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Sintesi

Introduzione Al di là dell'Hic e del Nunc, tesina



La seguente tesina di maturità si intitola Al di là dell'Hic e del Nunc. Per secoli, matematica, scienza e filosofia hanno costituito un unico sapere di cui la metafisica è stata la regina incontrastata. A partire dalla modernità, tra Galileo e Kant, la separazione tra la scienza e la matematica da una parte e la metafisica dall’altra getta la cultura occidentale in un drammatico scisma che il “buon senso” comune, purtroppo disinformato, continua a ripetere come un mantra: è la cesura tra scienze della natura e scienze dello spirito, con matematici e filosofi incapaci di collocarsi in uno dei due eserciti in battaglia. Tale impostazione, oltre a rivelarsi estranea ai grandi scienziati del Novecento – siano essi fisici, biologi o naturalisti – e ai grandi filosofi contemporanei, come Wittgenstein, i neo-positivisti e Popper – conduce ad una settorialità infeconda. “Distinguere per unire”, scriveva Jacques Maritain nel 1932: distinguere i saperi, i linguaggi, i metodi per tentare di cogliere l’intero, la realtà del tutto. Ma c’è un problema che mi ha appassionato, quello della prospettiva che influenza e condiziona il ricercatore. La coscienza delle cose è così neutra e trasparente da metterci nella condizione di conoscere l’oggettività del reale? E soprattutto, questa coscienza è capace di “curvarsi” verso se stessa (in forme scientifiche e razionali e non solo mistiche e irrazionali), oltrepassando la sua innata funzione di “finestra” sul mondo? Effettivamente, il soggetto (o coscienza) potrebbe essere paragonato ad una finestra, che, come è noto, serve a far vedere più che ad essere vista. Ma, allora, la coscienza può diventare autocosciente? Per Cartesio, sì: è un’intuizione immediata, frutto di meditazione interiore; per Kant, no: possiamo pensare alla nostra coscienza, ma non conoscerla; per Hegel, sì, tramite la dialettica conflittuale (servo e padrone); per Nietzsche e la maggior parte dei filosofi contemporanei no: dobbiamo smettere di illuderci; conosciamo frammenti delle cose e di noi stessi. Anzi l’Io stesso non esiste, se non per comoda convenzione. Le coordinate classiche e moderne, da Aristotele a Newton, con cui la realtà veniva appresa e cristallizzata – spazio, tempo, 8 sostanza, materia – tra fine Ottocento e inizi Novecento smettono di essere degli assoluti. Ne viene che anche il soggetto osservatore si trova gettato in un terreno instabile, a maggior ragione se i sistemi di riferimento dei saperi e il fondamento di ogni teoria sembrano dilatarsi in uno spazio-tempo senza fondo, senza fondamento appunto. Si pensi all’impossibilità di confermare o verificare una legge universale (teoria), a dispetto degli sforzi di M. Schlick. Con Wittgenstein possiamo trovare nuovi argomenti per cogliere il mondo, la totalità dei fatti, inquadrandoli in forma proposizionale coerente e logica, ma – è questa un’anticipazione della mia tesi – non possiamo trasformare le condizioni di possibilità del mondo (il soggetto trascendentale) in fatti (oggetti empirici) conoscibili scientificamente. La tesina permette anche vari collegamenti interdisciplinari.

Collegamenti


Al di là dell'Hic e del Nunc, tesina



Matematica - Geometrie non euclidee.
Fisica - L'eclisse del maggio 1919, Dimostrazione dilatazione temporale relativistica, l'eesperimento con i mesoni mu, gli eventi casuali.
Filosofia - Il probabilismo neo-positivista, l'analisi logica di Ludwig Wittgenstein.
Estratto del documento

Introduzione

Per secoli, matematica, scienza e filosofia hanno costituito un

unico sapere di cui la metafisica è stata la regina incontrastata.

A partire dalla modernità, tra Galileo e Kant, la separazione tra

la metafisica dall’altra

la scienza e la matematica da una parte e

getta la cultura occidentale in un drammatico scisma che il

“buon senso” comune, purtroppo disinformato, continua a

ripetere come un mantra: è la cesura tra scienze della natura e

scienze dello spirito, con matematici e filosofi incapaci di

collocarsi in uno dei due eserciti in battaglia.

