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verrà giorno che il sacro iliaco muro fussino oppressati da' Medi e la eccellenzia di
e Priamo e tutta la sua gente cada. Teseo, che li Ateniensi fussino dispersi; così
Ma né de' Teucri il rio dolor, né quello al presente, volendo conoscere la virtù d'uno
d'Ecuba stessa, né del padre antico, spirito italiano, era necessario che la Italia si
né de' fratei, che molti e valorosi riducessi nel termine che ell'è di presente, e
sotto il ferro nemico nella polve che la fussi più stiava che li Ebrei, più serva
cadran distesi, non mi accora, o donna, ch'e' Persi, più dispersa che li Ateniensi, sanza
sì di questi il dolor, quanto il crudele capo, sanza ordine; battuta, spogliata, lacera,
tuo destino, […] corsa, et avessi sopportato d'ogni sorte ruina.
Ma pria morto la terra mi ricopra, -[…] In modo che, rimasa sanza vita,
2.
ch'io di te schiava i lai pietosi intenda. espetta qual possa esser quello che sani le sue
ferite, e ponga fine a' sacchi di Lombardia,
OMERO, libro VI alle taglie del Reame e di Toscana, e la
Iliade, guarisca di quelle sue piaghe già per lungo
tempo infistolite. Vedesi come la prega Dio,
che le mandi qualcuno che la redima da queste
crudeltà et insolenzie barbare. Vedesi ancora
tutta pronta e disposta a seguire una bandiera,
pur che ci sia uno che la pigli."
N. MACHIAVELLI, Capitolo
Il Principe,
XXVI, 1532
ogni gente sia libera, e pèra
della spada l'iniqua ragion.
O stranieri, nel proprio retaggio Se la terra ove oppressi gemeste
torna Italia, e il suo suolo riprende; preme i corpi de' vostri oppressori,
o stranieri, strappate le tende se la faccia d'estranei signori
da una terra che madre non v'è. tanto amara vi parve in quei dì;
Non vedete che tutta si scote chi v'ha detto che sterile, eterno
dal Cenisio alla balza di Scilla? sarìa il lutto dell'itale genti?
Non sentite che infida vacilla Chi v'ha detto che ai nostri lamenti
sotto il peso de' barbari piè? sarìa sordo quel Dio che v'udì?
O stranieri! Sui vostri stendardi A. MANZONI, vv. 41-64, 1848
Marzo 1821,
sta l'obbrobrio di un giuro tradito;
un giudizio da voi proferito
v'accompagna a l'iniqua tenzon;
voi che a stormo gridaste in quei giorni:
Dio rigetta la forza straniera;
«Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e
cominciarono a gridare in piazza: - Viva la libertà! –
Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei galantuomini,
davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che
luccicavano. Poi irruppe in una stradicciuola.
-A te prima, barone! che hai fatto nerbare la gente dai tuoi campieri! – Innanzi a tutti gli altri una
strega, coi vecchi capelli irti sul capo, armata soltanto delle unghie. – A te, prete del diavolo! che ci
hai succhiato l’anima! – A te, ricco epulone, che non puoi scappare nemmeno, tanto sei grasso del
sangue del povero! – A te, sbirro! che hai fatto la giustizia solo per chi non aveva niente! A te,
guardaboschi! che hai venduto la tua carne e la carne del prossimo per due tarì al giorno! –
E il sangue che fumava ed ubbriacava. Le falci, le mani, i cenci, i sassi, tutto rosso di sangue! – Ai
Ai Ammazza! Ammazza! Addosso ai – […]
galantuomini! cappelli! cappelli
E come l’ombra s’impiccioliva lentamente sul sagrato, la folla si ammassava tutta in un canto. Fra
due casucce della piazza, in fondo ad una stradicciola che scendeva a precipizio, si vedevano i
campi giallastri nella pianura, i boschi cupi sui fianchi dell’Etna. Ora dovevano spartirsi quei boschi
e quei campi. Ciascuno fra sé calcolava colle dita quello che gli sarebbe toccato di sua parte, e
guardava in cagnesco il vicino. – Libertà voleva dire che doveva essercene per tutti!».
