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Sintesi

Coinvolge tutte le materie interessando personaggi impazziti nel corso della loro vita, storia di freud e la psicanalisi, elettroencefalogramma e onde elettromagnetiche, le stelle e il loro spettro stellare, ecc...

Materie trattate: italiano, latino, francese, storia, filosofia, matematica, fisica, geografia astronomica, disegno e storia dell'arte

Estratto del documento

2. LATINO. Nerone e la follia del potere

Il potere ha, nei secoli, sempre rappresentato sé stesso in modi diversissimi, ma con l'unico

intendimento di consolidare la propria forza: i sistemi di potere hanno teso a proiettare di sé

un'immagine nell'insieme forte e rassicurante. Nelle epoche antiche alla solidità si è associata, come

prima virtù del potere stesso, la sacralità: il re assoluto faceva discendere la propria investitura dalla

divinità, attraverso una serie di gesti e simboli legittimanti. Nella Roma più antica la classe

senatoria aveva delegato la sacralità ai simboli repubblicani: le aquile delle legioni, i fasci littori, il

monogramma S.P.Q.R. erano sufficienti a incutere rispetto e timore ai cittadini, agli alleati e ai

nemici. In epoca più moderna si sono ripresi alcuni simboli (il fascio littorio sotto il fascismo) o

inventati altri (la svastica nazista) con la stessa funzione. Ma a parte la simbologia spesso

ex novo

retorica, enfatica e pretestuosa, il potere è rappresentato adeguatamente da altre manifestazioni di

prestigio, ricchezza, potenza, superiorità, che esercitano su coloro che lo subiscono un'azione

distorsiva ed alienante che finisce per convincerli a sostenere il potere stesso e a giustificarlo. Ma

inevitabilmente il potere aliena, prima di tutto, chi lo esercita, stravolgendone il senso comune e

deteriorandone la morale, isolando il ”tiranno” nella solitudine e costringendolo ad andare sempre

più a fondo, nell'abiezione e perfino nella follia.

I passi che seguono, tratti dagli di Tacito e dal di Svetonio, si

Annales De vita Caesarum

propongono di delineare le caratteristiche che assunse il potere nelle mani di Nerone, considerato

unanimemente il prototipo del tiranno che esercita il potere in modo assoluto e lo circonda di una

ritualità al limite della follia.

Notizie storiche

Nerone (Anzio 37 – Roma 68 d.C., imperatore dal 54 al 68 d.C.), ultimo appartenente alla

Giulio-Claudia. Figlio di Gneo Domizio Enobarbo e di Agrippina Minore, cambiò il suo nome

gens

(Lucio Domizio Enobarbo) in Nerone Claudio Cesare dopo essere stato adottato dall'imperatore

Claudio, che sua madre aveva sposato in seconde nozze. Sposò la figlia di Claudio, Ottavia. Alla

morte di Claudio i pretoriani, guidati dal loro prefetto Sesto Afranio Burro, lo proclamarono

imperatore. Sotto la guida di Burro, precettore militare, del filosofo Seneca, addetto alla sua

formazione politica e culturale, e della madre, Nerone si mostrò inizialmente deferente nei confronti

del senato, restituendogli competenze e funzioni che gli erano state tolte dai suoi predecessori.

Entrato in contrasto con la madre, che si opponeva alla sua relazione con Poppea Sabina e che

intendeva esercitare sempre maggiore influenza sul governo, Nerone fece uccidere Britannico –

figlio di Claudio e di Messalina – considerato un possibile pretendente al trono, e allontanò la

madre da Roma, facendo poi uccidere anche lei.

Dopo l'assassinio della madre, la morte di Burro e il ritiro forzato dalla vita pubblica di

Seneca, ormai inascoltato consigliere, Nerone modificò radicalmente la propria politica. Divenuto

ostile al senato, iniziò a favorire i ceti popolari e i militari e ad esercitare un potere sempre più

dispotico. Cercò il consenso popolare con l'indire delle guerre nonché dei ludi e pubbliche

sovvenzioni per il popolo, il che gli fece dissipare la ricchezza dell'erario e lo obbligò a imporre

pesantissime tassazioni e addirittura a svalutare la moneta. Quando Roma fu distrutta da un

incendio l'imperatore ne fu ritenuto responsabile; invano cercò di incolpare dell'accaduto i cristiani,

che furono oggetto di feroci persecuzioni. In seguito si fece costruire una nuova residenza

imperiale, la Fortissima fu l'opposizione senatoria all'imperatore, permeata dei valori

