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Storia-L'Italia dal 68 al 78
Diritto - il DPR 616
Scienze delle finanze- Il contenzioso tributario
Economia Aziendale- l'etica aziendale
Informatica- Le reti
Inglese- Samuel Beckett e Waititng for Godot
Matematica- La ricerca operativa
Introduzione
Il percorso d'esame si sviluppa sul tema della mancanza di speranza di
rinnovare il sistema e di tutti gli ostacoli designati come tali negli anni 70, a
partire dal movimento studentesco del 1968 all'omicidio di aldo moro nel 1978,
confermato da Leonardo Sciascia in "l'affaire moro". Verrà presa in esame
come la speranza, in "Waiting for Godot" di Beckett, è un valore su cui si
potrebbe concentrare la vita in attesa di qualcuno che la cambi o che cambi
interamente il sistema politico e amministrativo. Inoltre, sul piano economico,
la speranza rappresenta un elemento fondamentale in quanto è il fattore che
muove il settore impresa-ambiente nel rispetto di quest'ultima. Sul piano
giuridico è esaminata la normativa del dpr 616/77 e il contenzioso tributario
nato in quei stessi anni come soluzione a disguidi di imposizione tributaria. Sul
piano tecnologico, la speranza di nuove tecnologie, come internet aiutino a
comunicare con l'intero globo.
LA LETTERATURA ITALIANA
Il bisogno di creare qualcosa di nuovo, di più conforme alla società che stava
nascendo verso la fine degli anni Cinquanta, nasceva dalla crisi di quel
movimento che aveva dominato la scena letteraria (e non solo), dal
dopoguerra fino alla metà degli anni ’50 circa: il Neorealismo.
La crisi del neorealismo
Dopo la Seconda guerra mondiale, nel campo letterario si è notevolmente
estesa la “cultura dell’impegno”, che ha portato alla nascita di una classe di
intellettuali “impegnati”. Essi hanno fatto del rinnovamento della coscienza e
della lotta ideologica il punto di base delle loro opere letterarie. In particolare,
in Italia, l’impegno neorealistico ha fortemente contribuito alla nascita di un
modello di intellettuale, che ha fatto della letteratura uno strumento per
indagare sul reale e cercare di migliorarlo.
Il concetto di letteratura impegnata, “militantistica” (elaborato nel decennio
1945-55 attraverso il dibattito critico e la produzione narrativa) si è ormai
definitivamente logorato e svuotato. Si è infatti assistito al progressivo
orientarsi della narrativa verso toni elegiaci o memoriali che sono la
conseguenza di uno spostarsi dal piano della rappresentazione storica al piano
della rappresentazione esistenziale. A questo si aggiunga la polemica, di
Pasolini, contro il prospettivismo connesso ai canoni del neorealismo, contro
cioè un’arte falsata da volontariste fiducie, un po’ troppo meccanicamente
“positiva” e didascalica. E ancora il prepotente interesse al linguaggio ed alla
componente stilistico - formale dell’opera.
Ma questa crisi del neorealismo, questo rifiuto, che assumerà sempre maggiori
polemiche, di una linea narrativa che solo pochi anni prima era stata quella
dominante, sono da collegare anche ad un complesso processo di revisione
ideologica che agita e sommuove le forze di sinistra (e non solo in Italia). Non
si tratta solo di una crisi circoscritta al piano della prassi politica o
dell’ideologia, ma di una crisi di vasta portata culturale che investe anche la
critica letteraria e la concezione dell’arte. Ossia : attraverso un intenso
dibattito condotto soprattutto su riviste, vengono discusse e superate le
imposizioni critiche della sinistra culturale dal 1945 in poi, e cioè: la battaglia
per il realismo; la valutazione del prodotto artistico fortemente condizionata da
preoccupazioni di impegno ideologico - politico; la polemica contro temi e
moduli del decadentismo; il concetto dell’arte come rispecchiamento (ossia che
l’opera d’arte esprima le condizioni storiche e sociali da cui trae origine). Si
coglie in questi dibattiti la volontà di tentare metodologie nuove, una
disponibilità sempre maggiore a “sperimentare”, l’impegno di arricchire e di
aggiornare, al passo con la cultura straniera, ed un certo rigorismo marxista
ufficiale. Le principali riviste di questo tipo: Officina, Rendiconti, Il Menabò, Il
Verri, I Quaderni Piacentini.
