Introduzione: l'intellettuale e il suo ruolo fondamentale all'interno della società
L’espressione "torre d’avorio" (turris eburnea in latino) è desunta dalla Bibbia: è attestata per la prima volta nel Cantico dei Cantici ed è divenuta, in seguito, un appellativo della Madonna. Qui l'avorio è infatti associato all'idea di elevatezza spirituale, nobiltà e purezza d'animo, mentre in età classica passò a simboleggiare l'allontanamento dalla realtà. La torre, invece, è il luogo impenetrabile per eccellenza, quello che domina gli antichi borghi medievali, quello dove ci si rifugiava durante gli assalti, quello dove venivano tenute prigioniere le principesse delle favole, talmente alto da non poter essere violato facilmente.
Dal XIX questa locuzione è diventata la suggestiva metafora che intendiamo oggi: la "torre d’avorio" è il luogo immaginario dove si rinchiudono gli intellettuali che vogliono estraniarsi dalla società e dedicarsi solo all'attività letteraria, escludendo ogni forma di partecipazione alla vita politica e civile di tutti i giorni. Si tratta dunque di una condizione privilegiata, di un mondo a parte, del il rifugio di poche anime elette: gli intellettuali che "vivono nella torre" sono un'élite di dotti ed eruditi totalmente distaccata dal resto della comunità, chiusa in sé stessa e nel proprio accademico sapere.
Ma io non ho scelto come soggetto della mia tesina questo tipo di intellettuale, l'intellettuale "della torre", bensì la sua esatta antitesi: l’intellettuale “impegnato”.
Sono convinta, infatti, che la cultura sia l’arma più potente di tutte. Essa ha la facoltà di determinare la realtà perché incide direttamente e profondamente sulla società, plasmandone la fisionomia e la mentalità: una società avanzata si riconosce prima di tutto sul piano culturale, in quanto possiede creatività, intelligenza, istruzione e quindi maggior capacità di rinnovarsi e di trovare nuove soluzioni ai problemi. Penso, infatti, che per rilanciarsi e superare le crisi si debba puntare in particolare modo sul sapere e sulla ricerca: le rivoluzioni, prima ancora che pratiche, politiche ed economiche, sono innanzitutto culturali. La cultura è dunque un bene comune e primario: in quanto tale, è fondamentale che sia diffuso il più possibile, in ogni ambito, in ogni strato della popolazione. L’intellettuale - scrittore, scienziato, filosofo o artista che sia - è il depositario della cultura e, in quanto tale, ricopre un ruolo di fondamentale importanza: è questo il motivo per cui non deve e non può rinchiudersi in nessuna torre, ma piuttosto sempre schierarsi e partecipare.
Sulla base di queste considerazioni, ho scelto quindi diversi autori e figure di intellettuali che hanno sostenuto il carattere pubblico della cultura, la necessità di un impegno attivo per la sua diffusione e, soprattutto, la sua funzione civilizzatrice, salvifica e rinnovatrice. Tutto ciò è presentato a partire da alcune citazioni tratte dalle loro opere, che ritengo essere utili a seguire e rendere chiaro il perché delle mie scelte.
Percorso
1) Inglese Virginia Woolf: the "leaning tower" as a metaphor for the modern intellectual class which grew up in the Nineteenth century (la "torre pendente" come metafora della nuova classe intellettuale che si forma nel Novecento)
Ma teniamo presente il consiglio che diede un giorno un eminente vittoriano, che era anche un gran camminatore ad alcuni passanti: "Ovunque vediate un cartello che dice 'vietato entrate', entrate immediatamente". Allora entriamo immediatamente. La letteratura non è una proprietà privata; la letteratura è un terreno comune. Non è suddivisa in nazioni; non è terreno di guerra. Entriamo liberamente e senza paura, e cerchiamo da soli la nostra strada
(tratto dal saggio The leaning Tower)
2) Filosofia J.G. Fichte: il concetto di "azione morale" e la teorizzazione del compito supremo dell'intellettuale moderno
Agire! Agire! Questo è il fine per cui esistiamo. Vorremmo forse adirarci perché gli altri non sono così perfetti come noi, quando noi siamo soltanto un po' più perfetti di loro? E non è appunto questa nostra maggiore perfezione un monito chiaramente a noi rivolto perché ci ricordiamo che noi siamo quelli che devono lavorare per il perfezionamento degli altri? Esultiamo allo spettacolo del vastissimo campo a cui dobbiamo dedicare il nostro lavoro! Esultiamo a sentire in noi la forza di agire e vedere che il nostro compito è infinito!
(tratto dal saggio La missione del dotto)
3) Letteratura italiana: Manzoni: il rapporto tra l'intellettuale e la massa, la necessità di una letteratura "popolare" e la questione della lingua.
La poesia e la letteratura in genere debba proporsi l'utile per iscopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo. Debba per conseguenza scegliere gli argomenti pei quali la massa dei lettori ha o avrà, a misura che diverrà più colta, una disposizione di curiosità e di affezione nata da rapporti reali, a preferenza degli argomenti pei quali una classe sola di lettori ha una affezione nata da abitudini scolastiche.
(tratto dalla Lettera a D'Azeglio del 22 settembre 1823)
Lo stato generale dell'Italia divisa in frammenti, la pigrizia e l'ignoranza quasi generale hanno posta tanta distanza tra la lingua parlata e la scritta che questa può dirsi quasi lingua morta. Ed è per ciò che gli scrittori non possono produrre l'effetto che eglino si propongono, d'erudire cioè la moltitudine, di farla invaghire del bello e dell'utile, e di rendere in questo modo le cose un po' più come dovrebbono essere.
(tratto dalla Lettera a Fauriel del 9 febbraio 1821)
4) Letteratura latina l'antitesi di Seneca: quando la vita attiva è impraticabile e ritirarsi "nella torre" diventa una scelta obbligata
Se lo Stato è troppo corrotto perché lo si possa soccorrere, se è nelle mani dei malvagi, il saggio non si adopererà invano né si sacrificherà senza poter minimamente essere utile; se avrà poca autorità o scarse forze e lo Stato non sarà intenzionato ad accoglierlo, [...] come non calerebbe in mare una nave sconquassata, come non si arruolerebbe per il servizio militare essendo invalido, così non intraprenderà una strada che saprà essere per lui impraticabile.
(tratto dal De otio)