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Concetti Chiave

  • "Se questo è un uomo" è una testimonianza di Primo Levi sulle esperienze vissute nel campo di concentramento di Auschwitz durante la Seconda Guerra Mondiale.
  • Il libro, inizialmente pubblicato nel 1947, non ebbe successo fino alla sua ripubblicazione nel 1956 con Einaudi, diventando poi un'opera riconosciuta a livello mondiale.
  • Primo Levi affronta le leggi razziali in Italia, completando con difficoltà i suoi studi in chimica nonostante le discriminazioni contro gli ebrei.
  • Nel campo di concentramento, Levi subisce la spersonalizzazione e condizioni di vita estremamente dure, mantenendo tuttavia la sua umanità e legandosi ad altri prigionieri come Alberto.
  • Attraverso il suo stile tagliente, Levi trasmette l'orrore vissuto e il desiderio di comunicare l'esperienza per una liberazione interiore, non solo per accusare ma per comprendere.

Se questo è un uomo”, del chimico italiano Primo Levi, è un’opera memorialistica in cui l’autore lascia la propria testimonianza sconvolgente dell’esperienza all’interno del campo di concentramento di Auschwitz, durante la Seconda Guerra Mondiale. L’opera venne pubblicata nel 1947 dalla casa editrice De Silva, da cui vennero stampate circa 2500 copie. Il libro però non riscontra il successo sperato e viene accantonato. Fu solo nel 1956 che, durante una mostra a Torino sui campi di concentramento, Primo Levi venne interrogato da persone molto curiose di sapere della sua esperienza. Primo ritrova fiducia nell’opera e decide di pubblicarla una seconda volta con la casa editrice Einaudi.

Ad oggi, “Se questo è un uomo” è uno dei componimenti letterari riguardanti l’inferno dei Lager più significativi e riconosciuti in Italia e in tutto il mondo.

“Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere sé stesso.”

Indice

  1. La vita di Primo Levi
  2. Esperienza nel campo di concentramento
  3. Sopravvivenza e amicizie nel campo
  4. Riflessioni sulla condizione umana
  5. Impatto e stile dell'opera

La vita di Primo Levi

Primo Levi nasce il 31 Luglio 1919 a Torino in una famiglia di origine ebraica. Nel 1937 si iscrive al corso di laurea in chimica presso l’Università di Torino. È nel novembre dell’anno successivo che entrano in vigore in Italia le leggi razziali, le quali introducono gravi discriminazioni ai danni dei cittadini ebrei, tra cui la preclusione di accesso allo studio universitario. Fortunatamente per Primo, queste leggi concedono di terminare gli studi a coloro che li avevano già intrapresi e, anche se con una certa difficoltà, riesce a laurearsi con lode. Si trasferisce quindi a Milano, dove trova lavoro in una azienda farmaceutica. Un anno dopo, si rifugia all’armistizio dell’8 settembre in montagna, ma viene catturato dai fascisti il 13 dicembre e portato all’interno del campo di concentramento di Auschwitz, luogo che, oltre ad essere uno dei luoghi testimoni degli anni più bui della storia dell’umanità, è anche l’ambientazione del capolavoro di Levi.

Insieme agli altri prigionieri viene liberato il 27 gennaio del 1945 e, dopo aver trascorso una vita segnata dall’esperienza nel campo della morte, ritrova serenità grazie non solo al supporto dei suoi amici e familiari, ma anche alla pubblicazione durante il corso della sua vita di svariate opere. Muore a Torino nel 1987.

“Tutti scoprono, più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i due stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito. Vi si oppone la nostra sempre insufficiente conoscenza del futuro; e questo si chiama, in un caso, speranza, e nell'altro, incertezza del domani.”

Esperienza nel campo di concentramento

La storia comincia con la cattura di Primo Levi, che si era unito ad un gruppo di partigiani, ad opera dei fascisti, il 13 dicembre 1943. Viene quindi portato nel campo di internamento di Fossoli, nei pressi di Modena, dove gli viene detto che sarà deportato con altri ebrei verso una destinazione ignota. Dopo esser stati caricati su dei vagoni di un treno troppo piccoli rispetto al numero di persone, affrontano uno scomodo viaggio di 15 giorni. Arrivati a destinazione, i deportati vengono divisi in due gruppi, quelli validi per lavorare e quelli non validi, che verranno probabilmente uccisi subito. Levi e tutti gli altri invece vengono portati nel campo di concentramento di Auschwitz, dove leggono sopra al cancello d’entrata una frase che rimarrà sempre vivida nei loro ricordi: Arbeit macht frei (Il lavoro rende liberi).