Tale impostazione, oltre a rivelarsi estranea ai grandi scienziati

– –

del Novecento siano essi fisici, biologi o naturalisti e ai

grandi filosofi contemporanei, come Wittgenstein, i neo-

positivisti e Popper conduce ad una settorialità infeconda.

“Distinguere per unire”, scriveva Jacques Maritain nel 1932:

distinguere i saperi, i linguaggi, i metodi per tentare di cogliere

l’intero, la realtà del tutto.

Ma c’è un problema che mi ha appassionato, quello della

prospettiva che influenza e condiziona il ricercatore. La

coscienza delle cose è così neutra e trasparente da metterci

l’oggettività del reale? E

nella condizione di conoscere

soprattutto, questa coscienza è capace di “curvarsi” verso se

stessa (in forme scientifiche e razionali e non solo mistiche e

irrazionali), oltrepassando la sua innata funzione di “finestra”

sul mondo?

Effettivamente, il soggetto (o coscienza) potrebbe essere

paragonato ad una finestra, che, come è noto, serve a far vedere

più che ad essere vista. Ma, allora, la coscienza può diventare

autocosciente?

Per Cartesio, sì: è un’intuizione immediata, frutto di

meditazione interiore; per Kant, no: possiamo pensare alla

nostra coscienza, ma non conoscerla; per Hegel, sì, tramite la

dialettica conflittuale (servo e padrone); per Nietzsche e la

maggior parte dei filosofi contemporanei no: dobbiamo

smettere di illuderci; conosciamo frammenti delle cose e di noi

stessi. Anzi l’Io stesso non esiste, se non per comoda

convenzione.

Le coordinate classiche e moderne, da Aristotele a Newton, con

cui la realtà veniva appresa e cristallizzata spazio, tempo,

7

sostanza, materia tra fine Ottocento e inizi Novecento

smettono di essere degli assoluti. Ne viene che anche il

soggetto osservatore si trova gettato in un terreno instabile, a

maggior ragione se i sistemi di riferimento dei saperi e il

fondamento di ogni teoria sembrano dilatarsi in uno spazio-

tempo senza fondo, senza fondamento appunto. Si pensi

all’impossibilità di confermare o verificare una legge

universale (teoria), a dispetto degli sforzi di M. Schlick.

Con Wittgenstein possiamo trovare nuovi argomenti per

cogliere il mondo, la totalità dei fatti, inquadrandoli in forma

proposizionale coerente e logica, ma è questa

un’anticipazione –

della mia tesi non possiamo trasformare le

condizioni di possibilità del mondo (il soggetto trascendentale)

in fatti (oggetti empirici) conoscibili scientificamente.

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1. Il luogo

Il concetto di località ha da sempre caratterizzato il procedere

della vita umana, basti pensare al comune “senso

dell’orientamento”, alle prime carte geografiche, alla

e l’elenco potrebbe continuare.

elaborazione del sistema GPS

Tra gli esempi di applicazione appena citati si consideri, ora,

quello della carta geografica.

Nel III secolo a.C. il matematico greco Eratostene conia il

termine geografia per descrivere la parte di mondo esplorata da

Alessandro il Grande e, tramite i dati raccolti nelle

esplorazioni, altri scienziati completano la carta del mondo

allora conosciuto. Nel primo libro della Geografia di Tolomeo

si legge dei metodi per disegnare carte geografiche: è

necessario determinare le coordinate, ossia latitudine e

longitudine, dei luoghi che si vogliono rappresentare.

Non è mio intento discutere riguardo alle metodologie

geometriche per determinare le coordinate spaziali; tuttavia è

utile constatare che, alla base della cartografia, vi è un assunto

fondamentale: le regole geometriche che utilizza un cartografo

che opera nella penisola italiana sono le stesse che utilizza un

cartografo, egualmente dotto, che invece lavora in Cina. Questo

assunto si concretizza nell’affermazione: i postulati della

geometria euclidea valgono ovunque, sulla Terra e

nell’universo.