G. VERGA, da “Novelle rusticane”, 1883
La Libertà,
Su i quaderni di scolaro E come potevamo noi cantare
Su i miei banchi e gli alberi con il piede straniero sopra il cuore,
Su la sabbia su la neve fra i morti abbandonati nelle piazze,
Scrivo il tuo nome sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
Su ogni pagina che ho letto della madre che andava incontro al figlio
Su ogni pagina che è bianca crocifisso sul palo del telegrafo?
Sasso sangue carta o cenere Alle fronde dei salici, per voto,
Scrivo il tuo nome anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento
Su le immagini dorate
Su le armi dei guerrieri S. QUASIMODO, da Giorno dopo giorno,
Su la corona dei re 1947
Scrivo il tuo nome […]
E in virtù d'una parola
Ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per chiamarti
Libertà
P. ELUARD, 1942, trad. F. Fortini
Liberté,
«Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per
la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo
oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande
faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia.
Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività. […]
Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del
risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della
disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica.
Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza
dell’anima.
Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una
mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova
la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono
giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà».
Martin Luther KING, da 1965
I have a dream,
È una delle opere più note dell'artista. La libertà che
nasce in relazione ai moti
guida il popolo
rivoluzionari del luglio 1830, che rovesciarono il
regno di Carlo X in soli tre giorni.
La tela è dominata dall'impeto travolgente del
popolo che avanza e che nessuna forza reazionaria
potrà arrestare. È, questo, un quadro nel quale è
rappresentata con chiarezza l'ideologia liberale dei
giovani romantici.
E. DELACROIX La libertà che guida il popolo. 28
(olio su tela, Parigi, Louvre)
luglio 1830
2. AMBITO SOCIO - ECONOMICO
ARGOMENTO: Il viaggio: esperienza dell’altro, formazione interiore, divertimento e
divagazione, in una parola, metafora della vita.
DOCUMENTI
«La felicità, che il lettore lo sappia, ha molte facce. Viaggiare, probabilmente, è una di queste.
Affidi i fiori a chi sappia badarvi, e incominci. O ricominci. Nessun viaggio è definitivo».
J. SARAMAGO, Torino, 1999
Viaggio in Portogallo,
«Che cosa è un viaggio? Per poco che si dia un’estensione figurata a questo termine – e non ci
non
si è mai trattenuti dal farlo – il viaggio coincide con la vita, né più né meno: essa è forse altra cosa
che un passaggio dalla nascita alla morte? Lo spostamento nello spazio è il primo segno… Il
viaggio nello spazio simboleggia il passaggio del tempo, lo spostamento fisico, a sua volta, il
cambiamento interiore; tutto è viaggio». T. TODOROV, Torino, 1995
Le morali della storia,
«Oggi più che mai vivere significa viaggiare; la condizione spirituale dell' uomo come viaggiatore,
di cui parla la teologia, è anche una situazione concreta per masse sempre più vaste di persone.
Sempre più incerto, nelle vertiginose trasformazioni del vivere, appare il ritorno - materiale e
sentimentale - a se stessi; l' Ulisse odierno non assomiglia a quello omerico o joyciano, che alla fine
ritorna a casa, bensì piuttosto a quello dantesco che si perde nell' illimitato».
