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Ho deciso di affrontare nella mia tesina un tema particolarmente caro alla storia e alla letteratura del Novecento, ovvero il contrasto fra realtà e apparenza.
L’idea è nata dalla visione di un documentario del programma “La Grande Storia” sulla propaganda fascista e in particolare sulla politica dell’immagine di Mussolini. Riflettendo poi sul percorso letterario di diversi autori studiati nel corso dell’anno, ho pensato di poter trovare delle corrispondenze di questo tema anche nella letteratura italiana e straniera del 1900.
Il binomio realtà apparenza percorre trasversalmente la cultura, fin dalle sue origini, penetrando nella letteratura sotto forma di personaggi che diventano i simboli di questo contrasto esistenziale, o caratterizzando la storia civile e politica in alcuni momenti straordinari e con figure che mirano a cambiare la storia indirizzandola verso grandiosi destini che alla fine si rivelano illusori.
Nelle pagine della tesina di maturità ho analizzato, infatti, l’importanza per un regime totalitario di creare intorno a sé il consenso, facendo apparire la realtà migliore di quanto fosse. Dal punto di vista letterario, nonostante i rapporti con il fascismo siano stati ambigui, la visione critica sviluppata da Pirandello nei confronti delle istituzioni sociali e borghesi non risparmia il regime, che è per lui un esempio della falsità del meccanismo sociale. Ed è proprio all’interno della società borghese che nasce la visione del mondo di Pirandello e il tema della maschera sociale. Ho approfondito questo tema leggendo la novella “La signora Frola e il signor Ponza, suo genero”, poi divenuta anche opera teatrale con il titolo “Così è, se vi pare”.
Un altro ambito nel quale ho analizzato il contrasto realtà-apparenza è quello della letteratura tedesca , in particolare nell'autore Kafka e nel suo racconto “La metamorfosi”. Il risveglio del protagonista Gregor Samsa, trasformato in un insetto gigantesco, è presentato dal narratore come un fatto del tutto naturale. È questa la caratteristica essenziale di un procedimento che pone su uno stesso livello fatti impossibili, ossia evidentemente irreali, e fatti possibili, in quanto obbediscono invece ad una logica reale, attribuendo loro un identico statuto di verosimiglianza e di credibilità, sul piano della logica narrativa. Il significato dell’operazione è evidente e, nonostante l’apparente conservazione delle forme della narrativa tradizionale, assume una portata rivoluzionaria: se l’assurdo e l’irreale penetrano così profondamente nella realtà, al punto da identificarsi con essa, la realtà stessa finisce per risultare come la dimensione più assurda e irreale dell’esistenza. La tesina quindi mira a descrivere in sintesi cosa vi è oltre la maschera.
Collegamenti
Storia - Mussolini e la propaganda fascista.
Italiano - Pirandello e il tema della "maschera e il volto"
Tedesco - Il romanzo di Kafka, "La Metamorfosi".
Non si
Ecco degli esempi di “veline”:
dica che la disgrazia al figlio di Agnelli
avvenne allo scalo Mussolini, ma si dica
che avvenne nel mare di Genova
(18.7.1935);
Tutti i giornali debbono riprendere le
fotografie Luce pubblicate stamane dal
Popolo di Roma in prima pagina: il Duce
si prepara a salire sulla trebbiatrice
(5.7.1938);
Nella cronaca della inaugurazione della
Camera notare che la Regina ha salutato
col saluto romano e non inchinando la
testa (23.3.1939).
A capo del Ministero della Cultura Popolare c’era Galeazzo Ciano, che poi diventò
Ministro degli Esteri e che s’interessò anche dei mezzi di comunicazione di massa,
cioè la radio e il cinema.
Il Ministero della Cultura Popolare, oltre a controllare le pubblicazioni, si pose
come obiettivo quello di suscitare entusiasmo intorno alla guerra d’Etiopia e di
esaltare il mito del Duce.
Va sottolineato però come molte adesioni da parte dei giovani intellettuali al
Ministero della Cultura Popolare derivassero spesso dalla frustrazione, dalla
miseria, dall’assenza di prospettive professionali e dallo scetticismo politico che
condizionava l’animo di coloro che erano costretti a dimostrare una falsa adesione
al fascismo per potere procacciarsi da vivere.
Il Ministero della Cultura Popolare, infatti, era diventato un centro di smistamento
e collocamento di forza lavoro intellettuale favorendo con essa la diffusione della
cultura fascista.
I "cavalli di battaglia" della stampa di quegli anni riguardavano temi ed argomenti
cari al regime, come il mito della "romanità", quello del giovanilismo dello stato
fascista, il corporativismo, il dopolavoro, le bonifiche, le colonie, il progresso
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tecnologico, il ritorno alla terra, il turismo, i modelli urbanistici degli anni Trenta, la
maternità o la famiglia. 8
Fino al 1926 la politica culturale del regime era sta indirizzata soprattutto al
controllo dell’alta cultura e degli intellettuali, attraverso la creazione di nuovi
istituti culturali o la fascistizzazione di quelli già esistenti ma, proprio a partire da
questa data, Mussolini cominciò a capire che la politica culturale poteva anche
essere utilizzata dal fascismo per radicarsi nella vita culturale del paese e per
modellare la coscienza morale e sociale del popolo, delle masse, per attuare, in
sostanza, quello che fu lo scopo fondamentale della politica culturale del regime
negli anni trenta, cioè “andare verso il popolo”.