Per concludere: si possono capire il ’68 e le laceranti trasformazioni verificatesi
nel decennio che l’ha seguito solo rifacendosi al travaglio, alle polemiche, ai
processi di revisione ed alla volontà di riformulazione che sono già ben evidenti
fra il ’55 ed il ’60.
Potere economico e letteratura
Questo fermento di dibattito politico - culturale, questa fitta trama di ricerche e
di aggiornamento nascono dalla necessità di trovare nuovi ed adeguati
strumenti che permettano di conoscere la realtà sociale italiana che ora è ben
diversa da quella che dieci anni prima si presentava agli intellettuali del
Politecnico.
La società italiana, infatti, vive in quegli anni (approssimativamente dal 1954-
55 al 1960-63) quel periodo che è stato definito del boom economico: la
ripresa produttiva che si verifica non elimina i vecchi squilibri né porta ad uno
sviluppo omogeneo delle varie regioni italiane, ma permette però specie nelle
zone storicamente “privilegiate”, quindi sedi già della concentrazione
industriale, un livello di vita ed una quota di benessere che sono fatti nuovi
nella storia italiana. Il capitalismo, lungi dall’avviarsi a quella crisi mortale
ipotizzata da Marx, dimostra una sorprendente capacità di sviluppo, ed anziché
adottare le vecchie tecniche dello scontro frontale col proletario, ricorre ad una
strumentale invischiante strategia che alterna il pugno di ferro col guanto di
velluto. Le profonde trasformazioni che questo stato di cose apporta anche nel
settore culturale sono già state precedentemente prese in esame: la
reificazione del prodotto culturale e la sua riduzione a merce; il conseguente
condizionamento dell’artista costretto a rispondere alle esigenze dei
consumatori che chiedono prodotti d’intrattenimento, fruibili con facilità; la
vischiosa serie di legami tra editori e grandi organi d’informazione, tra autori e
critici, tra case editrici e giudici dei premi letterari, tra artisti e mercanti d’arte.
Questa situazione ripropone il problema di venti anni prima, sia pure in termini
diversi, dei rapporti fra letteratura e potere. Allora erano le ideologie ed il
potere politico a minacciare un pesante condizionamento, mentre ora era il
potere economico, meno clamorosamente visibile ma più corruttore.
LEONARDO SCIASCIA
Leonardo Sciascia è nato a Racalmuto in provincia di Agrigento l'8 Gennaio del 1921.
Ha dalla famiglia un'educazione laica ed aperta. Durante le Magistrali a Caltanissetta, dove ha
la fortuna di avere come maestro Vitaliano Brancati, si avvicina all'anti-fascismo e legge
molto gli autori nordamericani, specie Dos Passos, Caldwell, Steinbeck. Nel 1943 lavora
come impiegato negli uffici per l'ammasso obbligatorio del grano, attività che porta Leonardo
Sciascia ad incontrare la realtà del mondo contadino e poi inizia ad insegnare (senza troppo
entusiasmo), alla scuola elementare di Racalmuto. Durante il suo lavoro di Maestro
elementare Sciascia comincia a scrivere all’insegna dell’impegno poetico “Favole della
dittatura”,nel 1950, “La Sicilia, il suo cuore”nel 1952, per dedicarsi poi alla saggistica in
forma di racconto. Nel 1957 Leonardo Sciascia, abbandona l'insegnamento per dedicarsi a
tempo pieno, come scrittore e come organizzatore culturale. "Le parrocchie di Regalpetra"
vengono pubblicatenel 1956, " cronache” su un immaginario paese della Sicilia, quattro
racconti de "Gli zii di Sicilia" nel 1958, "Il giorno della civetta" nel 1961, giallo di
ambientazione contemporanea, "Il consiglio d'Egitto" nel 1964, “Morte dell’inquisitore”
(1964), sulla figura di un frate finito sul rogo nel Seicento, “I pugnalatori” (1976),
rievocazione di un complotto contro lo Stato ordito a Palermo nel 1862, "A ciascuno il suo"
nel 1966 romanzo centrato sulla mafia e sui suoi delitti. Notevoli i suoi studi
su Pirandello che si realizzano prima con "Pirandello e la Sicilia" (1961) e poi con "La corda
pazza" (1970).Negli anni Settanta Sciascia si impone all'attenzione per il vivace dibattito
politico seguito la pubblicazione di ognuna delle sue opere "Il contesto" 1971, "Todo modo"
1975, "L'affaire Moro" 1978, "Relazione sul caso Moro" (1982), "Dalle parti degli infedeli
"(1979) che si distinguono sempre per lucidità intellettuale e anticonformismo. A questa
letteratura di impegno civile e politico Sciascia affianca i romanzi polizieschi "La scomparsa di
Majorana" (1975), "Il teatro della memoria" (1981) e raccoglie il suo «diario in pubblico»
"Nero su nero"(1979). Con "Occhio di capra" del 1985 torna nel mondo siciliano per
registrare, attraverso un dizionario dei «modi di dire» gli aspetti magici e evocativi della sua
terra. Leonardo Sciascia scrive la sua ultima breve opera, "Una storia semplice", poco prima
di morire a Palermo il 20 Novembre 1989.
