronomia). La Terra gira
molto più velocemente del Sole e della Luna,
ed è per questo che una volta al giorno li
sorpassa con l’effetto visivo di una loro
nascita a Est ed un tramonto a Ovest.
All’obiezione che con un simile modello le dimensioni del Sole e della Luna dovrebbero
variare di molto durante il giorno (grandi quando sono allo Zenit e piccoli all’alba e al
tramonto) i Pitagorici rispondono prendendo per l’orbita terrestre un diametro assai
piccolo rispetto alle distanze Terra-Sole e Terra-Luna (che starebbero tra loro nel
rapporto di 9:1).
A questo punto Filolao fa un improvviso balzo nella speculazione più astratta.
Affermando che “tutte le cose avvengono per necessità ed armonia”, sostiene che,
come sassi che sfrecciano attraverso l’aria, i corpi celesti emettono un suono, ciascuno
il proprio, secondo le prescrizioni dell’armonia classica. Il moto circolare implica
armonia: l’universo produce un canto soave basato sul moto ritmicamente ed
armonicamente coordinato dei sette corpi celesti dove il suono sarebbe prodotto per
effetto dell’attrito contro il mezzo nel quale navigano, aria, fuoco o etere. Il suono
avrebbe un’altezza proporzionata alla velocità del corpo, la quale a sua volta
crescerebbe direttamente con la sua distanza dal fuoco centrale. E, ciò che più conta, i
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rapporti fra le altezze dei suoni sarebbero sempre tali da sortire accordi musicali ed
armoniosi.
Perché allora nessuno sente questi suoni? Per assuefazione, avendoli uditi fin dalla
nascita. Pitagora era il solo che riusciva a distinguerli dagli altri suoni: Aristotele
obietterà che corpi così grandi farebbero un rumore così assordante da romperci i
timpani.
Ma in che modo gli intervalli della scala musicale corrispondono ai singoli raggi delle
sfere planetarie? Qui la mente può lasciarsi andare alle più libere fantasie, visto che i
dati astronomici del tempo erano alquanto vaghi (ma anche dopo che Aristarco di
Samo, matematico ed astronomo greco che visse fra il 310 ed il 230 a.C., avrà
misurato la distanza Terra-Luna e Terra-Sole, si continuerà a parlare di queste faccende
in maniera del tutto avulsa dalle conoscenze scientifiche). Varie furono le ipotesi
avanzate dai Pitagorici, tanto varie quanto palesemente fantasiose, ma la bellezza che
suscita questa teoria fa perdonare stravaganze secondo cui tra la Terra ed il Sole vi
siano Venere e Mercurio, ipotesi opposta a ciò che empiricamente si vedeva
osservando il cielo.
Il successo della teoria pitagorica è testimoniato dalla sua ripresa nei secoli successivi,
in cui si cercò di capire quale fosse la vera relazione tra l’universo e la musica. Sta di
fatto che la grande verità lasciata dai Pitagorici è che i suoni esistono fra loro in
rapporti matematici. La teoria delle Sfere Celesti venne condivisa da moltissimi
intellettuali, fra i quali troviamo anche Dante.
SFERE CELESTI E MUSICA NELLA DIVINA COMMEDIA [italiano]
E’ ben noto che Dante fosse un aristotelico, ma per quanto riguarda la teorie delle
Sfere Celesti era un Platonico in quanto, come il filosofo idealista, amava la visione
Somnium Scipionis
pitagorica. Presumibilmente Dante conobbe tale teoria attraverso il
di Cicerone. In mezzo alla perfezione della sua opera non poteva mancare un seppur
fugace riferimento alla teoria pitagorica:
“Così fui sanza lagrime e sospiri “Quando la rota che tu sempiterni “Diverse voci fanno dolci note;
anzi ‘l cantar di quei che notan desiderato, a sé mi fece atteso così diversi scanni in nostra vita
sempre con l’armonia che temperi e rendon dolce armonia tra que
dietro a le note de li etterni giri” discerni, rote.”
parvemi tanto allor del cielo acceso
[Purgatorio, XXX 91- [Paradiso, VI 1
de la fiamma del sol, che pioggia o
93] 126]
fiume
lago non fece alcun tanto disteso.”
[Paradiso, I 76-
81]
Così rimasi senza poter piangere e Diverse voci producono d
[la rota]
Quando i cieli che tu fai
sospirare / prima che cantassero armonia; / così diversi gradi
girare in eterno / perché essi
[quei]
gli angeli che intonano il beatitudine nella vita celest
desiderano ricongiungersi a te
canto sempre / accordandosi alle producono una dolce armonia
[desiderato] / attrassero la mia
[dietro a le note]
armonie dei cieli questi cieli
attenzione / con l’armonia che tu
che girano in eterno regoli e distingui, / mi parve allora
una così grande parte del cielo
illuminata / dalla luce del sole, che
né pioggia né fiume / formarono mai
un lago così vasto
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Il legame che vi è fra Dante e la musica è fortissimo. Nelle due opere dottrinali
(Convivio De vulgari Eloquentia)
e la musica veniva presa in considerazione nella
Divina
misura in cui la poesia ne deriva dei principi strutturali ed estetici. Nella
Commedia invece è l’espressione immediata del principio universale dell’amore e
manifestazione autentica dell’uomo.
Paradiso: espressione di amore perfetto
Purgatorio: espressione di amore imperfetto ma tendente alla perfezione che
aspetta nel paradiso
Inferno: rappresenta la negazione estrema dell’amore (caratterizzata non a caso
da dissonanza)
Arnaldo Bonaventura (Livorno 1862 – Firenze 1952), fu un violinista e letterato italiano