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Il David di Michelangelo e la fotografia di Robert Mapplethorpe
Il Bauhaus di Gropius
Le Grazie di Canova
GRECO
L’Anonimo del Sublime
Callimaco e l’alessandrinismo
LATINO
La poetica di Catullo
La poetica di Orazio
Quintiliano (X libro dell’ institutio oratoria)
ITALIANO
Le Grazie di Foscolo
La poetica di D’Annunzio
STORIA
La Seconda Rivoluzione Industriale
FILOSOFIA
Kant – La Critica del Giudizio
La concezione dell’arte di Schelling, Hegel, Schopenhauer e Nietzsche
LA PERFEZIONE NELLA FORMA
Dalla letteratura alla pittura, dalla scultura alla fotografia per arrivare al design, la ricerca della perfezione
nella forma sembra essere una disciplina maniacale che trova esplicazione nelle tante espressioni
artistiche. Un percorso che unisce l'arte rinascimentale più classica, quella del David di Michelangelo, alle
immagini di uno dei più grandi fotografi del 900', Mapplethorpe. Dal David, considerato un vero e
proprio capolavoro della scultura rinascimentale, sembra trasparire un forte concetto di solidità,
perfezione e potenza legate assieme da linee armoniose e dolci: un prototipo perfetto di bellezza
assoluta; Robert Mapplethorpe ricerca la perfezione formale attraverso una rigorosa attenzione riguardo
l'equilibrio geometrico dei volumi. Egli delinea la poetica e l'estetica della sua arte attraverso la fotografia
non badando a cosa rappresenti il soggetto ma affermando di essere comunque attratto da tutto ciò che
è scultureo. Le sue fotografie sono delle sculture di luce, oggetti che prendono forma all'interno di uno
spazio; la fotografia è un procedimento costruttivo delle immagini che ricorda il "levare"
michelangiolesco, l'ossessione per il rispetto della regola che domina la natura, una fotografia svincolata
dall'emozione dell'artista che misura ogni gesto e ogni variazione della luce. L'attrazione per la forma
appare quindi un filo conduttore che ci porta poi a considerare la dicotomia tra la perfezione degli
oggetti seriali prodotti dall'industria e l'unicità dell'artigianato. Di concerto con lo sviluppo industriale e
urbanistico, conseguente alla Rivoluzione, si teorizzò il concetto di capitalismo con la diffusione del
liberalismo, questo processo portò ad una continua evoluzione dell'industria. Questa, per rispondere ai
gusti semplici provenienti dalla vecchia popolazione rurale, finì col tornare alla produzione, ora
automatizzata, di oggetti, di oggetti prima derivati dalla realtà artigianale, ma di scarsa qualità. Nacquero
così movimenti di opposizione che miravano a preservare la posizione dominante dell'artigianato nel
campo. Alcuni di questi furono l'Art Nouveau in Francia, il Liberty in Italia e l'Arts and Craft di William
Morris in Inghilterra, corrente che opponeva alla pessima qualità, all'uniformità e alla mancanza di buon
gusto dei prodotti industriali, l'unicità e la raffinatezza dei prodotti artigianali. Questo continuo scontro
tra artigianato e industria fece si che gli imprenditori si resero conto che per creare prodotti di qualità e
funzionali era necessaria la collaborazione tra i due settori. Fu solo all'inizio del XX secolo, però, che
nacque effettivamente il Design moderno, quando personalità come Walter Gropius integrarono teoria
del design e pratica concreta attraverso nuovi mezzi industriali di produzione. Nel tentativo di colmare il
distacco tra idealismo sociale e realtà commerciale, esistito fino alla fine della prima guerra mondiale, e
di promuovere una risposta adeguata all'emergente cultura tecnologica, nel 1919 Gropius fondò il
Bauhaus. L'obbiettivo del design moderno, secondo i principi praticati e insegnati dal Bauhaus, era di
produrre opere che unissero interessi intellettuali, pratici, commerciali ed estetici attraverso la creatività
artistica e l'uso di nuove tecnologie. L'ideale del design moderno affonda le proprie radici sui concetti di
armonia, bellezza, essenzialità ed eleganza teorizzati in epoca classica, seguendoli o contraddicendoli.