La propria posizione, per semplicità di pensiero, sulla

Terra, non può, però, dirsi ab-soluta.

Si parta con una motivazione elementare: per via dei

movimenti della crosta oceanica si verifica uno spostamento

delle placche di qualche centimetro ogni anno. Quindi, date

certe coordinate, si pianti una bandierina nel punto indicato;

dopo un paio d’anni, supponendo di immettere nel navigatore le

coordinate dove si trovava la bandierina, non si dovrà essere

troppo sorpresi nel constatare che la posizione della bandierina

E’ necessario quindi

non è più descritta dalle stesse coordinate.

assumere un altro punto di riferimento, esterno alla Terra. Si

osservi come, al di là della localizzazione, nel corso del tempo

l’uomo si è avvalso di sistemi di riferimento sempre più

universali, astraendo sempre più formalmente ogni oggetto di

9

cui facesse esperienza si considerino le idee platoniche, la

matematica pitagorica o il noumenon kantiano.

Per tornare sui nostri passi, può dirsi risolto il dilemma della

posizione-terrestre se si coinvolgono le tecnologie GPS (Global

Positioning System), sviluppate negli USA negli anni settanta.

Il punto di riferimento è ora ab-solutus rispetto alla Terra. E per

le esigenze umane questo è quanto basta.

E’ possibile, tuttavia, definire la propria localizzazione a Terra

non-assoluta? La posizione sulla Terra non sarebbe assoluta se

di quest’ultima

si rilevasse che in alcuni punti i postulati della

geometria euclidea non valgono. Se gli stessi algoritmi

geometrici non valessero in tutte le regioni dello spazio come

potremmo definire la nostra posizione?

1.1. Le geometrie non-euclidee

Alla base delle cosiddette geometrie non euclidee vi è l’analisi

del libro I degli Elementi del matematico greco Euclide (IV

– l’opera,

secolo a.C.) composta di tredici libri, nei quali

l’autore spazia dall’esame delle figure piane rettilinee, alla

teoria dei numeri, concludendo con la geometria solida, è uno

dei più importanti testi della cultura occidentale.

Nel libro I l’autore introduce cinque postulati o assiomi

geometrici; sono, queste, affermazioni accettate sulla base

dell’intuizione comune.

Le geometrie non-euclidee hanno come assunto fondamentale

la negazione del V postulato che, in termini moderni, enuncia:

Date due rette qualsiasi r e s giacenti in un piano e data

una trasversale t che le interseca, se si vengono a

α e β,

formare due angoli coniugati interni, la cui

somma è minore di un angolo piatto dunque le due rette

 

α + β <

si incontreranno dalla parte dove 2 (dove

R R

indica l’angolo retto).

La formulazione più nota del detto postulato risale al V secolo

a.C., opera del matematico alessandrino Proclo.

Dati una retta r e un punto P esterno a essa, passa per P

dell’unicità

al più una parallela alla retta r. (Postulato

della parallela) 10

Per inciso, secondo Thomas Heat, matematico inglese attivo nel

secolo scorso, il V postulato fu introdotto da Euclide vista

l’impossibilità di dimostrare la proposizione 32 del I libro: se

due rette formano con una trasversale angoli alterni congruenti,

allora sono sicuramente parallele e bastano a ciò i primi

postulati; dunque esiste sicuramente una retta parallela a due

passante per P, esterno a r; non si riesce però a dimostrare che

se una retta è passante per P, esterno a r, e parallela a r, allora

gli angoli alterni interni sono congruenti. Pare sia stato questo il

motivo per cui Euclide introdusse il V postulato; si dice lo

abbia fatto come “rimedio temporaneo”. E’ curioso osservare

come Geminio Rodio (I sec. a.C.) abbia osservato che la

mancata introduzione del V postulato avrebbe condotto

all’esistenza di più rette parallele, formulando in nuce la

geometria iperbolica di Lobacevskij, che si tratterà fra poco.

Quanto sopra è riportato da Proclo.

Il V postulato implica, inoltre, che la somma degli angoli

interni di un triangolo è uguale a 2 (Proposizione 32).