Primo, assieme agli altri uomini, viene spogliato di ogni suo avere, gli vengono rasati i capelli e, a segnare la propria identità rubata, gli viene tatuato sul braccio un numero di riconoscimento, 174517.

Sopravvivenza e amicizie nel campo

Da quel momento inizia la sua vita da schiavo, costituita da un lavoro molto duro da sostenere, a causa non solo delle mansioni da svolgere , estremamente pesanti per chi non è abituato, ma anche per le pessime condizioni in cui riversano i carcerati. Il cibo, come l’acqua, scarseggia ed è difficile da reperire. Inoltre, come se non bastasse, vi è una scarsissima cura per l’igiene personale.

Durante il periodo che passa all’interno del campo, Levi, in diverse occasioni, ha modo di fare amicizia con dei prigionieri all’interno del campo, alcuni dei quali sapranno dargli supporto, non solo morale, ma anche per le mansioni fisiche. Tra tutti, colui che gli resta vicino è l’amico Alberto, un giovane italiano di venticinque anni la cui determinazione e tenacia rendono la vita all’interno del campo meno dura da sopportare.

Per sopravvivere all’interno di quell’inferno assurdo e inspiegabile, dove anche una singola parola sbagliata può portare alla morte, al protagonista rimangono la volontà a voler mantenere ad ogni costo la propria umanità e i ricordi della sua vita da uomo libero.

Riflessioni sulla condizione umana

“Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.”

Impatto e stile dell'opera

Primo Levi, in poco meno di 200 pagine, racconta la sua agghiacciante esperienza all’interno di un campo di concentramento in cui molte persone hanno perso la vita, mentre quei pochi che sono riusciti a sopravvivere, la loro ragione per vivere.

Il narratore, massacrato lentamente e dolorosamente nell’anima e nel corpo, come ha scritto lui stesso, una volta essersi ripreso parzialmente, ha avvertito “il bisogno naturale e irrefrenabile, tenero e violento al tempo stesso, di comunicare, di comprendere, di condividere quella fame di conoscenza che rende collaterale qualsiasi altra attività ne ostruisca lo sguardo”, di trasmettere i particolari più angosciosi a quanti “vivono sicuri nelle proprie tiepide case e trovano, tornando a sera, il cibo caldo e visi amici”, non “allo scopo di formulare nuovi capi d’accusa, ma a scopo di liberazione interiore”

“Se questo è un uomo” è un’opera la cui storia in sé ha avuto un impatto piuttosto neutro su di me, non perché il modo in cui è stata raccontata fosse noiosa, ma perché, a differenza di altre testimonianze che ho avuto modo di leggere, non ho riscontrato durante la lettura avvenimenti o situazioni che mi abbiano segnato in quanto scioccanti o commoventi. Ho invece molto apprezzato lo stile adoperato, in quanto sprezzante e tagliente, con cui Primo Levi è riuscito a trasmettere tutto l’odio provato da molti nei confronti dei mostri che hanno potuto portare tanto dolore e sofferenza nelle vite di molti innocenti.

Domande da interrogazione

  1. Qual è il tema principale dell'opera "Se questo è un uomo" di Primo Levi?
  2. Il tema principale dell'opera è la testimonianza dell'esperienza di Primo Levi nel campo di concentramento di Auschwitz durante la Seconda Guerra Mondiale, evidenziando la perdita di umanità e le condizioni disumane vissute dai prigionieri.

  3. Come è stata accolta inizialmente la pubblicazione di "Se questo è un uomo"?
  4. La prima pubblicazione nel 1947 non ebbe il successo sperato e fu accantonata. Solo nel 1956, dopo una mostra a Torino, Levi decise di ripubblicarla con Einaudi, ottenendo poi riconoscimento internazionale.

  5. Quali difficoltà ha affrontato Primo Levi durante la sua prigionia ad Auschwitz?
  6. Levi ha affrontato condizioni di lavoro estremamente dure, scarsità di cibo e acqua, mancanza di igiene e la perdita della propria identità, simboleggiata dal numero tatuato sul braccio.

  7. Chi ha avuto un ruolo significativo nel supporto di Levi durante la sua prigionia?
  8. Un ruolo significativo è stato svolto dall'amico Alberto, un giovane italiano la cui determinazione e tenacia hanno reso la vita nel campo meno insopportabile per Levi.

  9. Qual è l'obiettivo di Levi nel raccontare la sua esperienza nel libro?
  10. L'obiettivo di Levi è comunicare e condividere la sua esperienza per comprendere e trasmettere la fame di conoscenza, non per formulare accuse, ma per una liberazione interiore.

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