Per attuare questa nuova idea di politica culturale, nel 1926, il regime passò dalla
di agitazione
propaganda , un tipo di propaganda sovversiva che era stata
usata in particolar modo tra il 1919 e il 1922 e tra il 1924 e il 1926, e che aveva lo
scopo di suscitare sentimenti di odio e frustrazione al fine di scatenare la violenza
di integrazione
e la ribellione, alla propaganda . Quest’ultima era un tipo di
propaganda che agiva sugli uomini indirettamente, influenzando i costumi, le
abitudini e i comportamenti, al fine di condizionare la maggioranza della
popolazione e ottenere l'accettazione totale di un dato modello di
comportamento.
La propaganda di integrazione, diffusa ed elaborata attraverso l’attività di censura
e rassegna dell’ufficio Stampa negli anni venti e agli inizi degli anni trenta, si
basava su due temi di carattere generale:
mito del Duce,
il cioè la costruzione di un’immagine popolare di Mussolini;
Nuova Italia,
l’Idea della cioè la costruzione di un’ immagine fittizia di un’Italia
stabile, ben ordinata e vigorosa in cui la società conduce una vita sobria e
moralistica, incarnando gli ideali e i valori fascisti e rifiutando i valori dell’Italia
prefascista con il suo liberalismo borghese.
mito del Duce
Nella costruzione del , l’Ufficio Stampa si occupò di costruire da un
lato, l’immagine di un uomo dalle qualità superiori rispetto alla norma, e dall’altro
cercò di dimostrare che il Duce era vicino alla vita delle masse e ai valori della
vita rurale. Nuova Italia
La costruzione dell'idea della si basava sul valore negativo attribuito
dal regime al liberalismo borghese dell'Italia prefascista. I valori liberali e
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borghesi, infatti, erano visti come sintomi di una società corrotta e decadente e
venivano presentati alle masse come antiquati e ormai superati, al fine di
Nuova Italia
convincerle che la società ordinata e stabile della dovesse rifiutarli
totalmente. 10
La radio
Di notevole importanza per il tempo era anche la radio che trasmetteva i discorsi
del Duce, oltre ai notiziari sportivi e ai programmi musicali e che promuoveva una
grande opera di persuasione nei confronti delle masse.
Nel 1927, infatti, era nata la EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), un
ente speciale a capitale privato guidato da Enrico Marchesi con nuove strutture di
grandi dimensioni, a cui lo Stato assicurò in concessione per 25 anni l'esclusiva
del servizio di radioaudizioni, oltre a vari incentivi per il potenziamento tecnico
degli impianti trasmittenti.
Mussolini, che all'inizio non aveva mostrato molto interesse per la radio si rese
conto, con il tempo, dell'importanza che il nuovo mezzo di comunicazione avrebbe
potuto rivestire per l'azione propagandistica del regime, anche per la vasta
risonanza che alcune trasmissioni radiofoniche avevano suscitato in altri paesi.
Per ampliare l'area di ascolto, che continuava ad essere limitata al ceto medio
urbano delle regioni centro-settentrionali, il Governo fece installare numerosi
apparecchi, con relativi altoparlanti, in tutte le sedi delle organizzazioni di partito
(a cominciare dalla Case del Fascio), nei dopolavori, nelle scuole, negli uffici, nelle
caserme, nei principali ritrovi pubblici. Per raggiungere i ceti contadini si diede
vita persino ad un Ente radio rurale. Questo vasto piano di diffusione dei posti
d'ascolto assicurò al regime fascista ampie possibilità di pianificazione del
consenso e di mobilitazione psicologica delle masse, come risultò evidente in
particolare durante la guerra d'Etiopia tra il 1935 e il 1936 e, successivamente, in
occasione dell'intervento italiano nella guerra civile in Spagna a fianco delle forze
franchiste.
D'altra parte, per rendere permanente l'opera di persuasione ed indottrinamento
totalitario attraverso i canali radiofonici, venne stabilito con la legge del 9 gennaio
1936 che il controllo sui programmi dell'EIAR fosse di competenza
del Ministero Stampa e Propaganda. 11
Nel 1929 era stato anche creato il "Giornale Radio", un radiogiornale che rivisitava
i fatti del giorno in ottica fascista (celebri divennero le “Cronache del Regime” di
Roberto Forges Davanzati e il Commento ai fatti del giorno di Mario Appelius). 12
Il cinema
L’altra innovazione nei mezzi di comunicazione di massa fu il cinema. A partire dal
1925 infatti, tramite la creazione
dell’Istituto LUCE “L’Unione
Cinematografica Educativa”,
esso venne posto alle dirette
dipendenze del capo del governo
con l’obbligo della supervisione
diretta di Mussolini sui materiali
realizzati.