R

Si consideri infatti un triangolo qualsiasi ABC; si

prolunghi il lato BC e si tracci la parallela, passante per

C, alla retta su cui giace il segmento AB (Proposizione

31). Ĉ

Per la Proposizione 29 gli angoli A C e E D sono

B̂ Ĉ

congruenti, come lo sono B C e A E. Dunque si

 Ĉ Ĉ

deduce che A C + BAC = E D + A E.

Aggiungendo a entrambe le parti dell’eguaglianza

l’angolo Ĉ Ĉ Ĉ

A B e considerando che E D + A E +

+ A B = 2 per la Proposizione 13, si afferma che la

R

somma degli angoli interni del triangolo ABC equivale

a un angolo piatto. Figura 1

11

E’ quindi chiaro che la geometria euclidea vedrebbe vacillare le

sue basi assiomatiche se anche solo una affermazione, tra il

postulato dell’unicità della parallela e la Proposizione 32, fosse

verificata come falsa. Il postulato di Proclo può essere reso

inconsistente in due modi: tracciare un’infinità di rette

I. affermando la possibilità di

parallele, passanti per un punto, a una retta data;

dimostrando l’impossibilità di tracciare una

II. retta

parallela a quella data.

Le geometrie non-euclidee hanno visto provenire un forte

impulso dagli studi del gesuita e matematico italiano G.

Saccheri, nel XVII secolo, sebbene, paradossalmente, costui

nella sua opera Euclide ab omni naevo vindicatus tentasse di

dimostrare l’assoluta verità della geometria euclidea! Egli volle

dimostrare la validità del V postulato di Euclide operando una

reductio ad absurdum. Saccheri analizzò le proprietà del

quadrilatero bi-rettangolo isoscele, ottenibile innalzando dagli

estremi di un segmento AB due segmenti congruenti, paralleli e

E’ chiaro, quindi, che

perpendicolari a uno solo degli altri lati.

gli angoli C e D, non essendo definita la loro misura, possono

essere entrambi (il quadrilatero è isoscele):

a) ottusi; b) acuti; c) retti

delle ipotesi a) e

Se fosse riuscito a dimostrare l’inconsistenza

b) dunque avrebbe dimostrato la c). Dimostrare che gli angoli

alla sommità del quadrilatero sono retti equivale ad affermare

la validità della Proposizione 29 degli Elementi. La verità di

questa, essendo essa stessa inferita dal V postulato,

equivarrebbe a dimostrare la validità dello stesso postulato.

Si riporta, per chiarezza, la classificazione delle geometrie

elaborata dal matematico tedesco F. Klein tra la fine del XIIX e

l’inizio del XIX secolo. Si distingue la geometria parabolica (o

Lobačevskij

euclidea), la iperbolica (di e Bolyai) e la geometria

sferica e ellittica.

Elemento comune delle nuove geometrie, oltre alla negazione

del V postulato euclideo, è la reinterpretazione del concetto di

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“retta”: essa è intesa come geodetica, ovvero come curva di

minima lunghezza che congiunge due punti.

La possibilità I., poco più indietro citata, è riconducibile alla

geometria iperbolica.

Il sistema geometrico iperbolico vede la sua prima elaborazione

nello scritto del 1867 Saggio di interpretazione della geometria

non euclidea del matematico italiano E. Beltrami. In questo

modello si assume un piano euclideo a curvatura negativa, un

iperboloide di rotazione sostanzialmente. A fondamento del

Lobačevskij

modello di Bolyai- vi è il seguente postulato:

Data una retta r e un punto P disgiunto da r, esistono

almeno due rette distinte passanti per P e parallele a r.

Non è complesso verificare che la somma degli angoli interni di

un triangolo, avente come vertici i punti di intersezione di tre

geodetiche tracciate sull’iperboloide, risulta essere minore di

2 .

R

La modalità II. è invece riconducibile a due diverse geometrie,

quella sferica e quella ellittica; nella prima è possibile

riconoscere sempre due punti di intersezione tra due

geodetiche, mentre nella seconda no.

Non è complesso comprendere il perché dell’impossibilità di

costruzione di rette parallele a una data nello spazio di

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