Domus Aurea.

della filosofia stoica, altrettanto dura furono però le repressioni ordite da Nerone. L'aristocratico

Caio Calpurnio Pisone ordì una congiura ai danni dell'imperatore, che tuttavia la scoprì e fece

uccidere tra gli altri Seneca e i letterati Lucano e Petronio un tempo suoi amici, accusati di aver

preso parte alla cospirazione. Dichiarato nemico pubblico dal senato Nerone si suicidò facendosi

pugnalare da un servo, dando così inizio alla guerra civile degli anni 68-69 che vide dopo di lui

alternarsi sul trono di Roma Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano.

Caio Svetonio Tranquillo

Erudito e biografo, rivestì sotto Traiano e Adriano le cariche di archivista e segretario per la

corrispondenza dell'imperatore: ciò gli permise di consultare gli atti ufficiali, i memoriali e i

documenti riservati da cui attinse per la redazione della sua opera principale, De vita Caesarum.

Scrisse numerose opere, tutte nel solco di una traduzione erudita. Del opera

De viris illustribus,

complessiva sui letterati, rimane solo il libro dedicato ai grammatici e ai retori, i cui brevi profili

biografici illustrano più gli uomini che gli studiosi. Più che storico vero e proprio, Svetonio è un

erudito curioso di aneddoti, pettegolezzi ed eventi privati, spesso scabrosi; tuttavia il fatto che i

protagonisti vengano presentati in una dimensione meno ufficiale e solenne, assieme alla prosa

semplice ed energica, rende piacevoli le pagine di Svetonio. Esse d'altra parte costituiscono una

fonte essenziale per la ricostruzione delle vicende storiche della prima età imperiale, poiché trattano

dei periodi la cui corrispondente descrizione di Tacito è andata perduta.

26. La sua impudenza, libidine, lussuria, cupidigia e crudeltà si manifestarono da principio

gradualmente e in forma clandestina, come una follia di gioventù, ma anche allora nessuno ebbe

dubbi che si trattasse di vizi di natura e non dovuti all'età. Dopo il crepuscolo, penetrava nelle

taverne, vagabondava per i diversi quartieri facendo follie nel picchiare la gente che ritornava da

cena, nel ferirla e immergerla nelle fogne se opponeva resistenza, come pure nel rompere e

scardinare le porte delle botteghe;installò nel suo palazzo una cantina dove si prendeva il frutto del

bottino diviso e messo all'asta. Spesso nelle risse di questo genere, rischiò di perdere la vita. Per

questo non si avventurò più in città a quell'ora senza essere discretamente seguito, alla distanza, da

alcuni tribuni. Un giorno che si era venuti alle mani e che si battagliava a colpi di pietra e di pezzi di

sgabelli, anche lui gettò sulla folla un bel po' di proiettili e perfino ferì gravemente un pretore alla

testa. 27. Ma a poco a poco, ingigantendosi i suoi vizi, rinunciò alle scappatelle e ai misteri, si

gettò apertamente nei più grandi eccessi. Faceva durare i suoi banchetti da mezzogiorno a

mezzanotte. Arrivava anche a cenare in pubblico, sia nella naumachia chiusa, sia nel Campo di

Marte, sia nel Circo Massimo, e si faceva servire da tutti i cortigiani e da tutte le baiadere di Roma.

Egli si invitava anche a cena dai suoi amici: uno di loro spese così quattro milioni di sesterzi per

adornarlo.

28. Oltre alle sregolatezze con giovani ragazzi e alle sue relazioni con donne sposate, fece

violenza anche alla vestale Rubria. Poco mancò che prendesse come legittima sposa la sua liberta

Acte e aveva assoldato alcuni ex consoli perché certificassero con un falso giuramento che essa era

di origine regale. Avrebbe voluto avere rapporti carnali persino con sua madre, ma ne fu dissuaso

dai nemici di Agrippina che non volevano il predominio di questa donna odiosa e tirannica grazie a

questo nuovo genere di favore; nessuno dubitò mai di questa sua passione, soprattutto quando

ammise nel numero delle sue concubine una prostituta che si diceva somigliante in modo

impressionante ad Agrippina. Si assicura anche che in passato, ogni volta che andava in lettiga con

sua madre, si abbandonava alla sua passione incestuosa e che veniva tradito dalle macchie del suo

vestito.