Questi concetti sono espressi nell'opera Sul Sublime dell'Anonimo, che già si rifaceva alla poesia
ellenistica che con Callimaco assunse un valore in sé: parallelamente allo svuotamento della sua funzione
civica e politica, essa tese a porre in primo piano la sua dimensione puramente estetica, in modo fine a
se stesso. Il gusto poetico dell'alessandrinismo si espresse principalmente nella cura estrema rivolta ai
caratteri formali e stilistici e nella ricerca della assoluta perfezione formale. Questo ideale estetico veniva
raggiunto mediante un continuo e paziente lavorio di cesello e correzione (labor limae), volto a
perfezionare con cura minuziosa anche i più piccoli particolari. Il lessico, lo stile, le strutture metriche, i
procedimenti retorici e stilistici diventano preziosi, eleganti, raffinati al massimo grado rifiutando
decisamente ogni sorta di imperfezione. L'Anonimo propone, nell'opera Sul Sublime, l'ideale estetico che
sta alla base di ogni creazione artistica. Cosa sia da ritenere opera d'arte viene spiegato attraverso una
serie di esempi scelti e menzionati dall'Anonimo, secondo criteri argomentativi ed espositivi
estremamente moderni. Tra le molte citazioni presentate come espressione di grandezza poetica alcune
risultano particolarmente illuminanti e significative: i celebri versi della Genesi (I,3) dedicati alla
creazione del mondo, la seconda Ode di Saffo (fr. 31 Voight), brevi estratti dalle tragedie di Euripide, e
delle orazioni, per lo più di Demostene. Le disquisizioni su problemi di estetica, la polemica contro la
retorica contemporanea e le precisazioni fatte dall'Anonimo in qualità di critico letterario si fondono
nella forma fluente e libera dell'epistola che assume un tono insolito e ben differente dallo stile
saggistico e dal tipo di comunicazione sistematica dei manuali. Il “sublime”, di cui si occupa l'Anonimo,
non va interpretato solamente come la grandiosa tensione espressiva raggiunta attraverso l'uso del
linguaggio, della costruzione retorica e formale propri dello stile alto, detto altrimenti sublime. Il
concetto di “grandiosità” che appare nelle pagine del trattato innanzitutto ha un grande valore etico e si
origina da misteriosi meccanismi interni alla psiche umana. L'autore, infatti, nel VIII capitolo, affronta così
il tema: “Il sublime è la risonanza con una grande anima [...] poiché non è possibile che chi coltiva per
tutta la vita pensieri ed occupazioni piccini e servili possa produrre qualcosa di meraviglioso, degno di
fama immortale, dato che è logico che siano grandi i discorsi di coloro i cui pensieri siano profondi.” Il
sublime è quindi espressione di un animo grande e dell'intensità del pathos. Nello stesso capitolo
l'autore analizza con grande precisione le fonti che originano il sublime: “Cinque sono le fonti più
autentiche del linguaggio sublime e, come loro fondamento, vi è il talento per l'eloquenza, senza il quale
tutto è inutile. La prima e più importante è la capacità di grandi concezioni; la seconda una passione
violenta e ispirata. Queste due prime disposizioni al sublime sono generalmente innate; le altre si
possono acquistare anche tramite la tecnica, e sono: una particolare costruzione delle figure, uno stile
nobile [...] e la disposizione delle parole solenne ed elevata.” In ambito latino la poesia neoterica è
chiaramente ispirata all’alessandrinismo. Catullo, maggior esponente della poesia neoterica, riprende
l’estetica callimachea ritenendo che l’arte debba essere misurata in base alla perfezione; gli ideali che
egli propugna sono, infatti, quello del labor limae e della doctrina. Anch’egli ama un tipo di poetica breve
in opposizione ai componimenti epici. (μέγα βιβλίον μέγα κακόν). Indicativo, al riguardo, è il pensiero di
Quintiliano, il cui modo di giudicare in fatto di poesia è determinato dalle tendenze classicistiche
sostanzianti la sua teoria estetica e dalle finalità proprie della Institutio oratoria. Se, infatti, egli ritiene di
poter riscontrare in Catullo la mordacità tipica della poesia giambica fiorita presso i Greci, data
l’originalità dimostrata nell’avvicinarsi alla poesia ellenistica, non ha dubbi nello scrivere che, fra i poeti