L’AFFAIRE MORO (1978)
Il libro si apre con una dotta ed interessante introduzione: Cita l’“articolo delle
lucciole” di Pasolini, che illustra il contesto di quegli ultimi anni ’70. Inizia
così un’analisi appassionata, che se da un lato ha il rigore di un indagine,
dall’altro non prescinde la pietà verso il dramma. E, soprattutto, è
un’analisi molto convincente: Sciascia esplora il significato delle parole di Moro,
illustra il contesto, legge tra le righe, fa emergere talvolta anche quanto non
esplicitamente riferito. La chiave di lettura è chiara: ogni tentativo di lucida
e razionale mediazione proposto da Moro si andava infrangendo contro
una ferrea e inflessibile “ragion di Stato” che non accettava alcun
compromesso. Nelle parole di Moro vi è tutta la lucida presa di coscienza del
pericolo, la tenera preoccupazione per i propri cari, la rabbia e l’impotenza
verso il partito i colleghi e amici, chiusi dietro un muro di gomma. In una
lettera si chiederà: “Vi è forse nel tener duro contro di me, una
indicazione americana o tedesca?” E attenzione, è una domanda rivolta al
suo partito, non ai brigatisti, una domanda che suona quasi retorica per chi sa
come funzionano certi meccanismi. E li può rivelare. Il libro si conclude con la
“Relazione di Minoranza presentata dal deputato Leonardo Sciascia, in qualità
di membro della Commissione Parlamentare d’Inchiesta su la strage di Via
Fani, il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, la strategia e gli obiettivi
perseguiti dai terroristi”.
STORIA
Tra l’immediata ricostruzione postbellica e le soglie degli anni ’70, da paese
ancora essenzialmente agricolo l’Italia si era trasformata in uno dei primi paesi
industriali del mondo. Si erano in tal modo verificate una crescita eccezionale
del prodotto interno (tra il 1958 ed il 1963), della produttività media del lavoro
ed una consistente accumulazione di capitali utilizzati negli investimenti; e si
era impennato anche il reddito medio per abitante, con un innalzamento del
tenore di vita che segnava per l’Italia l’ingresso nella civiltà dei consumi.
Questi mutamenti strutturali, con le correlative modificazioni culturali e di
costumi, incisero a fondo anche sul tessuto della società civile. Questa divenne
più variegata e manifestò esigenze di partecipazione democratica,
d’ammodernamento del sistema politico e dell’amministrazione pubblica, di
ampliamento delle libertà civili e di maggiore giustizia sociale, che non sempre
furono fatte proprie con la necessaria prontezza da Stato e governi. Proprio
questo distacco fra società civile e società politica, fu alla radice delle laceranti
tensioni che percorsero il paese tra il 1968 e la fine degli anni ’70.
L’autunno caldo del 1969
La tensione sociale toccò il culmine nell’autunno del1969 il cosiddetto “autunno
caldo”, quando s’inasprì la vertenza dei metalmeccanici (la categoria operaia
più forte) per il rinnovo del contratto di lavoro. A questo punto ebbe inizio la
“strategia della tensione” che con l’utilizzo sapiente apporti diversi e mai
chiariti, mirava al ripristino dell’ordine anche mediante il ricorso ad attentati
sanguinosi da addebitare ai sessantottini. Alla strage milanese di Piazza
Fontana, dove il 12 dicembre una bomba ad alto potenziale esplosivo collocata