C. MAGRIS, CORRIERE DELLA SERA, 12/12/2003
Tra i cinesi che sognano Ulisse,
«Il bambino che amerà viaggiare comincia a sei anni a guardare i mappamondi e le carte
geografiche. Inginocchiato nella sua stanza, indifferente a qualsiasi richiamo della madre e del
padre, segna col dito la strada lunghissima che lo conduce per mare e per terra da Roma a Pechino,
da Mosca a Città del Capo, lungo gli andirivieni dei continenti e l’azzurro scuro e chiaro degli
oceani. Sfoglia le carte: si innamora del nome di Bogotà o di Valparaiso, immagina di violare
foreste tropicali e deserti, di scalare l’Everest e il Kilimangiàro, come gli eroi dei suoi libri
d’avventura. Così l’infinito del mondo diventa famigliare e a portata di mano… Il ragazzo impara
che, quando viaggiamo, compiamo sempre due viaggi. Nel primo, il più fantastico, egli legge la
guida dell’Austria o della Svezia o dell’Irlanda: città, fiumi, pianure, foreste, opere d’arte, notizie
storiche ed economiche. E studia il viaggio futuro. Nulla è più divertente che progettarlo: perché il
ragazzo muta gli itinerari della guida, stabilisce nuovi rapporti, insegue luoghi sconosciuti, giunge
in Austria dalla Baviera o dalla Boemia, evita città o regioni che non ama, stabilisce la durata dei
percorsi, distingue mattine, pomeriggi e sere. Le ore sono piene di cose: in una piazza di Vienna si
fermerà, chissà perché, quattro ore. Il tempo viene governato da una gioiosa pedanteria. Quando
inizia il viaggio, il ragazzo si accorge che la realtà non ha nulla o poco da fare coi suoi progetti
fantastici. Il paese che immaginava giallo è verde: quello che pensava rosso è celeste. I due viaggi,
quello fantastico e quello reale, quello delle guide e quello del mondo, ora si accordano, ora si
combattono». P. CITATI, LA REPUBBLICA, 28/12/2004
Le guide delle meraviglie,
«In definitiva, che modo di viaggiare è questo? Fare un giro per questa città di Miranda do Douro,
questa Cattedrale, questo sacrestano, questo cappello a cilindro e questa pecora, dopodiché segnare
una croce sulla mappa, rimettersi in marcia e dire, come il barbiere mentre scuote l’asciugamano:
«Avanti un altro». Viaggiare dovrebbe essere tutt’altro, fermarsi più a lungo e girare di meno, forse
si dovrebbe addirittura istituire la professione del viaggiatore, solo per chi ha tanta vocazione, è di
gran lunga in errore chi crede che sarebbe un lavoro di poca responsabilità, ogni chilometro non
vale meno di un anno di vita. Alle prese con questo filosofare, il viaggiatore finisce per
addormentarsi, e quando al mattino si sveglia, ecco davanti agli occhi la pietra gialla, è il destino
delle pietre, sempre nello stesso posto, a meno che non venga il pittore e se le porti via nel cuore».
J. SARAMAGO, Torino, 1999
Viaggio in Portogallo,
«Il viaggiatore aveva un pregiudizio favorevole nei confronti di popoli di contrade lontane e cercava
di descriverli ai suoi compatrioti;… ora l’uomo moderno è incalzato. Il turista farà quindi, un’altra
scelta: le cose, e non più gli esseri umani, saranno oggetto della sua predilezione: paesaggi,
monumenti, rovine… Il turista è un visitatore frettoloso …non solo perché l’uomo moderno lo è in
generale, ma anche perché la visita fa parte delle sue vacanze e non della sua vita professionale; i
suoi spostamenti all’estero sono limitati entro le sue ferie retribuite. La rapidità del viaggio
costituisce già una ragione della sua preferenza per l’inanimato rispetto all’animato: la conoscenza
dei costumi umani, diceva Chateaubriand, richiede tempo. Ma c’è un’altra ragione per questa scelta:
l’assenza di incontri con soggetti differenti, è molto riposante, poiché non mette mai in discussione
la nostra identità; è meno pericoloso osservare cammelli che uomini».
T. TODOROV, “L’Esotico”, Torino, 1991,
Noi e gli altri, passim
«Ero a Volgograd…Ero a Benares…Ero a Ketchum…Ero a Jàsnaja Poljana…Ero a Colonia…Ero
sull’Ortigara… Tutti gli spostamenti fisici, se l’intelligenza vuole e il cuore lo concede, possono
assomigliare a splendidi incroci magnetici. Attraversare lo spazio eccita il tempo. Sarà per questo