lirici, Horatius fere solus legi dignus. E si capisce: Orazio ebbe, rispetto a Catullo, più “mestiere” e nelle
sue opere raggiunse il massimo della perfezione formale. Infatti, la scelta programmatica di comporre
carmi che si inseriscono nella tradizione lirica greca è dichiarata nell’ode 1,1, in cui Orazio esprime
l’ambizione di essere collocato tra i lyrici vates: ciò è indice di una predilezione per la lirica monodica
arcaica, la poesia cioè di Saffo e Alceo. La critica rileva l’importanza dell’influenza callimachea soprattutto
per quanto concerne l’architettura compositiva dei libri e delle singole odi, basata sulla commistione di
diversi generi letterari. La raffinatezza dell’estetica formale dei suoi componimenti, risponde
indubbiamente al modello di Callimaco, mentre per la tematica il riferimento è Teocrito, che può aver
ispirato anche la struttura di carme amebeo dell’ode. Il carattere che pervade l’opera di Orazio è proprio
la ricercatezza formale, sia quando aspira al sublime, come in alcune odi, sia quando lo stile risulta
apparentemente semplice e spontaneo, come in talune satire. Tale ricercatezza è frutto del labor limae,
dell’accurata selezione della terminologia (evitando arcaismi, neologismi, diminutivi), della sapiente
collocazione nel verso, del sagace e creativo accostamento di termini (la callida iunctura) e mediante
l’utilizzo di una sintassi semplice con inserimenti di strutture ellittiche unite ad un frequente uso
dell’iperbato e dell’enjambement. L’estrema cura rivolta ai caratteri formali e stilistici nella ricerca
dell’assoluta perfezione formale diviene l’obbiettivo che, ricreando il mito dell’arte ellenica quale
traguardo impareggiabile, ispira la corrente artistico-culturale del Neoclassicismo; questo movimento
nacque come reazione al tardo barocco e al Rococò alimentato dal desiderio di ritornare alla
magnificenza dell’arte antica. Un esempio è rappresentato da “Le Grazie” di Foscolo. Questo carme
allegorico-didascalico è rimasto incompiuto e fu ispirato dal gruppo scultoreo delle Grazie, al quale
lavorava Antonio Canova. L’opera si propone di liberare gli uomini dalla loro materialità e di innalzarli
dalla bassa natura originaria alla bellezza di un mondo ingentilito dalle arti e dalla poesia. Vi è, tra i critici,
chi ha ritenuto che lo stato frammentario in cui il carme è giunto fino a noi comprometta l'unità lirica e la
validità dell'insieme, e c'è chi pensa, che la poesia delle "Grazie" debba dirsi episodica, e che
l'incompiutezza riguardi la struttura, dovendosi in esse considerare raggiunto un esito artistico altissimo,
in cui l'ispirazione e l'espressione trovano un'armonizzazione perfetta. Qualche critico vede nel carme il
capolavoro di Foscolo e il termine ultimo del suo itinerario artistico. Le moderne concezioni estetiche
hanno la loro origine nella Critica del giudizio. Kant intende l’arte non come imitazione ma come attività
creativa. Il bello è per Kant l’oggetto di un piacere libero da ogni interesse, un piacere universale che non
ha la sua fonte nel concetto, manifesta una finalità senza suscitare la rappresentazione di uno scopo,
viene riconosciuto come oggetto di un piacere necessario. Esso è suscitato dallo "stato d’animo del libero
gioco della fantasia e dell’intelletto" che nasce "dall’accordo della libertà dell’immaginazione con la
legalità dell’intelletto". Dall’elaborazione kantiana si sviluppa la concezione romantica dell’arte come
creatività e conoscenza. Per Schelling l’arte è il vero "organo della filosofia" in quanto in essa sono
tutt’uno l’attività inconscia e quella cosciente dell’intelletto e proprio per questa ragione è
assolutamente libera. La creatività del Genio rappresenta la prosecuzione dell’attività creatrice
dell’Assoluto. Anche in Hegel l’arte è attività creativa e conoscitiva a un tempo e perciò manifestazione
dello spirito assoluto; si differenzia dalla religione e dalla filosofia solo per il modo, maggiormente legato
alla sensibilità, di rappresentare l’assoluto. La filosofia quindi rappresenta anche il superamento dell’arte,
che è destinata alla morte. Schopenhauer riprende la concezione platonica del bello come rivelatore