Un’importante iniziativa fu presa per il decennale della marcia su Roma nel 1932,
nel quale il LUCE produsse il suo primo lungometraggio, "Camicia Nera", che
raccontava la storia del fascismo con un misto di cinema, documentari e fiction e
mostrando insieme reperti e materiali appositamente girati. Il genere
documentario e quello di divulgazione scientifica restarono la punta di diamante
del LUCE e, infatti, erano tra i migliori al mondo ed erano molto richiesti. Questo
spinse a un maggior impegno sulle immagini e sulla ricerca di nuovi modi per
proporre le notizie e la propaganda in maniera più convincente e appetibile al
pubblico.
Il 24 settembre 1936 l’istituto LUCE aveva cessato di essere alle dipendenze del
Capo del Governo per passare a quella del Ministero per la Stampa e la
Propaganda. Il LUCE aveva già consolidato una propria esperienza con inviati
speciali nei primi anni Trenta. Con la guerra il loro lavoro si specializzò:
il LUCE organizzava i servizi con propri operatori di guerra inviandoli sul campo di
battaglia. 13
Luigi Pirandello: la maschera e il volto
Eccellenza
Luigi Pirandello aderisce al fascismo nel 1924. “ - scrive a Mussolini -
sento che questo è il momento più opportuno per dichiarare una fede nutrita e
servita in silenzio”.
Tra gli scrittori italiani del Novecento egli è forse quello che meglio rappresenta i
vari momenti di una lunga crisi storica che parte dal Risorgimento fallito e dai
problemi post unitari; aderisce all’anarchismo anti-parlamentare e anti-liberale del
nascente fascismo e tenta di adeguarsi alla politica del regime.
Per poter analizzare le posizioni politiche dello scrittore e la sua adesione al
I vecchi e i giovani”,
fascismo è necessario partire dall’analisi del romanzo “ scritto
fra il 1906 e il 1910 e pubblicato in volume nel 1913. Il romanzo storico si basa sul
confronto fra due generazioni: i vecchi, che hanno fatto l’Italia, ma vedono i loro
ideali risorgimentali sviliti e negati dalla corruzione politica presente; i giovani che
appaiono incerti sulla direzione da imprimere alla loro vita, tanto che la loro
azione pure si conclude in un fallimento. Pirandello, infatti, si oppone alla
corruzione della classe politica liberale d’inizio Novecento, incapace agli occhi dei
suoi oppositori di governare e dare stabilità al Paese. Se si pensa però che lo
scrittore già rifiutava la politica estera di Giolitti, che conduceva gli italiani a
imprese imperialistiche in Libia, si può capire come egli debba riconoscere anche
il fallimento del fascismo, quando esso si orienta verso una politica autoritaria e
imperialistica. 14
E non poteva essere diversamente in uno scrittore che nel modello di vita
proposto dall’industrializzazione e dall’imperialismo sa scorgere le più profonde
contraddizioni della società, mostrando come l’uomo finisca col rendere
interscambiabili reale e ideale, realtà e apparenza.
Pirandello infatti si rese conto del carattere di vuota esteriorità del regime, della
retorica pomposa dei suoi riti ufficiali.
D’altronde la critica corrosiva delle istituzioni sociali e delle maschere da esse
imposte, propria della visione pirandelliana, non poteva certo risparmiare il
regime, che era un vero e proprio esempio della falsità del meccanismo sociale.
È proprio all’interno della società borghese che nasce il dramma dei personaggi
pirandelliani delle opere maggiori, simboli della condanna all’incomunicabilità e
alla solitudine dell’uomo contemporaneo. Alla base della visione pirandelliana del
mondo vi è una concezione vitalistica: la realtà è vita, “perpetuo movimento
vitale” inteso come eterno divenire, incessante trasformazione da uno stato
all’altro, flusso continuo come lo scorrere del magma vulcanico.
Tutto ciò che si stacca da questo flusso, assume una “forma” distinta e
individuale, che ci fa credere che la realtà che noi vediamo sia oggettiva e che
tutti la vedono come la vediamo noi. Per questo motivo risulta che gli altri hanno
di noi migliaia di visioni differenti e non solo quella che crediamo di mostrare.
Ecco perché l’uomo si vede costretto a indossare una “maschera” che copre il
volto, che lo costringe in una forma cristallizzante da cui non riesce più a evadere
e che nasconde dentro di sé differenti personalità ignote addirittura al suo stesso
io e in grado di manifestarsi inaspettatamente.
Così all’interno della famiglia, del gruppo di amici, del mondo delle relazioni
lavorative e professionali e nel più vasto scenario sociale, non possiamo che
essere “uno”, dovendoci costantemente adeguare alla stima che gli altri hanno di
noi, mentre ci sentiamo “centomila” e perciò finiamo, in una perdita irreversibile
della nostra identità, con l’essere “nessuno”, come lo stesso scrittore definisce nel
suo famoso romanzo. Questi stessi contesti finiscono per diventare delle
“trappole” all’interno delle quali l’uomo lotta per cercare di liberarsi. 15
E’ proprio la struttura stessa della società, la sua etica, le sue tradizioni e i suoi