Cornelio Tacito

Storico, il maggiore dell'età postaugustea. Dopo aver ricoperto numerose cariche politiche

sotto gli imperatori Flavi e poi sotto Nerva e Traiano, negli ultimi anni della sua vita si dedicò

principalmente alla redazione di opere storiche, che si sono conservate solo in parte. Viene quasi

concordemente attribuito a Tacito il prezioso documento sull'eloquenza

Dialogus de oratoribus,

passata e contemporanea, scritto in uno stile fluido ed armonioso, decisamente diverso da quello

rapido e incisivo delle altre sue opere. Uscirono le due monografie e la prima è

Agricola Germania:

una biografia del suocero, Gneo Giulio Agricola, celebre generale ed esperto uomo politico; la

seconda è un trattato sui costumi dei germani, la cui civiltà incontaminata, paragonata alla

corruzione e ai vizi dell'impero, aveva suscitato la profonda ammirazione dell'autore. I suoi due

capolavori, le e gli non ci sono purtroppo giunti integralmente. Tacito vi svolge

Historiae Annales,

un'analisi spietata del funzionamento della macchina imperiale romana, del contrasto tra l'arbitrio

dei principi e la libertà, del servilismo dell'aristocrazia e dei delitti efferati compiuti in nome della

ragion di stato. In queste opere emergono i tratti più tipici dell'arte tacitiani: il severo moralismo, la

nostalgia per la repubblica, il fosco pessimismo sui destini di Roma, il penetrante interesse

psicologico e lo stile inconfondibile.

La grandezza di Tacito come storico sta nelle sue analisi psicologiche e nella vividezza dei

personaggi descritti. L'autore rappresenta forse il momento davvero più importante della

storiografia romana: è storico “contemporaneo”, sia nel senso preciso del vocabolo, sia perché ha

saputo rendere contemporanea anche l'età che non aveva vissuto. Anche il suo stile – volutamente

controllato, rapido e conciso – è un aspetto fondante di questa sua concezione della storia. Tacito

individua il “peccato originale” della decadenza di Roma nella svolta anticostituzionale operata da

Augusto dietro una formale facciata repubblicana, e denuncia le conseguenze nefaste del sistema

dinastico, pur senza rifiutare totalmente l'istituzione – oramai necessaria per l'unità, l'ordine e la

pace dell'impero – del “principato” stesso.

38. Si verificò un disastro, non si sa se accidentale o se per volere del principe – gli storici

infatti tramandano due versioni – comunque il più grave e spaventoso toccato alla città a causa di un

incendio. Iniziò nella parte del circo contigua ai colli Palatino e Celio, dove il fuoco, scoppiato nelle

botteghe piene di merci infiammabili, subito divampò, alimentato dal vento. L'incendio invase

dapprima il piano, poi risalì sulle alture, superando qualsiasi soccorso per la fulmineità del flagello

e perché vi si prestavano la città e i vicoli stretti di cui era fatta la vecchia Roma. Si aggiungano le

grida di donne atterrite, i vecchi smarriti e i bambini. Nell'impossibilità di sapere da cosa fuggire e

dove muovere, si riversavano per le vie e si buttavano sfinite nei campi. Alcuni, per avere perso tutti

i beni, senza più nulla per campare neanche un giorno, altri, per amore dei loro cari rimasti

intrappolati nel fuoco, pur potendo salvarsi preferirono morire. Nessuno osava lottare contro le

fiamme per le ripetute minacce di molti che impedivano di spegnerle, e perché altri appiccavano

apertamente il fuoco, gridando che questo era l'ordine ricevuto, sia per poter rapinare con maggiore

libertà, sia che quell'ordine fosse reale.

39. Nerone rientrò a Roma solo quando il fuoco si stava avvicinando alla residenza. Non si

poté peraltro impedire che fossero inghiottiti dal fuoco il Palazzo, la residenza e quanto la

circondava. Per dare una via di fuga al popolo, che vagava senza più una dimora, aprì il Campo di

Marte, i monumenti di Agrippa e i suoi giardini, e fece sorgere baracche provvisorie. Da Ostia e dai

comuni vicini vennero beni di prima necessità e il prezzo del frumento fu abbassato. Provvedimenti

che non ebbero l'effetto voluto, perché era circolata la voce che, nel momento in cui Roma era in

preda alle fiamme, Nerone fosse salito sul palcoscenico del Palazzo a cantare la caduta Troia,

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